Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INFORMAZIONE
Intercettazioni, "Subito una grande manifestazione di protesta"
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Giuseppe Giulietti*

Intercettazioni, "Subito una grande manifestazione di protesta"

La legge che ordina il silenzio stampa“La legge sulle intercettazioni non si può cambiare, si deve solo ritirare...”, così il professor Stefano Rodotà ha sintetizzato la sua posizione sulla legge bavaglio che la commissione giustizia del senato voterà nelle prossime ore. Non solo la pensiamo come lui, ma invitiamo tutti a firmare l’appello che Rodotà ha lanciato insieme ad un gruppo di persone e di associazioni che hanno ancora a cuore la Costituzione e quello che resta del diritto di cronaca.

Il testo della legge fa orrore, il contesto fa schifo, mentre si apprestano a varare manette e bavagli, il presidente editore e i suoi amici scagliano invettive e minacce contro Serena Dandini, Annozero, Sabina Guzzanti, Roberto Saviano. Non contenti tagliano le gambe al cinema, al teatro, alla editoria, agli enti lirici, a quanti non si sono ancora arresi alla logica del pensiero unico del partito unico. Nel frattempo il presidente editore si è preso anche l’interim del ministero che si occupa dei media, delle frequenze, della pubblicità. Altro che conflitto di interessi, ormai siamo all’orgia dell’interesse privato che si è fatto stato.

L’appello lanciato da Rodotà e riportato ampiamente dalla piazza del dissenso, deve diventare il primo atto di una rivolta politica e morale che dovrà coinvolgere milioni di donne e di uomini. Chiunque abbia un blog, un sito, un qualsiasi spazio pubblichi l’appello, lo faccia girare, promuova tutte le iniziative possibili. La raccolta di firme dovrà essere accompagnata da una iniziativa nazionale, forte, ampia, unitaria, che metta insieme chiunque creda nei valori costituzionali e non voglia rassegnarsi a vivere in una sorta di repubblica presidenziale a telecomando unificato.

In questi giorni si è spesso parlato di convergenza repubblicana, di unità per la Costituzione, di nuova alleanza democratica. Bene, si cominci da qui, da una legge che stravolgerà la prima parte della Costituzione, che violerà il principio di uguaglianza tra i cittadini, che stravolgerà l’azione di legalità e limiterà il diritto di cronaca. “Questi temi non interessano i cittadini”, ci ha detto lo scettico di turno, ripetendo una delle più colossali balle messe in circolo da Berlusconi e adottate da qualche sedicente oppositore. In ogni caso, fosse persino vero, si può fare finta di nulla? Si può fingere di non vedere? Si può rinunciare a indire una grande iniziativa nazionale che sia la premessa di una campagna tesa a disattivare le nuove norme e a difendere la legalità repubblicana?

Lo scorso 3 ottobre la Federazione della Stampa ci aveva convocato in Piazza del Popolo per una grande giornata per la libertà di informazione, il Popolo Viola ha suonato la sveglia chiamandoci tutti il 5 dicembre e il 27 febbraio. Adesso dobbiamo rimettere tutti insieme e convocare un grande appuntamento popolare per contrastare la più oscena e la più insidiosa tra le leggi bavaglio e le liste di proscrizione. Questa non è una lista contro alcuni, questa è una fatwa lanciata contro la Costituzione, contro il diritto di cronaca in quanto tale.

Per questo occorre una reazione forte, immediata, visibile, che si ponga l’obiettivo di renderla inapplicabile, di denunciarla alla corte europea e alla corte costituzionale, ma anche di individuare modi e forme per aggirare la norma, per bucare il silenzio, per dare sempre e comunque tutte le notizie che abbiano il requisito della rilevanza sociale e dell’interesse pubblico. A Stefano Rodotà, un autentico punto di riferimento per chiunque ami la libertà, e a tutti i giuristi e costituzionalisti italiani ci permettiamo infine di chiedere di valutare la possibilità di costituire da subito una sorta di grande e autorevole collegio di legali e di studiosi pronti ad assumere la difesa e la tutela in ogni sede di coloro, giornalisti o editori, che saranno colpiti eventualmente dalle nuove norme bavaglio.

