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"Una battaglia che vogliamo vincere"
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di Roberto Natale*

"Una battaglia che vogliamo vincere"

Se il disegno di legge Alfano fosse stato già approvato, il ministro Scajola sarebbe ancora al suo posto. Basterebbe questo solo dato, a spiegare l’enormità dell’impatto che il ddl ora in discussione nella Commissione Giustizia del Senato rischia di avere sulla trasparenza della vita pubblica, dunque sulla qualità stessa della nostra democrazia.
Il caso del “mezzanino vista Colosseo” svela una doppia bugia. La prima riguarda la tutela della riservatezza, la nobile bandiera innalzata dai sostenitori del provvedimento. Qui di privato non c’è proprio nulla:  c’è un ministro in stretti rapporti finanziari con un imprenditore che ottiene appalti dal suo governo. La privacy c’entra così poco che la protesta è  montata anche sul sito del PdL. E ieri “Libero” ci è andato giù duro, definendo il ddl “un autogol” del centrodestra: “si sollevano legittimi dubbi: perché non dobbiamo essere informati delle indagini in corso?”. A rischio, infatti, è l’intera cronaca giudiziaria. E’ la seconda mistificazione: parlare di ddl sulle intercettazioni è riduttivo, anzi fuorviante. Nel caso in questione le intercettazioni non hanno avuto nessun ruolo, eppure dare notizie sarebbe stato egualmente impossibile.
Gli emendamenti della maggioranza hanno reso il testo all’esame del Senato persino peggiore di quello, già assai pericoloso, approvato dalla Camera: del contenuto degli atti di indagine non si può parlare o scrivere  -  nemmeno per riassunto - fino alla chiusura dell’inchiesta, anche quando questi atti non siano più segreti perché sono stati portati a conoscenza delle parti. La cronaca giudiziaria andrebbe in differita: di qualche anno, visti in tempi medi con cui in Italia si arriva ai processi. E si aprirebbe anche un melmoso mercato delle voci, delle allusioni, dei ricatti, alimentato da chi le notizie comunque le conosce e le fa circolare in modo sotterraneo. A garantire questa gigantesca azione di oscuramento dei fatti provvederanno non solo la minaccia del carcere per i giornalisti, ma le maximulte a carico delle aziende: una sanzione che può arrivare a 465mila euro toglierà ogni velleità anche all’editore civilmente più impegnato (che già oggi è merce rara).
Errori ne abbiamo fatti, noi dell’informazione: delle intercettazioni, per esempio, non sempre abbiamo messo in pagina o in onda solo le parti di autentico rilievo pubblico. Ma se davvero fosse questo il problema da risolvere, allora sarebbe stata presa in considerazione la proposta (anche nostra) di una udienza-filtro per secretare tutti i riferimenti a terze persone estranee all’indagine o le incursioni nella vita privata  di chi è sotto inchiesta. E invece la maggioranza non ne ha mai voluto discutere. Perché l’obiettivo vero è far calare il silenzio sul racconto di vicende politicamente imbarazzanti. Per evitarlo, noi giornalisti useremo ogni strumento: sciopero (come già contro il ddl Mastella), disobbedienza alla legge, il ricorso alla Corte Costituzionale in Italia e quello (più rapido) alla Corte europea dei diritti umani. Ma il bavaglio riguarda un’intera società, mica solo una categoria. La mobilitazione che sta crescendo anche  in rete indica che è sempre più chiara la posta in gioco: il diritto di sapere di milioni di cittadini. La piazza del Popolo strapiena del 3 ottobre, così come la miriade di iniziative nate intorno a Raiperunanotte, dicono che sul tema dell’informazione negata è ormai cresciuta una sensibilità diffusa. Chi punta a far approvare il ddl Alfano nel disinteresse generale ha sbagliato i suoi calcoli, e presto se ne accorgerà di nuovo. E’ una battaglia dall’esito ancora aperto, e i giornalisti non si sentono né soli né sconfitti.

* Presidente Fnsi (pubblicato su "Il Manifesto" - 14 maggio 2010)

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