di Rodolfo Di Giammarco
"Il custode dell´acqua", da un romanzo di Franco Scaglia, in scena a San Miniato. In luogo di tematiche e di crisi cristiane, si fa largo un conflitto mondano di fedi
da La Repubblica
Chi l´avrebbe detto che alla Festa del Teatro a San Miniato, LIX edizione, roccaforte del teatro spirituale, avremmo visto e udito scenari di Terra Santa popolata da servizi segreti israeliani, militanti palestinesi, francescani strateghi o scienziati, e ambigui finanzieri, e giovani pacifisti? � quello che è successo con Il custode dell´acqua, tratto da un documentato, profetico e avventuroso romanzo omonimo di Franco Scaglia, che piÚ che al genere della spy story appartiene alla dimensione d´una letteratura affine al "Nome della rosa", con intrecci, indizi e colpi di scena alla Le CarrÊ e alla Simenon, e con l´intuito di concentrare su Gerusalemme e sulla figura reale del ruvido Padre Michele (ribattezzato Padre Matteo). Un puzzle a base di misteri riguardanti tre religioni coinvolte in un indistricabile, attualissimo gioco delle parti. Insomma a San Miniato al posto di tematiche e di crisi cristiane, e di recuperi di sacre rappresentazioni, si può far largo e può aver senso (in assenza di una drammaturgia d´autore che ripensi oggi la problematica mistica) un conflitto mondano di fedi, un dedurre ad esempio che in Medio Oriente al XX secolo del petrolio potrebbe succedere un XXI secolo dell´acqua (del potere insito nella mappatura delle fonti acquifere dei vari stati in eterno attrito). Con la scomodità della consapevolezza che nessuno dei portavoce delle varie estrazioni religiose ha tutta la ragione dalla sua, esprime una verità assoluta, rivela ogni cosa che sa. Ed è cosÏ sfuggente, il panorama frammentario (ri)costruito con mille sfumature sulla pagina da Scaglia, un materiale per l´occasione adattato alla scena da Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella, che giusta risulta la chiave degli alterni paesaggi concepita dal regista Maurizio Panici, un continuo sovrapporsi e contrapporsi di sfaccettati fondali digitali mostranti di volta in volta porte, strade e interni delle varie comunità o nicchie idealistiche. A neutralizzare qualche lacuna di fluidità della riduzione, e qualche moderatezza interpretativa, c´è la strenua e moderna prova di Maurizio Donadoni nei panni del francescano studioso Matteo, indotto a una ricerca utopistica, conteso fra il Custode di Renato Campese e un responsabile dei servizi israeliani reso da Carlo Simoni. Mentre i giovani alimentano un contrappunto multietnico, e Germano Mazzocchetti ne plasma uno sonoro.