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Articolo 21 - Editoriali
Rai, un piano da società di consulenza
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di Stefano Munafò

da .com
Nel progetto di centralizzazione burocratica l'unica eccezione è rappresentata dalla controllata Rai Trade

Uno dei rami più fatui  della c.d. sociologia d??azienda, è certamente la teoria dell??organizzazione. Di solito esperti e consulenti di prestigio sono costretti ad attaccare il cappello dove vuole il committente di turno. Si disegnano così piani su misura, dando patina e lustro alle architetture più scombinate o conferendo razionalità alle contraddizioni e coperture formali ai ??desiderata? più reconditi del committente stesso. Per non parlare poi del linguaggio criptico, inventato anche per nascondere tutte queste contraddizioni.
Perciò non mi dilungherò ancora troppo sul piano Cattaneo e sulle sue coerenze, se non per completare il quadro della puntata di ieri (martedì 20 su .Com), per poi passare a considerazioni più generali e conclusive.
Abbiamo analizzato lo svuotamento progressivo delle Reti, frutto del nuovo ??centralismo burocratico?. In tutto questo processo di accentramento nella costellazione che ruota attorno al DG della Rai, esiste una vistosa deroga degna di interesse: Rai Trade (che attualmente è una consociata esterna alla Rai, che si occupa della commercializzazione), ingloba, ora, le funzioni precedentemente svolte dal Dipartimento Sportivo della Rai stessa, che si occupava degli acquisti sportivi. Non è un fatto marginale.
E per capire meglio di cosa si tratti, basta citare alcune cifre. Nel piano triennale 2004/2006, per gli acquisti sportivi, pare siano previsti investimenti che vanno attorno ai 300 milioni di euro per il primo anno, scendono attorno ai 170 milioni di euro nel secondo, per risalire attorno ai 260 milioni per il 2006. Sono cifre da capogiro, che oscurano persino i budget delle tre Reti Rai. La cessione di un ramo aziendale, prevista dal piano Cattaneo a favore di Rai Trade, li sottrae ora allo stesso potere di controllo dell CdA della Rai. Chi sarà il fortunato e più libero gestore? Lo sapremo con le prossime nomine. Sino all??altro ieri lo è stato Paolo Francia, antico dirigente Rai e uno dei pochi quadri interni con valida esperienza professionale vicino ad An. Francia negli ultimi anni si era contraddistinto per una politica dura e rigorosa nella contrattazione dei diritti televisivi con le società di calcio. L??ex Dg Agostino Saccà (e va detto a suo merito, in questa vicenda) ne aveva avallato la linea e la Rai per la prima volta era riuscita a frenare e invertire la china delle aspettative crescenti dei clubs, usi a scaricare sui diritti televisivi il malgoverno delle varie società calcistiche.
Ora Francia è stato destituito ed è diventato il primo dirigente Rai che promuove un contenzioso legale, dopo il varo del piano, contro l??organigramma Cattaneo. Una brutta storia di faide interne, si sussurra nei corridoi della Rai, non so con quale fondamento. Resta il fatto che su Rai Trade peserà ora questo nuovo ??fardello?. Ma la situazione della consociata Rai, addetta alla commercializzazione dei programmi, non è tra le più felici. Secondo L??European Audiovisual Observatory, la Rai è la televisione pubblica dell??Unione europea che realizza i minori introiti dalla vendita di programmi e di format, appena il 6% delle proprie entrate (cit. fonte ??Tivù?). E Rai Trade, per varie ragioni non tutte addebitabili alla società, avrà difficoltà a risalire la china.
Nel segno assoluto dell??accentramento è invece concepita la nuova missione della Direzione Comunicazione. Questa direzione ora fagocita (sotto la responsabilità unica di Guido Paglia) anche la Direzione delle Relazioni Esterne e Istituzionali, prima affidate a Per Luigi Malesani, un eccellente professionista di origine IRI. L??obiettivo dichiarato (e perseguito con tenacia non solo da Paglia, ma dallo stesso Cattaneo) è quello di ??creare un punto unico di presidio dei rapporti esterni ?? istituzionali e non -, rafforzando il coordinamento dei rapporti con la stampa e il supporto delle Reti nella comunicazione di prodotto, creando un presidio unico a riporto del Direttore Generale per la gestione della stampa sui temi aziendali? (...!!).Se a questi obiettivi,  descritti con linguaggio para-militaresco, si aggiungono le copiose circolari interne con le quali il Dg ricorda, di occasione in occasione, a tutti i dirigenti il divieto di rilasciare interviste, pena ammonimenti e sanzioni, viene voglia di ironizzare sulla sottocultura che sta dietro queste ossessioni.
La Rai è un??azienda di comunicazione che, direi, comunica con tutti i pori e l??epidermide del suo corpaccio. Lo fa direttamente con la miriade dei suoi programmi, buoni o cattivi che siano. Lo fa con le centinaia di sue redazioni, con le migliaia di collaboratori interni ed esterni, a vario titolo. Come si fa a pensare a un ??presidio-unico?, a un imbuto attraverso cui deve passare tutto: dalla ??comunicazione istituzionale e non? ai ??rapporti con le Autority?, alle ??relazioni centrali e locali?, a quelle ??nazionali e internazionali?? Dovremmo ritornare a tempi antichi. Questo sicuramente non può accadere. (Di fatto non succede, neppure, per la comunicazione dei vari Ministri del Gabinetto, come si lamenta sempre giustamente il Cav. che, evidentemente, non può disporre di un suo Paglia).
