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Articolo 21 - Editoriali
Il sistema dei media in Italia: topini ciechi e cavalli pazzi
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di Duilio Giammaria

La serata di ieri ci ha riunito in un degli ormai consueti appuntamenti in cui scambiare idee e ritrovare vecchi amici.
Grazie alla capacità della nostra associazione e allâ??infaticabile di tenere insieme e rappresentare i vari pezzi dellâ??industria dei media, la serata di Articolo 21 è stata lâ??occasione di un bilancio.

Ecco in estrema sintesi la riflessione che emerge dopo le chiacchierate fatte durante la serata:

Ogni giorno, quasi senza accorgerci, gli spazi di lavoro che amiamo, quelli delle notizie date senza filtri, quelli dellâ??approfondimento, quelli dellâ??analisi e della riflessione si sono affievoliti.  I più fortunati tra noi si sono ritagliati degli spazi, una sede estera, un desk in una testata â??amicaâ?, qualche speciale, rubriche notturne.

Là fuori nel frattempo sono cresciute le factory di format. Importati, adattati alla meno peggio. Piccoli colossi che hanno guadagnato anno dopo anno spazio nei palinsesti. Unâ??outsourcing selvaggio e apparentemente ineluttabile ha vampirizzato la produzione televisiva.

Lâ??intero settore dellâ??industria audiovisiva e dei media ha senza tema di smentite, una bilancia commerciale deficitaria. Importa molto esporta quasi nulla. Produce molti prodotti di flusso e pochi ad uso ripetuto.
Ovvero il sistema dei media investe le proprie risorse (canone, pubblicità, convenzioni con Ministeri e in generale tutto quello che sponsor pubblici e privati investono nel settore) in operazioni di massimo ascolto e di minimo costo.

Così il nostro sistema diventa autoreferenziale, incapace di rinnovare linguaggi e tecnologie. Un fenomeno dellâ??impoverimento delle risorse e dei contenuti che investe gli attori principali (RAI, Mediaset) ma che si riversa su tutta la piramide sino a aggiungere le televisioni locali e quelle satellitari.

Zapping e confronti
Lo zapping sulle frequenze hertziane nei momenti migliori offre prodotti che quando va bene scimmiottano le produzioni delle televisioni principali, poi in certe fasce orarie diventa puro trash, e trascina i tiratardi in un affascinante abisso di stupidità volgare. Lo zapping sul satellite Hot Bird non offre migliori chance (per ciò che riguarda i canali gratuiti). Televisioni regionali ispirate a modelli folklorici che non esistono più neanche nei sussidiari delle scuole parrocchiali: quelle siciliane e calabresi, sono piene di tarantelle e improbabili premiazioni letterarie, poi ci sono tv comunali con contenuti talmente poveri che uno si chiede se non sarebbe più interessante riprendere il segnale di Earth Tv, la società che offre alle televisioni un interminabile seqenza di â??cartolineâ? dai quattro angoli del mondo.

Chi le finanzia? Con quali motivi? Che aspettative di mercato hanno? A quale pubblico parlano? Nessuno lo sa.

Lo stesso identico misterioso ciclo economico che brucia â??il tesoro nazionaleâ? di canone e pubblicità in sei canali generalisti che si scimmiottano a vicenda, con piccole variazioni sul tema, si riproduce in mille piccole aziende in cui bassa qualità del prodotto e gravi violazioni del diritto del lavoro, vanno di pari passo.
Lo stesso zapping sugli stessi satelliti rivela che lì fuori câ??è un altro mondo televisivo: BBC World con le sue news e i suoi reportage, Arte con le sue serate tematiche, etc etc.

Da noi invece lâ??intero sistema dei media è boccheggiante. O meglio, i feudi pubblicitari producono ogni anno miracoli economici con tassi di crescita di tipo cinese (uno più di tutti, indovinate quale?). Ma al di là della questioni violate delle posizioni dominanti e del pluralismo delle voci, solo una minima parte di queste risorse vengono iniettate nella produzione e la gran parte di questa minima parte alimenta un sistema di divismo super pagato che a sua volta produce programmi di flusso (decine di ore alla settimana affidate allo stesso personaggio).

