di Gianni Riotta
NEW YORK - L'immagine degli italiani in guerra era legata ai luoghi comuni, mandolini, fiasco di Chianti e bandiera bianca come la ciurma del film Mediterraneo del regista Salvatores, o, peggio, al sarcasmo dei militari stranieri «la vostra flotta ha le chiglie in vetro così vedete le navi perdute». Né cialtroni, né vigliacchi erano stati in realtà gli italiani durante la Seconda guerra mondiale, da Luigi Durand de La Penne che sabota le corazzate inglesi, a Mario Rigoni Stern sergente in Russia, ad Amedeo Guillet guerrigliero in Africa, fino alla Resistenza che ingaggiò le divisioni tedesche. Per cancellare i clichés, però, occorrono tempo e fatica. Abbiamo cominciato a Beirut, ai tempi di Sandro Pertini, poi con l'impegno di pace dal Vietnam all'Africa, i Balcani, la prima guerra del Golfo, la missione in Kosovo e adesso nell'aspro dopoguerra in Iraq. Un importante ambasciatore dell'Onu commenta, non riuscendo a nascondere un filo di sorpresa: «Siete stati bravissimi in diplomazia, nel salvare il patrimonio archeologico della Mesopotamia, con i volontari della Croce Rossa, i carabinieri e i militari. Avete il rispetto di tutti». Per i facinorosi dei bassifondi di Internet Filippo Quattrocchi era «uno schifoso mercenario», ma le sue ultime, stoiche, parole impressionano l'America. Indro Montanelli raccontò del falso generale Della Rovere, uomo qualunque che le SS infiltrarono a San Vittore come delatore e che morì da eroe: non importa solo dove si milita, insegnava Montanelli «importa come si milita».
Sempre più spesso gli italiani militano bene. Negli Usa il sito Zipgenius espone il tricolore e invita a pregare nelle ore di angoscia per i tre ostaggi superstiti. La rete tv Nbc , la Cnn , il quotidiano Daily News apprezzano la condotta dei nostri, gente che prova a compiere una missione senza perdere il cuore, come i padri e i nonni nelle foto ingiallite. Questa nuova generazione, militari e volontari, diplomatici e tecnici, non nasce dal nulla, tanti si sono formati al «Master di peacekeeping» di Torino, dove l'Università , la Scuola di Applicazione dell'Esercito e le Nazioni Unite mettono sugli stessi banchi intellettuali nonviolenti, diplomatici, cattolici e colonnelli degli Alpini per imparare ad estrarre pace dalle fauci della guerra.
La stima che gli italiani raccolgono in Iraq non è immagine effimera per il governo di Silvio Berlusconi, che anzi all'Onu, e con i partner europei, meglio dovrebbe spendere questo credito, dando al Paese più ruolo nei negoziati. E' un contributo duraturo alla reputazione della Repubblica ed è positivo che la stessa percentuale di cittadini, di destra e sinistra, il 58%, voglia restare in Iraq, con l'Onu garante.
Nessun 8 settembre, nessun «Tutti a casa!», niente maschera dell'italianuzzo in fuga con il salame in valigia. Il presidente Carlo Azeglio Ciampi può esser fiero del lavoro che ha fatto: il mondo ha per noi un nuovo rispetto. Non si tratta di bearsi con la retorica, ma di impegnare la credibilità ritrovata da protagonisti del dialogo atlantico e della pace, in Medio Oriente e in Iraq. Brava gente, ma saggia, coraggiosa, risoluta, ecco il nuovo Made in Italy di cui essere fieri, insieme.
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