Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - Editoriali
La fine del sogno sionista
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Avraham Burg *

Il sionismo è morto, e i suoi aggressori sono seduti sulle poltrone del governo a
Gerusalemme. Non perdono un'occasione per far scomparire tutto ciò che c'era di
bello nella rinascita nazionale. La rivoluzione sionista poggiava su due pilastri:
la sete di giustizia e una leadership sottomessa alla morale civica. L'una e l'altra
sono scomparse. La nazione israeliana ormai non è altro che un ammasso informe di
corruzione, oppressione e ingiustizia. La fine dell'avventura sionista è vicina. Sì,
è ormai probabile che la nostra generazione sia l'ultima del sionismo. Quello che
resterà dopo sarà uno stato ebraico irriconoscibile e detestabile. Chi di noi vorrà
essere patriota di tale stato?

L'opposizione è scomparsa, la coalizione resta muta, Ariel Sharon si è trincerato
dietro un muro di silenzio. Questa società di instancabili chiacchieroni è diventata
afona. Semplicemente non c'è più nulla da dire: i nostri fallimenti sono evidenti.
Certo, abbiamo resuscitato la lingua ebraica, il nostro teatro è eccellente, la
nostra moneta abbastanza stabile, nel nostro popolo ci sono talenti stupefacenti e
siamo quotati al Nasdaq. Ma è per questo che abbiamo creato uno stato? No, non è per
inventare armi sofisticate, strumenti di irrigazione efficacissimi, programmi di
sicurezza informatica o missili antimissile che il popolo ebraico è sopravvissuto.
La nostra vocazione è diventare un modello, la «luce delle nazioni», e abbiamo
fallito.

La realtà, dopo duemila anni di lotte per la sopravvivenza, è uno stato che sviluppa
delle colonie guidato da una cricca di corrotti incuranti della morale civica e
della legge. Ma uno stato amministrato nel disprezzo della giustizia perde la sua
forza di sopravvivenza. Chiedete ai vostri figli se sono sicuri di essere ancora in
vita fra venticinque anni. Le risposte più lungimiranti rischiano di scioccarvi,
perché il conto alla rovescia della società israeliana è già cominciato.

Non c'è nulla di più affascinante che essere sionista a Beth El o Ofra. Il paesaggio
biblico è incantevole. Dalla finestra ornata di gerani e bougainville, non si vede
l'occupazione. Sulla nuova strada che costeggia Gerusalemme da nord a sud, ad appena
un chilometro dagli sbarramenti, si circola velocemente e senza problemi. Chi si
preoccupa di ciò che subiscono gli arabi umiliati e disprezzati, obbligati a
trascinarsi per ore su strade dissestate e continuamente interrotte da check point?
Una strada per l'occupante, una strada per l'occupato. Per il sionista, il tempo è
rapido, efficiente, moderno. Per l'arabo «primitivo», manodopera senza permesso in
Israele, il tempo è di una lentezza esasperante.

Ma così non può durare. Anche se gli arabi piegassero la testa e ingoiassero la loro
umiliazione, verrà un momento in cui nulla funzionerà più. Ogni edificio costruito
sull'insensibilità alla sofferenza altrui è destinato a crollare fragorosamente.
Attenti a voi! State ballando su un tetto che poggia su fondamenta barcollanti!

Poiché siamo indifferenti alla sofferenza delle donne arabe bloccate ai check point,
non percepiamo più i lamenti delle donne picchiate dietro la porta dei nostri
vicini, né quelli delle ragazze madri che lottano per la propria dignità. Abbiamo
smesso di contare i cadaveri delle donne assassinate dal loro marito. Indifferenti
alla sorte dei bambini palestinesi, come ci possiamo sorprendere quando, con un
ghigno di odio sulla bocca, si fanno saltare per aria come martiri di Allah nei
luoghi del nostro svago perché la loro vita è un tormento; nei nostri centri
commerciali perché non hanno neanche la speranze di fare, come noi, degli acquisti?
Fanno scorrere il sangue nei nostri ristoranti per farci passare l'appetito. A casa
loro, figli e genitori soffrono la fame e l'umiliazione. Anche se uccidessimo 1000
terroristi al giorno, non cambierebbe nulla. I loro leader e i loro istigatori sono
generati dall'odio, dalla collera e dalle misure insensate prese dalle nostre
istituzioni moralmente corrotte. Fintanto che un Israele arrogante, terrorizzato e
insensibile a se stesso e agli altri si troverà di fronte una Palestina umiliata e
disperata, non potremo andare avanti. Se tutto ciò fosse inevitabile e frutto dei
disegni di una forza soprannaturale, anche io starei zitto. Ma c'è un'altra opzione.
Ed è per questo che bisogna urlare.

Ecco quello che il primo ministro deve dire al popolo: il tempo delle illusioni è
finito. Non possiamo più rimandare le decisioni. Sì, amiamo il paese dei nostri
antenati nella sua totalità. Sì, ci piacerebbe viverci da soli. Ma così non
funziona, anche gli arabi hanno i loro sogni e le loro esigenze. Tra il Giordano e
il mare, gli ebrei non sono più maggioranza. Conservare tutto gratuitamente, senza
pagarne il prezzo, miei cari concittadini, è impossibile.