E?? allora da chiedersi ancora del perché della istituzione di questo ??presidio unico? omnicomprensivo. La mia risposta, non ironica ma opinabile, è che si sa che nei fatti non potrà funzionare. Ma intanto si pongono le basi organizzative e di principio perché si possa intervenire nei casi in cui si decida di farlo. E che potranno riguardare, essenzialmente, i programmi delle Reti e dei Tg, i casi politici e quelli censori. Ricorrendo, magari, alla politica dei ??due pesi e delle due misure?, come spesso ricorda quella rompiballe della Lucia Annunziata (amata in Rai, per questa sua franchezza, tanto a destra che a sinistra).
Non mi sarei dilungato sulla Direzione della Comunicazione etc. etc., se anche qui, come per le Reti, non riemergessero i segni che l??idea del pluralismo delle voci (che si declama nelle dichiarazioni di principio) infastidisce questa Rai nei fatti. E viene osteggiato in azienda con malcelato cipiglio autoritario, camuffato da esigenze imprenditoriali.
E qui veniamo alle considerazioni conclusive. Dopo la riforma storica della Rai del 1975 (quella che introdusse in Rai, sì, la lottizzazione, ma anche l??autonomia e la concorrenza tra le Reti, il pluralismo culturale e un grande potenziamento della produttività interna), sono stati fatti altri importanti tentativi di cambiare insieme l??organizzazione e la filosofia editoriale della Rai. Uno di questi tentativi significativi è stato quello del Consiglio c.d. dei Professori, presieduto da Claudio Demattè (luglio 1993 ?? luglio 1994); l??altro, quello di Pierluigi Celli, durante il secondo CdA dell??Ulivo (febbraio 1998 ?? febbraio 2003).
Nel primo tentativo si voleva fare della Rai una ??Banca d??Italia?, una istituzione autonoma dai partiti, sull??esempio della BBC. Nel secondo tentativo, sostanzialmente, si puntava sulla costruzione delle ??Divisioni?, come sorta di embrioni societari, per preparare l??eventuale privatizzazione di una Rete. Se volete, su versanti opposti, due ??utopie? televisive ??alte? e, forse per questo, irrealizzabili e irrealizzate: la Rai che resta tutta intera ma che diventa come la BBC; la Rai che si privatizza in parte, e nella parte che resta fa più servizio pubblico.
Rispetto a questi tentativi precedenti, il piano di Cattaneo, anche nelle sole intenzioni, appare come un progetto ??basso?, modesto e incoerente. Senza un??idea-forza vera, che non sia quella del mero impossessamento burocratico dei vari gangli. Un??idea venata di strisciante e velleitario autoritarismo. Cattaneo, certo, non ha potuto puntare su un processo di imprenditorializzazione reale della Rai, perché questo comporterebbe come sbocco finale la privatizzazione. Sbocco che la legge Gasparri sostanzialmente non vuole, né in tutto né in parte. E infatti lo prevede solo in forme risibili.
Ma Cattaneo non ha saputo o potuto puntare neanche (e questo diventa più grave ed è una sua colpa specifica) su una rivitalizzazione del pluralismo interno alla Rai, che passa inevitabilmente attraverso l??autonomia delle Reti, unitamente alla riqualificazione dei programmi da servizio pubblico. Popolari sì, ma lontani dalle forme più logore della Tv commerciale. E in questo il retroterra culturale di An e la sua personale inesperienza nel settore specifico della industria culturale italiana, non lo hanno aiutato. Ma a che cosa è servita (per lo meno in Rai) la recente e proclamata rivoluzione liberale di An? La Rai oggi è certamente meno libera di Mediaset.
Con l??occhio al passato nobile della Rai, basti ricordare che fu la Dc di 
Bernabei ad aprire in azienda ai socialisti con la Rai Due di Fichera e di Mattucci. E fu la Rai di Manca e di Agnes a progettare la Rai Tre di Guglielmi. Oggi questi sarebbero sicuramente ??azzardi? ed ??orizzonti? troppo alti per la forza e le capacità dell??attuale gruppo dirigente della Rai che, nel suo ristretto vertice, non riesce, non dico ad affidare una rubrica a  Santoro , ma neppure un contenitore a un giornalista della Lega.
Cattaneo ha così partorito un modesto disegno da società di consulenza che ??può e che non può? e che, in conclusione, finisce per peggiorare la realtà esistente. Una Rai ministerializzata, che non solo nei fatti (ma ora anche nelle sue missioni codificate) esprime la programmazione più commerciale della sua storia (mentre è proprio la Tv di  Piersilvio Berlusconi  a ??ripensare? i suoi programmi e la sua organizzazione).
Quando, a seguito dei nuovi meccanismi di elezione previsti dalla stessa legge Gasparri per il nuovo CdA della Rai, i rappresentanti diretti dei partiti ritorneranno al governo dell??azienda, questa contraddizione diventerà insopportabile. E qualcuno, forse, si ricorderà della lapidaria sentenza dell??erede del Cav: ??Una Rai così non serve neanche al Centro Destra?.

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