Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - Editoriali
L'accelerato della sera
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Marco Travaglio

Era sceso in campo, in missione per conto di Dio come i Blues Brothers. Aveva «bevuto l'amaro calice» perchè «il maggioritario è la nostra religione» (2/2/95) e «vogliamo una scelta chiara per l'uninominale maggioritario, senza più quota proporzionale» (7/6/94). Scacciò i mercanti dal tempio: «Se vogliono tornare al proporzionale e al consociativismo si sbagliano di grosso!» (15/5/95), perché «io nutro diffidenza e paura per il tentativo di tornare al proporzionale, per questo disegno di ripristinare la logica dei pedaggi. Il consociativismo fu il male oscuro della vecchia Repubblica proporzionalistica. Bisogna eliminare la quota proporzionale che ha travolto il maggioritario, per togliere alla nomenklatura la possibilità di entrare in Parlamento attraverso una scorciatoia» (29/6/95). Invocò «il turno unico senza la quota proporzionale» (2/8/95). Denunciò «chi vuol tornare al Grande Centro, al proporzionale, alla palude del consociativismo» (27/5/96). Ma non fece nomi.
Ora, dopo lunghe ricerche, s'è scoperto chi vuole tornare alla palude, ai pedaggi, al consociativismo, al male oscuro della vecchia Repubblica e vuole entrare in Parlamento con una scorciatoia: lui.
Ancora quattro mesi fa giurava: «Mai detto di voler tornare al proporzionale» (30/4/2005). E tutti a crederci. Si potrebbero riempire trenta volumi della Treccani con i peana dei Panebianco, Galli della Loggia e Ostellino con Pigi Cerchiobattista al seguito, dei Platinette, Adornato, Bondi, Budget Bozzo, Foa (figlio), Guzzanti (padre) e PorompomPera al «salvatore del maggioritario», al «garante del bipolarismo». Ora naturalmente, nella corte dei miracolati, tutti i devoti all'uninominale diventano tifosi accaniti del proporzionale: non si alza un sopracciglio per il ribaltone del padrone. Nemmeno dai celebri «moderati del Polo», gli Udc, con cui i buontemponi della sinistra «riformista» cercavano il dialogo e financo la desistenza fino a poche ore fa. Anzi, è proprio l'Udc lo sponsor del golpe. La stessa Udc che, sulla par condicio, intimava: «Non si cambiano le regole alla vigilia del voto».
In compenso, dal fronte terzista, qualcosa si muove. Pigi Cerchiobattista verga sul Corriere un vibrante commento contro chi «cambia radicalmente all'ultimo momento la legge elettorale», «il trionfo della convenienza privata a scapito dell' interesse pubblico», «un atto d'imperio del giocatore più forte per darsi un vantaggio improprio e sfavorire platealmente l'avversario», «uno strappo al fair play istituzionale», un «espediente per raddrizzare un destino elettorale da tutti accreditato come negativo», «un abito elettorale cucito apposta per favorire l'attuale maggioranza», «un atto di prepotenza« su una materia che «non può essere decisa da una maggioranza a suo insindacabile piacimento».
Gliele ha cantate chiare, stavolta, il vecchio Pigi. Peccato che sia tardi. Nel '94, conoscendo il Cavaliere fin troppo bene, Indro Montanelli annunciò sulla Voce il «regime» nascente. Dal '99 al 2001, stavolta sul Corriere, tornò a ripetere con quanto fiato aveva in gola che «Berlusconi farà un regime», perché «non sa cosa sia la democrazia» e «lui non ha idee: solo interessi». Lo stesso, sempre sul Corriere, scrissero Biagi e Sartori. Prediche nel deserto.
Cerchiobattista e le altre allegre comari di Via Solferino continuarono a solfeggiare all'ora del tè: non esageriamo, non demonizziamo, basta con i «toni apocalittici».
Bobbio, Sylos Labini e Galante Garrone firmarono un appello sui «rischi per la democrazia» da una vittoria berlusconiana, ma Mieli, Salvati, Debenedetti e altri alzarono il ditino dalla tazzina e firmarono il contrappello del Foglio: nessun pericolo, «serena» alternanza. Poi l'Unto prese a fare il suo prevedibilissimo gioco. Una trentina di leggi ad personam, contro la Giustizia e la Costituzione.
L'Unità e pochi altri parlarono di «regime». Ma le allegre comari seguitavano a cinguettare: abbassate i toni, lasciatelo fare, così poi si placa. Prodi parlò di «dittatura della maggioranza», ma fu subito zittito: mica siamo al fascismo, diamine! Ora Cerchiobattista, questo accelerato del giornalismo, scopre all'improvviso che c'è «un uso disinvolto della maggioranza» e si «stravolge la cornice delle regole a colpi di maggioranza». Ma va? Che prontezza di riflessi! Purtroppo dimentica di scusarsi con chi aveva capito tutto 10 o 5 anni fa. Cari Indro, Enzo, Sandro, Norberto, Paolo, Giovanni, scusate il ritardo: sono un accelerato.

Letto 607 volte
Notizie Correlate
Audio/Video Correlati
Dalla rete di Articolo 21