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Articolo 21 - Editoriali
Si deve evitare con qualsiasi mezzo che lâ??Europa prenda a modello lâ??italianizzazione del sistema dei media
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di Lilli Gruber

La direttiva " Televisione senza frontiere" fa riferimento a due principi fondamentali: la libera circolazione dei programmi televisivi europei sul mercato interno e l'obbligo per le reti televisive di riservare, ogni volta che sia possibile, più della metà del tempo di trasmissione ad trasmissioni europee. Scopo della direttiva TSF è anche quello di tutelare alcuni obiettivi importanti di interesse pubblico come la diversità culturale e la protezione dei minori. La direttiva risale al 1989, ed è stata aggiornata nel 1997. 

Per controllare  che tutte le disposizioni vengano rispettate, ogni due anni gli Stati membri sono tenuti a trasmettere alla Commissione una relazione, che include anche un rilevamento statistico. La recente relazione Weber sulla direttiva "Televisione senza frontiere" afferma che il modello audiovisivo europeo "riveste un'importanza cruciale per il funzionamento della democrazia, sempre che prevalga la diversità degli apporti e delle opinioni nonché il pluralismo e la diversità culturale" e sottolinea che "deve basarsi sull'equilibrio tra un forte, indipendente e pluralista servizio pubblico e un settore commerciale dinamico e ugualmente pluralista".

Il resoconto di Weber ha confermato una volta di più che il funzionamento della democrazia in un paese moderno è fortemente influenzato dal sistema mediatico, e che è dunque indispensabile l'istituzione di un sistema di controlli ugualitario che impedisca la creazione di monopoli  nel settore della comunicazione. Per quanto concerne lâ??assetto del sistema televisivo e la transizione alla televisione digitale terrestre - a cominciare dal conflitto dâ??interessi â?? quello italiano è un caso unico in Europa. Nel suo rapporto, reso noto a Ginevra lo scorso 18 marzo, l'esperto dell'Onu sulla libertà della stampa, Ambeyi Ligabo, ha sottolineato che â??la concentrazione del controllo dei media nella mani del presidente del Consiglio ha gravemente colpito la libertà di opinione ed espressione in Italia".

Il relatore, su mandato della Commissione dell'Onu sui diritti umani, ha espresso dure parole sullâ??ancora irrisolto conflitto di interessi e sulla lottizzazione, sollecitando una riduzione dell'influenza politica sui media e chiarimenti sulla legge Gasparri. Ligabo aveva paventato il rischio che la concentrazione di ben tre canali televisivi nelle mani del Presidente del Consiglio, sommata alla sua influenza nel settore dei media pubblici, avrebbe favorito â??un clima di intimidazioneâ? che avrebbe indotto gli amministratori pubblici a esercitare la censura e quindi a â??limitare seriamente la libertà di espressione e di opinione in Italia".

Per sua stessa definizione la televisione nazionale dovrebbe garantire agli utenti un servizio pubblico, svincolato dallo Stato e soprattutto dai governi e dai partiti. Per questo è fondamentale ripristinare lâ??autonomia degli operatori del settore, rendendoli liberi da ogni vincolo che non sia la sola etica professionale.
Fatta qualche eccezione, la realtà dei media negli altri Paesi dellâ??Unione è ben diversa da quella italiana. In Gran Bretagna, ad esempio, quello televisivo è un sistema misto pubblico-privato fin dal 1954. Facendo riferimento a un rigido codice di comportamento  la Bbc â?? come del resto gli altri operatori del settore â?? deve garantire determinati standard nei programmi e lâ?? osservanza di principi etici o deontologici. A tale scopo nel 1996 lâ??emittente ha adottato un Producersâ?? Guidelines secondo cui, dovendo assicurare un servizio a tutta la nazione, deve tener presente la diversità di gusti, opinioni e punti di vista di tutti i segmenti e i gruppi del paese.

Anche in Francia il settore è caratterizzato da un sistema misto pubblico-privato. A controllarlo è il CSA (Conseil Supérieur de lâ?? Audiovisuel), unâ?? autorità indipendente dal potere politico che controlla sette canali. In Germania il servizio pubblico include due canali tv nazionali, otto regionali  e quattro canali tematici. Il sistema è caratterizzato da una forte impronta federale: sono infatti i Lander e non lo Stato centrale ad avere la responsabilità normativa sulla tv e ogni modifica della normativa nazionale viene approntata in seguito a un accordo fra le sedici regioni. Recentemente la casa editrice Springer, che pubblica una serie di quotidiani e riviste - tra i quali la "Bild-Zeitung" (che ogni giorno vende l'incredibile cifra di 3,7 milioni di copie) - ha deciso di acquistare il gruppo televisivo Prosieben/Sat1, che ha un'audience media superiore al 20% e controlla il 45% del mercato pubblicitario televisivo tedesco.

Attualmente sono in corso le verifiche dell'antitrust tedesco (Bundeskartellamt) e della commissione per la verifica della concentrazione dei media (KEK), che saranno concluse entro la fine dell'anno. Diverso, invece, è il caso della Slovenia: il prossimo 25 settembre, infatti, gli elettori saranno chiamati alle urne per esprimersi sul referendum che intende abrogare una nuova legge sui media, approvata a tempo di record dal governo di centro-destra contro i pareri di esperti e intellettuali. Dopo l'indipendenza, in Slovenia vigeva infatti una legge che garantiva alla radiotelevisione pubblica piena autonomia, mentre ora le nomine delle più importanti cariche dirigenziali sono influenzate, quando non decise, dagli ambienti politici.

Il processo di revisione della Direttiva "Televisione senza Frontiere", che dovrebbe portare a una proposta concreta entro la fine dell'anno, vede coinvolta la Commissaria competente Viviane Reding, che purtroppo si rifiuta di affrontare il problema del pluralismo e della concentrazione dei media, rifugiandosi dietro la scusa del principio di sussidiarità. La signora Reding sembra intenzionata a rendere più flessibili le regole sulla pubblicità, quando invece sarebbe necessario l'esatto contrario.

Non posso in questo contesto nascondere la mia preoccupazione per la mancanza di attenzione finora dimostrata rispetto ad alcune preoccupanti dinamiche che stanno emergendo prepotentemente in molti Stati dell'Unione. Questi temi, di fondamentale importanza per il futuro delle nostre democrazie, non possono essere lasciati in balia di un â??no mans landâ?? normativo. Si deve evitare con qualsiasi mezzo che lâ??Europa prenda a modello lâ??italianizzazione del sistema dei media.

La Rai non può essere proprietà dello schieramento vincente in uno schema bipolare come oggi avviene, in continuità con la passata lottizzazione proporzionale. La legge Gasparri certifica invece lâ??attuale stato di cose.

I canali diverranno decine ma conta lâ??ascolto e il loro â??peso specificoâ? per orientare valori, emozioni, convinzioni, opinioni degli elettori presenti e futuri. Il numero non fa pluralismo.

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