Lâ??industria audiovisiva
Lâ??industria audiovisiva e il suo considerevole indotto (si è detto che solo nel Lazio ci sarebbero 250.000 posti di lavoro in questo settore) è impegnato in prodotti di scarsissimo valore aggiunto (doppiaggi, riprese di studio, troupe ENG dâ??appalto sempre meno pagate e qualificate). I prodotti ad alto valore aggiunto e ad uso ripetuto (fiction, cinema, documentari) quelli che richiedono professionalità qualificate e quindi ben remunerate, sono ormai ridotte a piccole isole. Sono pronto ad accettare dimostrazioni che smentiscono questa analisi.

Il dibattito politico ancorato al pur rilevante tema del pluralismo è inconsapevole, tranne qualche raro e inascoltato intervento, dallâ??evoluzione tecnologica e soprattutto dellâ??impatto che la situazione ha avuto sul prodotto. Inconsapevole nella stragrande maggioranza delle implicazioni â??culturaliâ?, e sistemiche di una tale situazione. Ennio Remondino ha brillantemente coniato lâ??immagine di un gruppo di persone sempre più spesso impegnato a parlare di televisione piuttosto che a farla.
Non si può negare che in parte sia così.

Dopo anni di inesauribili dibattiti su doppia piattaforma, piattaforma aperta, etc etc, e dopo diverse centinaia di miliardi impiegati da Stream in produzioni che sembravano avere lâ??unico scopo di creare comodi posti di lavoro per amanti e parenti, è ormai nelle solide mani del più grande tycoon del pianeta. Il brillante analista Antonio Sassano ripete che il sistema dei media potrà essere pluralista solo se il sistema si orienta in tal senso: ha coniato la definizione di â??pluralismo strutturaleâ? per spiegare che un sistema pluralista è lâ??effetto di scelte strutturali (frequenze, risorse, etc etc).

Un dibattito balbettante
Poche volte si riesce a parlare del prodotto, del sistema tecnologico, sviluppando ragionamenti coerenti. Tutti parlano di televisione come si parla di calcio al bar. Ognuno ha la sua visione (parziale), ognuno la sua ricetta magica che inevitabilmente si occupa solo del proprio settore. Giornalisti che invocano libertà di opinione, produttori che richiedono rispetto delle quote, esperti di nuovi media che condannano lâ??immobilismo del settore. Come topini ciechi ogni settore gira intorno alla sua ruota senza mai arrivare da nessuna parte.

I convegni di cui tutti noi siamo ormai diventati abituèe come partecipanti, relatori, critici, osservatori, rispecchiano questa incapacità progettuale, lâ??inabilità a creare consenso intorno alle proposte.

Lâ??intero settore ritorna come una mandria di cavalli pazzi a rifugiarsi nel luogo da cui dovrebbe fuggire: la stalla in fiamme della politica. 

La storia insegna che il motivo del declino di una società è spesso dovuta allâ??incapacità di analizzare i problemi che a davanti a sé, allâ??incapacità di adattarsi e utilizzare le novità. Il declino di una società è spesso dovuta allâ??incapacità di â??pensarsiâ?, di riunirsi intorno a modelli efficienti. Il declino avviene inevitabilmente quando la selezione della classe dirigente, manager, direttori di testata, politici non funziona sulla meritocrazia, sulla capacità, sullâ??esperienza.
Ci siamo ormai abituati a giocare in un campo di calcio in cui arbitri e regole vengono modificate in corso di gioco, in cui qualunque uomo politico alla ricerca di qualche facile â??takeâ? di agenzia si permette esternazioni che quando va bene sono banali ma di solito rasentano la demenzialità.

Ma in fin dei conti quel campo in cui giochiamo è ancora nostro e forse dovremmo prima di tutto rivendicare il diritto di un gioco di qualità e di uno spettacolo degno per un pubblico quello dellâ??opinione pubblica che merita prima di tutto di essere informato, divertirsi, educarsi e riflettere con prodotti audiovisivi degni di questo nome.

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