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Articolo 21 - Editoriali
Ciagate: Bush sull'orlo di una crisi di nervi
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di Bruno Marolo/ Washington*

Che brutto spettacolo. Il presidente degli Stati Uniti è sull'orlo di una crisi di nervi. Ha davanti a sé una settimana nera: il numero degli americani uccisi in Iraq sta
per arrivare a 2000, e il procuratore Patrick Fitzgerald prepara le incriminazioni per il Ciagate. Il mandato della giuria istruttoria che deve valutare le richieste del procuratore scadrà venerdì. Ogni giorno potrebbe essere decisivo.
Secondo il Wall Street Journal, George Bush ha cominciato la ricerca di un sostituto per Karl Rove, lo spregiudicato consigliere politico, che rischia di essere rinviato a giudizio per reticenza. Per oltre un anno Rove ha negato di avere dato in pasto alla stampa il nome dell'agente segreta Valerie Plame. Ha ritrovato la memoria soltanto quando il procuratore gli ha messo sotto gli occhi un messaggio di posta elettronica in cui egli stesso riferiva ai colleghi una conversazione con il giornalista di Time, Matt Cooper.
Rove non va più in ufficio. La sua assenza ha lasciato Bush indifeso di fronte alle polemiche. Gli altri collaboratori, esposti alla collera del presidente, si vendicano raccontando le sue sfuriate ai giornali. Uno ha detto al Daily News: «Questo non è il direttore di un fast food che sfoga il proprio malumore sui lavapiatti. � il presidente degli Stati Uniti, e non è un bello spettacolo». Un altro ha aggiunto: «Bush dà la colpa a tutti, e assolve soltanto sé stesso. Perfino il vice presidente Dick Cheney riceve la sua parte di rimproveri». L'inchiesta del procuratore Fitzgerald ha messo in luce le manovre dell'ufficio di Cheney per giustificare l'invasione dell'Iraq. Giornalisti creduli o compiacenti come Judith Miller del New York Times venivano imbeccati con dubbie «esclusive» sull'esistenza di armi di sterminio.
La rappresaglia scattò quando l'ambasciatore Joseph Wilson, inviato nel Niger, smontò una di queste false voci: l'asserito tentativo di comprare uranio per fabbricare una bomba atomica in Iraq. Lewis Libby, capo di gabinetto di Cheney, rivelò a Judith Miller che la moglie di Wilson, Valerie Plame, era una agente della Cia. Il New York Times, che dopo le bufale sulle armi proibite non si fidava più della sua giornalista, non pubblicò questa informazione. La professione della signora Wilson venne però resa nota da un editorialista conservatore, Robert Novak.
Il procuratore ha aperto un sito internet in cui precisa il mandato ricevuto dal ministero della giustizia: non soltanto indagare sulle «rivelazioni non autorizzate» a proposito di Valerie Plame, ma perseguire anche «reati commessi nel corso dell'inchiesta, come distruzione di prove, intimidazione di testimoni, o manovre per ostacolare le indagini».
La confessione di Judith Miller, ottenuta dopo 85 giorni di carcere, ha contraddetto le dichiarazioni fatte al magistrato da Lewis Libby. Il braccio destro di Cheney rischia di essere denunciato per falsa testimonianza. Lo stesso Cheney potrebbe avere problemi se l'accusa riuscisse a provare che i collaboratori agivano secondo le sue istruzioni. Alcuni tra gli avvocati che hanno assistito agli interrogatori non escludono che gli venga contestato il reato di associazione per delinquere. Il magistrato lavora in silenzio. La Casa Bianca ignora le sue intenzioni, ma si prepara al peggio. Il senatore repubblicano George Allen ha dichiarato che in caso di rinvio a giudizio le dimissioni sarebbero «opportune». Nel partito di maggioranza alcuni chiedono un rimpasto del governo. Perfino Andrew Card, il fedelissimo capo di gabinetto di Bush, ha segnalato che vorrebbe un posto meno rischioso. Gli piacerebbe diventare ministro del Tesoro, se si liberasse la poltrona oggi occupata da John Snow.

*da l'Unità

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