di Gian Luca Nicoletti
da La Stampa
Nell'attuale panorama radiofonico italiano non vedo personaggi assimilabili al geniale affabulatore che stregò per un'ora Vargas Llosa. Forse la radio del passato era molto più propensa a suggestioni e seduzioni giocate unicamente sull'arte di rapire l'ascolto. Va da sé che, dopo aver visto la letteratura trattata dagli amici della notte di RaiUno, qualunque raccontatore di libri, anche il più modesto o persino ignobile, possa apparire un gigante della divulgazione. Si badi bene, anche parlare di libri alla radio può essere male inteso come un esercizio di potere, siamo in un Paese assai ben popolato da scrittori in pectore. Non occorre grande talento per mandare in onda una telefonatina veloce su memorie di velina, peccatuccio parapoetico di politicastro, vero e proprio obbrobrio di persona nota e ammanicata o segnalazione doverosa di un editore. Questo spesso passa il convento, ma si tratta di un sottobosco con cui nulla ha a che fare il «divoratore di libri». Ciò fa parte del quotidiano equivoco di chi parla di libri senza far letteratura, quell'eremita in carrozzella è emblema di ben altra cosa. Chiunque abbia fatto radio non si meraviglia dello stupore di Vargas Llosa per essersi sentito proiettare in una dimensione fuori del tempo.
Riascoltare in cuffia, quindi a presa diretta con l'anima, brani della propria opera ha sortito in lui l' effetto di un mantra. Sembra ancor più la formula di un sortilegio, un potere che gli permette di ripercorrere delle fasi del suo cammino creativo. Momenti che aveva seppellito in una zona inaccessibile alla propria coscienza, ma che il rituale magico del "divoratore di libri" è riuscito a risvegliare.
Lo scrittore peruviano, tra le righe, ci ribadisce come la "vera" radio scaturisca da uno stato di trance di chi la fa e da una voluttà da "possessione" da parte di chi l' ascolta. Vargas Llosa si rende conto che il suo scritto, trasformato alla radio in "storia orale", era diventato un' altra cosa.
Aveva assunto una vita propria, proseguiva autonomo.
Attraverso l' ascolto risvegliava ogni spazio mentale abitato dal fantastico assopito. Come si arriva a questo? E' un' alchimia rara, fatta di semplici ingredienti e tecnica elementare, non difficile, ma bisogna conoscerla e crederci. Se serve un esempio di come sia possibile si torni al 1973, allora la radio nazionale si produsse nell' esperimento irraggiungibile delle "interviste impossibili".
Fu un' idea di Lidia Motta (mitica capo struttura cancellata dal nuovo che avanzava nella Rai dei Professori). I migliori scrittori allora su piazza vennero chiamati a cimentarsi con personaggi del passato. Erano colloqui immaginari, ma incredibilmente realistici se ascoltati alla radio. Più che parlare di letteratura, la radio dimostrava di essere un mezzo per creare letteratura. Con lo stesso metodo del "divoratore di libri" Calvino dialogava con Montezuma, Ceronetti con Attila, Eco con Pitagora�Uno scrittore e un grande attore che, come un antico medium, prestava le corde vocali all' anima di un grande trapassato richiamato dall' oltretomba. Le regole di costruzione del programma richiedevano che lo scrittore per le domande usasse la sua voce, solo Sciascia non se la sentì di intervistare di persona Maria Sofia di Napoli e fu per questo escluso. La ricerca assoluta di qualità imponeva una selezione implacabile. Quando i grandi della letteratura, ancora in vita, si produssero tutti la trasmissione chiuse. Non si voleva abbassare il livello con personaggi di minor spessore, ma soprattutto fu un atto di resistenza estrema alle raccomandazioni che cominciavano a piovere, dato il grande successo della serie. Nessuno ebbe mai il coraggio di ripetere in seguito, e con più recenti scrittori, quella straordinaria seduta spiritica.