di Matteo Bartocci
da Il Manifesto
«Il vertice aziendale deve dimostrare da subito che l'informazione sarà una delle carte principali su cui la Rai punta per il suo rilancio. Il cda non ci venga a ripetere le solite litanie sul fatto che i palinsesti ormai non sono più modificabili, perché non sono né la Bibbia né la Costituzione». Roberto Natale, segretario del sindacato dei giornalisti Rai (Usigrai), non nasconde la sua preoccupazione per quella che si annuncia come la stagione più difficile della tv pubblica.
Perché partire dall'informazione?
Perché il servizio pubblico ha perso una grande occasione. In queste settimane estive è stato evidente a tutti il divario tra la realtà raccontata sulle pagine dei quotidiani e la copertura della televisione pubblica. Sono accaduti fatti importanti: il ritiro da Gaza, le vicende bancarie e le intercettazioni, notizie sul calcio spesso collegate a problemi di ordine pubblico. Beh, lo scarto tra la realtà e l'informazione Rai è stato impressionante. Tutte queste vicende sono state trattate solo nelle dimensioni giocoforza ridotte dei tg. Non c'è stato uno sforzo minimo di fantasia da parte dell'azienda per individuare i necessari spazi di approfondimento, come se andati in ferie i consueti contenitori autunnali dovesse andare in ferie anche la realtà. Per questo chiediamo che l'informazione venga da subito considerata l'elemento forte della nuova programmazione, a partire da settembre.
L'informazione completa, autonoma, imparziale, dovrebbe essere il compito della Rai.
Non solo, puntare sull'informazione e sulla libertà dell'offerta serve anche a dare un'immagine non servile ai cittadini, a dare il segno che per la Rai è veramente finita la stagione delle emarginazioni, delle epurazioni, delle liste di proscrizione. Non si tratta di farne di nuove per far posto ai vecchi ma si tratta di ampliare l'offerta in modo che anche dal punto di vista simbolico certe stagioni siano concluse davvero. Checché ne dica il consigliere di Forza Italia, Giuliano Urbani. Il servizio pubblico deve essere il luogo della maggiore autonomia da tutti i poteri politici e finanziari. E invece, basti pensare alla satira, sembra che solo Mediaset possa permettersi di essere libera e prendere in giro i politici, mentre alla tv pubblica è vietato.
Ma parlare solo di alcuni casi, pur clamorosi, non rischia di suonare come una difesa di parte?
Il problema non sono solo Biagi e Santoro ma investe una più complessiva attitudine all'emarginazione che in questi anni ha funzionato al massimo livello: ricordo i casi Beha, Massimo Fini, le tante difficoltà di nomi noti e meno noti, penso alle tante redazioni regionali che hanno avuto difficoltà a fare giornalismo da servizio pubblico. Prendiamo la storia di Oliviero Beha. E' entrato in Rai come collaboratore intrecciando i fatti sportivi con le loro dimensioni sociali e civili. Appena è stato assunto a tempo indeterminato ha smesso di lavorare. E' o non è semplicemente folle?
L'informazione sportiva è il primo punto della riunione del cda di domani pomeriggio.
Io spero che al settimo piano di viale Mazzini tutti abbiano ben chiaro che lo sport è uno degli elementi su cui punta Mediaset per dare l'assalto finale al servizio pubblico. La risposta del cda non può avvenire nel segno della continuità. Con i palinsesti sportivi devastati dal passaggio della serie A a Mediaset sarebbe un suicidio andare avanti ricucendo i brandelli del vecchio palinsesto. Nel discorso sulla centralità dell'informazione rientra a pieno titolo anche l'informazione sportiva. I giornalisti sportivi della Rai chiedono da anni un settimanale di approfondimento. Non si capisce perché in Italia lo possa fare solo Biscardi. Se n'era parlato nei primi giorni di questo cda e non vorrei che quel progetto sia stato rimesso nei cassetti. Credo che Mediaset abbia qualche difficoltà "strutturale" nel raccontare il calcio come fatto agonistico e come fatto sociale, economico, civile e politico. E' un compito che può svolgere solo la Rai, possibile che non ne abbia la voglia?
Come vivete in questi giorni?
C'è un clima di grande preoccupazione. Si percepisce chiaramente che Mediaset, forse anche perché sono state deposte precedenti cautele, proverà a dare la spallata finale. Proverà a dimostrare che la centralità del sistema televisivo si è definitivamente spostata da loro. Ciò non vuol dire che da noi tutto vada bene.
Per esempio?
Sotto Cattaneo questa Rai ha vissuto nel culto dell'utile per l'azionista, un culto al quale sono state sacrificate tutte le altre esigenze, con tagli fortissimi sul prodotto e le strutture aziendali. In più ora ci ritroviamo con un pugno di mosche in mano. Alla fine del 2004 la Rai ha annunciato il profitto più alto della sua storia: 113 milioni di euro, ma ben 80 milioni sono finiti nelle casse dello stato. E nel 2005 potrebbe andare peggio. Il rendiconto del primo trimestre parla di un risultato netto di 91 milioni di euro. Ma che diavolo se ne fa il servizio pubblico di questi utili se non sono soldi che vengono reinvestiti nel prodotto?
Soprattutto perché il presidente Petruccioli ha chiesto l'aumento del canone. O no?
Se c'è una più marcata azione di servizio pubblico l'aumento può essere giustificato, il ministro Landolfi ha sbagliato ad escluderlo subito. Un servizio pubblico deve essere bene amministrato, senza sprechi, ma non serve a fare soldi, a realizzare profitti che richiamino investitori.
Se le vostre richieste non verranno soddisfatte, cosa prevedete di fare come sindacato?
In quel caso sono certo che ci saranno risposte molto nette non solo da parte dei giornalisti. Insieme agli altri sindacati, alle voci dello spettacolo e della cultura, alle persone che hanno ancora voglia di vedere un vero servizio pubblico sapremo trovare il modo di rendere chiara all'opinione pubblica tutta la situazione, vogliamo un servizio pubblico degno di questo nome.