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Articolo 21 - Editoriali
DOSSIER - Le cifre ufficiali dicono: infortuni in diminuzione. Ma il 75% delle aziende impiega operai irregolari, così gli incidenti â??scompaionoâ?.
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di Giampiero Rossi

Lo ammette anche il ministero della Sanità. Oltre la strage bianca dei cantieri e i «morti fantasma» del lavoro nero

da L'Unità

Quattro morti al giorno. Forse «solo» 1.278 nel 2004. O forse sono più di 1.400. Ma va bene così, câ??è motivo di rallegrarsi, non facciamoci prendere dal solito disfattismo: in realtà, spiega lâ??Inail (che redige le macabre statistiche) è un dato «positivo» perché il «trend» è in costante calo.
Se non si trattasse di vite spezzate e di famiglie in lutto ci sarebbe da sorridere dellâ??ottimismo di Stato che viene diffuso ogni volta che si tratta di stilare i bilanci degli infortuni sul lavoro. Un calo in termini percentuali è sufficiente a trasformare in una festa un appuntamento che dovrebbe amareggiare, indignare, costringere alla ricerca di contromisure. Anche perché le stime dellâ??Ispesl - ministero della Sanità, dunque, mica sindacato - ipotizzano almeno un 40% di casi che sfuggono a qualsiasi statistica perché nessuno li denuncia.
Eccoli i numeri «ufficiali» 966.568 infortuni sul lavoro nel 2004; lâ??anno prima erano 977.310 e quello prima ancora 992.656. Stessa tendenza in diminuzione anche quando si passa al ben più drammatico computo dei morti: 1.278 lo scorso anno (ma si tratta ancora oggi di un dato provvisorio e la cifra vera dovrebbe aggirarsi attorno ai 1.400), 1,430 nel 2003 e 1.481 nel 2002. I settori più colpiti sono lâ??edilizia, lâ??agricoltura e i trasporti, che producono i due terzi degli infortuni complessivi. Ci si fa male o si muore perché le norme di sicurezza vengono trascurate, perché non si spende nelle misure necessarie, nella formazione, perché molti lavoratori (stranieri in testa, ovviamente) sono ricattabili e non protestano di fronte a niente. E tra le imprese piccole tutte queste piaghe sono più frequenti.
Un fenomeno comunque in miglioramento? Câ??è da temere che non sia così. Una spiegazione, che da sola dovrebbe già essere sufficientemente illuminante, riconduce dritta dritta alla voce «lavoro nero». «Un rapporto dellâ??Inps del luglio scorso - spiega infatti Diego Alhaique, del Dipartimento Salute e sicurezza della Cgil - riferisce che il 75% delle aziende ispezioniate impiega lavoro irregolare. E questo incide pesantemente sui dati degli infortuni, perché significa che câ??è un frequente occultamento degli incidenti, per lo meno di tutti quelli lievi. E secondo diverse stime questi eventi «sommersi» oscillano in un numero che va dalle dieci alle venti volte quelli denunciati».
Ma lâ??occultamento può anche riguardare incidenti più gravi, compresi quelli mortali, come raccontano le sconvolgenti cronache di operai stranieri, irregolari, quelli che nessuno cercherà mai, che dopo una caduta da unâ??impalcatura in un cantiere edile vengono spostati - in fin di vita o già cadaveri, chissenefrega - lungo il ciglio di una strada per simulare un incidente stradale. «Basti pensare che i miglioramenti più sorprendenti - sottolinea ancora Diego Alhaique - sono stati registrati proprio nelle regioni del Sud, dove è più evidente lâ??incidenza del lavoro nero e irregolare». Per non parlare dellâ??incredibile numero di infortuni che risultano avvenire proprio nel primo giorno di lavoro dei malcapitati di turno. La spiegazione? Elementare: «Fino a quel momento si trattava di un lavoratore in nero, dopo lâ??incidente il datore di lavoro si affretta a regolarizzare il contratto per evitare guai peggiori. Durante il governo di centrosinistra - ricorda il sindacalista - lâ??Inail aveva presentato uno studio su questo particolare fenomeno, ma poi non lo ha più fatto».
Intanto - basta collegarsi al sito web della Fillea Cgil per constatarlo - il conteggio dei morti sul lavoro deve essere aggiornato quotidianamente, «come in guerra» osserva Cesare Damiano, responsabile delle politiche per il lavoro dei Ds. «E una situazione così drammatica - aggiunge - si accompagna alla logica di svalorizzazione e precarizzazione del lavoro, occorre perciò una netta sterzata, politica sicuramente ma anche culturale, sul tema del lavoro, che ci metta al pari con il resto dâ??Europa. Le leggi ci sono già, credo che dovremo ragionare sullâ??efficacia gestionale e sui controlli».

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