Chiunque sarà, fosse pure il nostro più acerrimo avversario, dovremo essere pronti a scattare, a reagire, a farlo insieme, perché non sono in discussione i diritti di una parte, di un partito, di un sindacato, ma alcuni dei valori fondamentali che distinguono le democrazie liberali e gli stati di diritto dai regimi autoritari a forte vocazione autoritaria e plebiscitaria. In questa occasione, almeno in questa occasione, sarà utile mettere da parte gelosie di organizzazioni, ripicche, desiderio di primato e di visibilità e promuovere, già nelle prossime ore, il più ampio coordinamento di tutte le forze politiche, sociali, sindacali.

In questi giorni molti, noi compresi, hanno espresso il loro apprezzamento per le posizioni assunte da Fini e dai suoi amici, ci auguriamo di sentire anche la loro voce contro le oscenità che stanno per consumarsi al senato. Sino ad oggi, almeno su questo punto, hanno preferito tacere o guardare altrove, esattamente come hanno sempre fatto sul conflitto di interessi. Se e quando questa legge sarà approvata, presto, molto presto, Fini e i suoi amici scopriranno che sarà utilizzata per colpire anche loro, per buttarli fuori dai media e dalla politica.

Speriamo se ne accorgano in tempo, noi comunque non possiamo aspettare né loro né altri, ci sono temi sui quali è necessario dare battaglia, costi quel che costi, in ogni forma possibile e legale. I ritardatari, gli omissivi, i tentennanti, quelli che Berlusconi forse non ha tutti i torti, seguiranno, come sempre...

* Micromega - 11 maggio 2010



L'APPELLO 

La legge che ordina il silenzio stampa
di STEFANO RODOTÀ
SE LA legge sulle intercettazioni verrà approvata nel testo in discussione al Senato, sarà fatto un passo pericoloso verso un mutamento di regime. I regimi non cambiano solo quando si è di fronte ad un colpo di Stato o ad una rottura frontale. Mutano pure per effetto di una erosione lenta, che cancella principi fondativi di un sistema. Se quel testo diverrà legge della Repubblica, in un colpo solo verranno pregiudicati la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto di sapere dei cittadini, il controllo diffuso sull'esercizio dei poteri, le possibilità d'indagine della magistratura. Ci stiamo privando di essenziali anticorpi democratici. La censura come primo passo concreto verso l'annunciata riforma costituzionale, visto che si incide sulla prima parte della Costituzione, quella dei principi e dei diritti, a parole dichiarata intoccabile? Se così sarà, dovremo chiederci se viviamo ancora in uno Stato costituzionale di diritto.

Questa operazione sostanzialmente eversiva si ammanta del virtuoso proposito di tutelare la privacy. Ma, se questo fosse stato il vero obiettivo, era a portata di mano una soluzione che non metteva a rischio né principi, né diritti. Bastava prevedere che, d'intesa tra il giudice e gli avvocati delle parti, si distruggessero i contenuti delle intercettazioni relativi a persone estranee alle indagini o comunque irrilevanti; si conservassero in un archivio riservato le informazioni di cui era ancora dubbia la rilevanza; si rendessero pubblicabili, una volta portati a conoscenza delle parti, gli atti di indagine e le intercettazioni rilevanti.

Su questa linea vi era stato un largo consenso, che avrebbe permesso una approvazione a larga maggioranza di una legge così congegnata.

