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Articolo 21 - Editoriali
Finalmente il cono di luce di Velardi schiarisce le tenebre della televisione italiana
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di Spettatore avvertito

Interessante. Molto interessante lâ??intervista di Claudio Velardi al Corsera del 4 ottobre. Interessante per molti motivi.
Primo perché chiarisce quale sia la sua posizione rispetto al mondo della comunicazione radiotelevisiva. Secondo perché apre uno squarcio nellâ??asfittico dibattito sulla RAI. Terzo perché il suo intervento appare sul Corriere della Sera che a quanto pare considera le vicende e i litigi dei salotti televisivi, una notizia bomba che richiede anche due intere pagine in un giorno. Mentre pezzi interi di azienda finanziata dai soldi del canone sono alla deriva in un mare magnum di conflitto di interessi, gestiti da manager ed ex collaboratori del Presidente del Consiglio, Velardi sostiene che il punto non è la pressione politica del governo sulla RAI e si erge a difensore di un prodotto di qualità e di modelli consoni. 
Ma prima di entrare nel cono di luce che Velardi apre nelle tenebre della televisione italiana, è interessante rilevare la parabola che lo ha portato direttamente dai palazzi del potere al mondo degli affari. Affari, purchèssia, di qualunque genere. Dopo il clamoroso party in cui inaugurò la sede della sua società Reti, proprio sopra la casa romana di Silvio Berlusconi, Velardi annunciò che la sua attività sarebbe stata quella di rappresentare interessi e persone sulla scena del potere politico ed economico romano. Insomma quello che gli anglosassoni con impareggiabile brevità definiscono lobby. Ma se nel frattempo vi siete distratti allora sarete sorpresi di sapere che il prolifico uomo dâ??affari Velardi gestisce per il Ministero degli Esteri corsi di giornalismo e corsi di formazione per addetti stampa irakeni, e ora anche fiction, o meglio una delle più importanti serie di fiction che la tv pubblica produrrà. 
Questo solo per citare la punta dellâ??iceberg di un piccolo impero che oggi gli permette di definirsi produttore ed editore.
E qui veniamo alle solite lamentele e vittimismo di chi come Articolo 21 ha raccolto in questi anni le voci di produttori, giornalisti, autori, tecnici che hanno visto affievolire negli ultimi anni occasioni di lavoro e opportunità di produrre.

In buona sostanza Velardi ci spiega che lâ??analisi del mondo della comunicazione italiana è solo questione di punti di vista. Se si può annoverare Agostino Saccà come amico da dodici anni (..ormai passa quasi per essere un rivoluzionario..) è molto facile mettere su una società che con capitali di un fondo pensioni estero ottenga un appalto per produrre fiction.
Insomma i problemi dellâ??industria audiovisiva italiana non sono certo nella presenza di un duopolio asfittico che privilegia produzioni di reality show. Il problema della televisione italiana non è quello di  concentrare nelle mani di una concessionaria pubblicitaria la quasi totalità delle risorse. Non è che solo una minima parte di questi investimenti si traduce in prodotti audiovisivi. Non è la mancanza di regole e soprattutto lâ?? incapacità di far rispettare le poche regole esistenti. Il problema non è il monopolio della pay-tv che taglieggia il piccolo mondo degli editori indipendenti, il monopolio di Sky che chiude Cult Network e minaccia di chiudere Planet (a proposito non è forse stato Murdoch uno dei primi clienti di Velardi?).
La questione non è la mancanza di controlli che permette ai tecnici di Sky di attribuire un tasto del telecomando piuttosto che un altro sfavorendo a piacimento chi ha lâ??ardire di produrre televisione al di fuori dellâ??oligopolio.
Il problema della televisione italiana non è quello di una classe dirigente raccogliticcia pronta ad accogliere ogni venticello proveniente dai palazzi romani come ordini di scuderia e ad eseguire repentinamente le â??ideeâ? espresse dal capo del governo (non è forse anche lui un cittadino libero di esprimersi secondo quanto detta lâ??Articolo 21 della Costituzione?).

Il problema della televisione italiana non è quella di aver creato veri e propri feudi televisivi che amministrano interi pezzi di palinsesto e di risorse. Né è un torto nominare direttori di telegiornale e direttori di rete con il criterio della fedeltà. Non è un problema aver avvallato un sistema di rappresentazione del potere accondiscendente e acritico. Non è importante aver estromesso Biagi, Santoro, Luttazzi.

Quello che conta è che questo sistema sia capace di produrre â??Un medico in Famigliaâ? una fiction che riporta finalmente al centro dellâ??attenzione â??â?¦il paese legato alla famiglia e privo di eccessi..â?.
Non è dunque importante sapere quanti paesi, quanti broadcaster siano corsi a comprare i diritti di questa fiction irrinunciabile. Né è importante sapere se siano state rispettate le quote di produzione italiana ed europea. (Per evitare inutili ricerche sul sito dellâ??autorità delle comunicazioni ve lo diciamo noi: NO).

Insomma per Velardi ciò che conta è avere qualche buon amico, e mostrare un dinamismo economico che lascia indietro tutti coloro che non abbiano qualcosa da scambiare con il potere politico. Eâ?? questo il segreto del successo del Velardismo. Quello di non guardare in faccia a nessuno. A Velardi va riconosciuto il merito di aver finalmente messo in un angolo â??.. una sinistra preistorica che non ama ancora la tv, che la ritiene quasi una schifezzaâ?.
Grazie Velardi. Da domani guarderemo con più ottimismo alla nostra televisione e a quanto produce. Ci sorbiremo i panini di Pionati con più indifferenza, tanto ci pensa nonno Libero a rimettere le cose in chiaro sulla Finanziaria e sui conti pubblici.

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