Ã? impossibile che la maggioranza palestinese accetti di sottomettersi al pugno di
ferro dei militari israeliani. Ã? impossibile credere che siamo la sola democrazia
del Medioriente, perché non lo siamo. Senza l'uguaglianza completa degli arabi, non
c'è democrazia. Conservare i territori e una maggioranza di ebrei solo nello stato
ebraico, rispettando i valori dell'umanesimo e della morale ebraica, rappresenta
un'equazione insolubile.

Volete una maggioranza ebraica? O ammasseremo tutti gli arabi in vagoni  treno, in
autobus, su cammelli o asini per espellerli. Oppure dobbiamo separarci da loro in
modo radicale. Non ci sono mezzi termini. Ciò implica lo smantellamento di tutti -
dico bene: tutti - gli insediamenti e la determinazione di una frontiera
internazionale riconosciuta tra lo stato nazionale ebraico e lo stato nazionale
palestinese. La legge del ritorno ebraica sarà applicabile soltanto all'interno
dello stato nazionale ebraico. Il diritto al ritorno arabo sarà applicabile
esclusivamente all'interno dello stato nazionale arabo.

Se è la democrazia ciò che volete, avete due opzioni: o rinunciate al sogno del
Grande Israele nella sua totalità, alle colonie e ai loro abitanti, oppure concedete
a tutti, compresi gli arabi, la piena cittadinanza con diritto di voto alle elezioni
politiche. In quest'ultimo caso, coloro che non volevano gli arabi nello stato
palestinese vicino li avranno alle urne, a casa propria. E loro saranno maggioranza,
noi minoranza.

Questo è il linguaggio che deve adottare il primo ministro. Spetta a lui presentare
coraggiosamente le alternative. Bisogna scegliere tra la discriminazione etnica
praticata da ebrei e la democrazia. Tra le colonie e la speranza per due popoli. Tra
l'illusione di un muro di filo spinato, dei check point e dei kamikaze e una
frontiera internazionale accettata dalle due parti con Gerusalemme capitale comune
dei due stati.

Ma, purtroppo, non c'è alcun primo ministro a Gerusalemme. Il cancro che divora il
corpo del sionismo ha già raggiunto la testa. Le metastasi fatali sono lassù. �
accaduto in passato che Ben Gurion commettesse un errore, ma è rimasto comunque di
una rettitudine irreprensibile. Quando Begin sbagliava, nessuno metteva in
discussione la sua buona fede. E lo stesso succedeva quando Shamir non faceva nulla.
Oggi, secondo un sondaggio recente, la maggioranza degli israeliani non crede nella
rettitudine del primo ministro, anche se continua ad accordargli la propria fiducia
sul piano politico. Detto in altri termini, la personalità dell'attuale primo
ministro simboleggia le due facce della nostra disgrazia: un uomo di dubbia
moralità, gaudente, incurante della legge e modello negativo di indentificazione. Il
tutto combinato con la sua brutalità verso gli occupati, che rappresenta un ostacolo
insuperabile alla pace. Da ciò deriva una conclusione indiscutibile: la rivoluzione
sionista è morta.

E l'opposizione? Perché mantiene il silenzio? Forse perché siamo in estate? O perché
è stanca? Perché, mi chiedo, una parte dei miei compagni vuole un governo a ogni
costo, foss'anche quello dell'identificazione con la malattia piuttosto che della
solidarietà con le vittime della malattia? Le forze del Bene perdono la speranza,
fanno le valige e ci abbandonano, insieme al sionismo. Uno stato sciovinista e
crudele in cui imperversa la discriminazione; uno stato dove i ricchi sono
all'estero e i poveri deambulano nelle strade; uno stato in cui il potere è corrotto
e la politica corruttrice; uno stato di poveri e di generali; uno stato di
razziatori e di coloni: questo è in sunto il sionismo nella fase più critica della
propria storia.

L'aternativa è una presa di posizione radicale: il bianco o il nero - tirarsi
indietro equivarrebbe a essere complici dell'abiezione. Queste sono le componenti
dell'opzione sionista autentica: una frontiera incontestata; un piano sociale
globale per guarire la società israeliana dalla sua insensibilità e dalla sua
assenza di solidarietà; la messa al bando del personale politico corrotto oggi al
potere. Non si tratta più di laburisti contro il Likud, di destra contro sinistra.
Al posto di tutto ciò, bisogna opporre ciò che è permesso a ciò che è proibito; il
rispetto della legge alla delinquenza. Non possiamo più accontentarci di
un'alternativa politica al governo Sharon. Ci vuole un'alternativa di speranza alla
rovina del sionismo e dei suoi valori da parte di demolitori muti, ciechi e privi di
ogni sensiblità.

*Deputato laborista Israeliano, ex presidente della Knesset (1999-2003), ex
presidente dell'Agenzia ebraica

Letto 897 volte
Notizie Correlate
Audio/Video Correlati
Dalla rete di Articolo 21