Ma l'obiettivo era diverso. La tutela della privacy è divenuta il pretesto per aggredire l'odiata magistratura, l'insopportabile stampa. Non si vuole che i magistrati indaghino sul "mostruoso connubio" tra politica e affari, sull'illegalità che corrode la società. Si vuole distogliere l'occhio dell'informazione non dal gossip, ma da vicende che inquietano i potenti, dal malaffare. Se quella legge fosse stata approvata, non sarebbe stato possibile dare notizie sul caso Scajola, perché si introduce un divieto di pubblicazione che non riguarda le sole intercettazioni.
In un paese normale proprio quest'ultima vicenda avrebbe dovuto indurre alla prudenza. Sta accadendo il contrario. Al Senato si vuole chiudere al più presto. E questo è coerente con l'affermazione del presidente del Consiglio, secondo il quale in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". Quale migliore occasione per porre rimedio a questo eccesso di una bella legge censoria?

Scajola, infatti, è stato costretto a dimettersi solo dalla forza dell'informazione. Una situazione apparsa intollerabile. Ecco, allora, il bisogno di arrivare subito ad una legge che interrompa fin dall'origine il circuito informativo, riducendo le informazioni che la magistratura può raccogliere, impedendo che le notizie possano giungere ai cittadini prima d'essere state sterilizzate dal passare del tempo. Non si può tollerare che i cittadini dispongano di informazioni che consentano loro di non essere soltanto spettatori delle vicende politiche, ma di divenire opinione pubblica consapevole e reattiva.

Si arriva così all'infinito silenzio stampa, all'opinione pubblica impotente perché ignara dei fatti, visto che nulla può esser detto su qualsiasi fatto delittuoso fino all'udienza preliminare, dunque fino a un tempo che può essere lontano anni dal momento in cui l'indagine era stata aperta. Che cosa resterebbe della democrazia, che non vuol dire soltanto "governo del popolo", ma pure governo "in pubblico"? In tempi di corruzione dilagante si abbandona ogni ritegno e trasparenza, si dimentica il monito del giudice Brandeis: in democrazia "la luce del sole è il miglior disinfettante". Stiamo per essere traghettati verso un regime di miserabili arcana imperii, di un segreto assoluto posto a tutela di simoniaci commerci di qualsiasi bene, di corrotti e corruttori, di faccendieri e di veri criminali.

Questo regime non avvolgerebbe soltanto in un velo oscuro proprio ciò che massimamente avrebbe bisogno di chiarezza. Creerebbe all'interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili, infatti non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d'indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, la circolazione di mezze notizie, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, o veri e propri ricatti. Creerebbe un clima propizio ad un "turismo delle notizie", alla pubblicazione su qualche giornale straniero di informazioni "proibite" che poi rimbalzerebbero in Italia.

Accade sempre così quando ci si allontana dalla via retta della democrazia e dei diritti. Dal diritto d'informazione in primo luogo, che non è privilegio dei giornalisti, ma diritto fondamentale d'ogni persona, la premessa della sua cittadinanza attiva, del suo "conoscere per deliberare". Ce lo ricordano le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, dov'è sempre ripetuto che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi autori d'un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie coperte dal segreto. In una sentenza del 2009 si è messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione: che cosa dovremmo dire quando, da noi, il testo all'esame del Senato impugna come una clava le sanzioni pecuniarie con chiaro intento intimidatorio? E guardiamo anche agli Stati Uniti, al fermo discorso di Hillary Clinton sul nesso tra democrazia e libertà di espressione su Internet, alle ultime sentenze della Corte Suprema che, pure di fronte a casi sgradevoli e imbarazzanti, ha riaffermato la superiorità del Primo Emendamento, appunto della libertà di espressione

Un velo d'ignoranza copre gli occhi del legislatore italiano. Ma non è il benefico velo che lo mette al riparo da pressioni, da influenze improprie. È l'opposto, è la resa alla imposizione di chi non vuole che si guardi al mondo quale veramente è. Nasce così un'anomalia culturale, prima ancora che giuridico-istituzionale. Ci allontaniamo dai territori della civiltà giuridica, e ci candidiamo ad esser membri a pieno titolo del club degli autoritari Certo la nostra Corte costituzionale prima, e poi quella di Strasburgo, potranno ancora salvarci. Intanto, però, la voce dei cittadini può farsi sentire, e non è detto che rimanga inascoltata.


Letto 3861 volte
Dalla rete di Articolo 21