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Articolo 21 - Editoriali
IL CREDITO di un Paese, che non ha più ...
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di Roberto Napoletano

da Il Messaggero

IL CREDITO di un Paese, che non ha più una sua moneta nazionale, è affidato agli uomini che lo rappresentano. Al suo buon nome nel mondo. Per â??tutelarloâ? siamo riusciti ad evitare in extremis che a rappresentare lâ??Italia al Fondo monetario a Washington, tra tanti politici, fosse il â??primo impiegatoâ? della nostra amministrazione finanziaria (anche se non è il caso di ribadire quanta stima nutriamo per chi la rappresenta). Ma non siamo riusciti ad evitare che la Cnn lanciasse sugli schermi di mezzo mondo la notizia delle dimissioni del ministro dellâ??Economia italiano, Domenico Siniscalco, nelle ore in cui tutti lo attendevano al vertice. Compiendo, subito dopo, il capolavoro, forse davvero unico anche in una società globalizzata come è quella attuale, di â??sfiduciareâ? il governatore della Banca dâ??Italia, Antonio Fazio, mentre è in volo per andare a rappresentare il nostro Paese al di là dellâ??Atlantico. Se si avvertiva questa esigenza (e non si può dire che fossero mancati i segnali) ci si poteva anticipare almeno di ventiquattro ore. Poiché le cose ci piace farle in grande, abbiamo anche appreso da un ministro in carica, Costituzione alla mano, che il suo presidente del Consiglio parla a titolo personale. E abbiamo assistito, sempre nella stessa giornata, allo spettacolo del ritorno alla guida dellâ??Economia di Giulio Tremonti sotto la spinta decisiva dello stesso leader politico che poco più di un anno fa lo aveva costretto alle dimissioni ponendo come condizione della sua nomina di fare oggi la stessa, identica cosa (sfiduciare Fazio) per la quale lo aveva costretto a ritirarsi. Fermiamoci, qui.
In questa girandola vorticosa di uomini e comportamenti intorno al buon nome del Paese rischiamo di smarrire il governo dellâ??economia. Non ci si occupa, come si dovrebbe, delle esigenze contingenti ma delicatissime poste dalla Finanziaria, in gioco ci sono la tenuta dei conti pubblici e le residue speranze di fronteggiare una crisi molto dura. E da troppo tempo si è persa lâ??abitudine di misurarsi con lâ??esigenza, altrettanto inderogabile, di liberare lâ??economia dai vincoli di una cultura allergica alle regole e a una sana concorrenza. Vorremmo proprio dire che il buon nome dellâ??Italia è salvo. Purtroppo, non è così. Ci resta solo la speranza di essere clamorosamente smentiti.

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