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Articolo 21 - Editoriali
Mimun spegne il Tg1
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di Bruno Mobrici

da L'Unità

 

Disastro Rai - La grande difficoltà a occuparsi della Rai è nel carattere politico di questâ??ultima. Attraverso nomine, appalti, consulenze, prodotti, trasmissioni, telegiornali, essa nasconde lâ??insieme dei mezzi di pressione, di coercizione, di costrizione, di resistenza e di astuzia che la volontà politica o intelligenze politiche adoperano per contenere o combattere altre forze. La Rai come mezzo specifico della politica, del politico, delle istituzioni, e di «quelle forze che - come diceva Proudhon - alla fine fanno diritto».

Innanzitutto in Rai ogni direttore governa secondo la propria forza politica, che lo ha indicato e lo protegge. Non ricordo negli ultimi trenta anni direttori insediati per pubblico concorso o per titoli accademici. Talvolta è però accaduto che il merito personale oscurasse il peccato originale: ma stiamo parlando di tanto tempo fa. La seconda cosa è che quanto vale per la politica vale anche per il giornalismo del servizio pubblico.

E cioè che lâ??«appartenenza», anche la più devota e la più servile non dona intelligenza a chi ne è sprovvisto, né autorevolezza a chi non la possiede, ma può sviluppare lâ??astuzia, lâ??abuso del comando, la violenza della goffaggine.

Può accadere ad esempio che il direttore del Tg1 Mimun in una intervista (Panorama, 11-8) concludeva dicendo che lui «non ha paura proprio come hanno risposto gli inglesi ai terroristi dopo gli attentati». Insomma, in poche righe il direttore del Tg1 paragona critici e detrattori a dei terroristi sostenendo che «il sentimento della paura non gli appartiene» e facendo sapere che il suo credo è «Dio, patria e famiglia».

Prendo ad esempio questo fatto per far capire comâ??è la Rai di oggi, augurandomi ovviamente che non sia quella di domani (qualunque possa essere la parte dominante).

Se il direttore del giornale più rappresentativo del servizio pubblico confeziona e guida il Tg1 alla stregua di quello stile personale di cui abbiamo preso atto, guardandosi bene dal contrariare amici politici e dallâ??offendere i cosiddetti fini comuni, allora tutto diventa più eloquente: i cali di ascolto, la qualità disattesa.

Mimun bene spiega la Rai di oggi quando afferma: «Ho appena messo a disposizione del consiglio di amministrazione il mio mandato. Resterò volentieri alla direzione del Tg1 se mi daranno più mezzi e se ci sarà un voto di conferma». Una discolpa o puro cinismo? Nulla di tutto questo. I Mimun dellâ??era berlusconiana sanno perfettamente che «i fini» consentono qualsiasi tipo dâ??offerta al rialzo.

Non câ??è più limite allâ??invenzione delle giustificazioni né allâ??opportunità politico-aziendale. Infatti, con un Consiglio Rai super-lottizzato voglio proprio vedere «chi tocca che cosa» che non gli spetti; voglio proprio vedere gli effetti di un «no» alla riconferma di Mimun da parte di Curzi, di Rognoni e di Rizzo Nervo; sono tremendamente curioso di vedere Petruccioli e Meocci alle prese con un caso Tg1. Perché - chiariamo - un caso Mimun esiste. E câ??è pure un caso Rai1, un caso giornale radio, e poi le reti e le testate, gli uffici tecnici e le strutture varie: è la Rai nel suo insieme che viaggia a regimi sempre più bassi.

A livello teorico potremmo dire che il potere approfitta dei suoi uomini per estendere il proprio potere e per rafforzarlo.

Ma non dobbiamo dunque prendercela con una procedura fisiologica della politica. Non è questo il punto. Ã? a livello pratico che il potere non riesce a staccarsi dallâ??agire aziendale. La difficoltà da risolvere è proprio questa: una volta che la politica ha scelto i suoi uomini per il massimo organismo di rappresentanza, sapranno questi ultimi definire nuove scelte di management e di prodotto fuori dalle preferenze e dai programmi politici?

A dire il vero Mimun ha fatto comodo prima al centrodestra, poi anche al centrosinistra (un avversario compiacente?), poi ancora e sempre di più al centrodestra, e così poco alla volta e poi improvvisamente il «direttore sempre più direttore» ha scoperto tutta la sua nudità giornalistica. Comanda e basta.

E molti nella testata e nellâ??azienda che dovrebbero parlare e talvolta opporsi, stanno invece zitti e spesso fanno le vittime, sperando un giorno di prendere il suo posto o portare a casa qualcosa quando cambierà il vento. La vita va così in Rai come nel paese. Ma non in tutto il paese. Voglio dire che non bisogna rifuggire dalla politica, bisognerebbe semmai riformare gli uomini. Capisco che questa pretesa è fraudolenta, in quanto ogni uomo di parte ritiene che la causa che rappresenta sia la più giusta. Ma passata questa «esaltazione berlusconiana», la visione del servizio pubblico, della Rai, dellâ??informazione tornerà ad essere un problema centrale della vita democratica dellâ??Italia. La politica rimarrà lâ??essenza di un vero rinnovamento della comunicazione televisiva di Stato, ma forse non sarà più la sola.

Nuovi poteri indiretti si affacciano con piena titolarità di rappresentanza: quello intellettuale, quello spirituale, la scienza, il mondo dei lavori, i giovani, quelli con il passaporto italiano ritirato da poco. Sarà il loro insieme e il ceto che li rappresenterà a stabilire se i Mimun potranno ancora dirigere un servizio per il quale pagano un canone. Sempreché alla Rai non tolgano anche questo alla maniera che sappiamo.

Nel frattempo Mimun ha sfidato lâ??azienda, vuole un voto di conferma. Perché, direttore, non ne parli in assemblea al Tg1? Perché non partecipi, non ti confronti? Non avrai forse paura dei tuoi colleghi?

 

 

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