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Articolo 21 - Editoriali
L'Iran di Ahmadinejad: minaccia o spauracchio?
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di Bruna Iacopino

Le ultime esternazioni del presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, hanno riacceso tutti i riflettori su una possibile minaccia iraniana, sul problema del nucleare, sull??odio atavico, da parte del mondo arabo, nei confronti dello stato ebraico.
Mahmud Ahmadinejad, è un inesperto in politica estera, ??un ragazzo?, poco attento a quello che dice e a come lo dice, Mahmud Ahmadinejad, si è giustificato dicendo che non ha fatto altro che citare gli insegnamenti del suo vecchio maestro, l??ayatollah Khomeini?
Il neopresidente iraniano ha paura, e, invece di tacerla, lo dimostra attaccando il nemico numero uno, Israele. Ha paura perché si trova circondato, a destra e a sinistra: Afganistan da una parte, Iraq dall??altra, basi americane da ambo le parti, e gli americani, si sa, sono ottimi amici di Israele. Fuori dal controllo dei giacimenti petroliferi afghani e iracheni, con i missili puntati su Israele, teoricamente pronti a sparare in qualsiasi momento, chiuso in una sorta di cordone sanitario che cerca di renderlo innocuo, l??Iran alza la voce, cerca di farsi sentire.
Quando l??amministrazione Bush decise di lanciarsi nell??avventura irachena, le prospettive erano diverse: tutti credevano si sarebbe trattato di una guerra lampo, che sarebbe servita a tenere sotto scacco quella zona del Golfo persico così densa di fermenti anti-occidentali, e in più, avrebbe garantito un serbatoio energetico consistente.
Sembrava semplice, ma, tanto semplice, forse, non lo era affatto. Le armi di distruzione di massa, non esistevano, e dall??inizio della guerra il numero dei morti è cresciuto vertiginosamente, è cresciuto talmente tanto da far crollare, in maniera inversamente proporzionale la popolarità di Bush, non solo presso i suoi stessi elettori, ma anche, e soprattutto in campo internazionale.
L??America non attaccherà l??Iran, (soprattutto non dopo lo scandalo del Ciagate, che rischia di far crollare l??intera amministrazione Bush) non è tra i programmi, almeno per il momento; si procede per altre vie, vie diplomatiche. L??Iran, dal canto suo, non ha intenzione di attaccare Israele, almeno, ??non per il momento? dichiara Teheran, ma, la situazione continua ad essere abbastanza tesa, con Israele che non accetta interamente le mosse politiche del suo leader e una guerriglia palestinese mai sedata.
Il Medioriente sta vivendo una fase di riassetto geo-politico dalla portata storica: forse non decollerà mai il progetto della grande Panarabìa, soprattutto dopo il crollo del regime di Saddam, ma, come si evolverà la situazione, da qui in avanti? rimane un??incognita.

Riportiamo, di seguito, un intervento pubblicato nell??ottobre 2004 su Z Magazine di Edward S.Herman, economista, autore di numerosi saggi e di un??interessante teoria su ??il modello di propaganda?, ovvero la manipolazione dei media da parte dei poteri forti insieme a Noam Chomsky. L??articolorisale ad ottobre del 2004, ma i contenuti sono più che mai attuali.

 
Iran: una tremenda minaccia
Potrebbe essere in grado di difendersi
L'Iran è il prossimo bersaglio statunitense e israeliano, così i grandi media statunitensi sono di nuovo al servizio dell'agenda statale, concentrando l'attenzione sulla presunta minaccia costituita dall'Iran e rifiutandosi di fornire contesto che mostrerebbe come tale minaccia sia puro Orwell - cioè, mentre l'Iran è seriamente minacciato dagli Stati uniti e dal suo tirapiedi che pratica aggressivamente la pulizia etnica, la sola minaccia costituita dall'Iran è la sua possibilità di difendersi.
Avremmo potuto pensare che dopo il retrospettivamente goffo e imbarazzante servizio reso dai media alle bugie di Bush sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e sulla relativa tremenda minaccia alla sicurezza nazionale statunitense, che ha spianato la strada all'invasione/occupazione statunitense, i media sarebbero stati meno disposti a saltare acriticamente sul carro della propaganda di guerra. Ma ci saremmo sbagliati. E' una regola decisamente attendibile del comportamento dei media che in qualunque momento lo stato scelga un nemico, i media saltino sul carro con entusiasmo, o come minimo, si lascino mobilitare come agenti della propaganda e della disinformazione. Dato il potere degli Stati uniti e l'estrema debolezza dei suoi usuali bersagli, le affermazioni circa le terrificanti minacce poste da tali bersagli sono sempre comiche. Il mio esempio preferito rimane il Guatemala nei primi anni '50, quando il Consiglio Nazionale di Sicurezza dichiarò che questo paese povero, minuscolo, ed effettivamente disarmato "stava diventando sempre di più uno strumento dell'aggressione sovietica in questo emisfero", e stava ponendo una minaccia alla sicurezza degli Stati uniti e degli stati vicini. Come nel caso dell'Iraq nel 2002-2003, gran parte degli stati vicini non riconobbero la tremenda minaccia, e dovettero essere corrotti e costretti a dare sostegno alla posizione statunitense, e l'ONU dovette essere (e fu) neutralizzata.
In realtà, i comunisti non si erano impadroniti del Guatemala, che con l'assistenza diretta e indiretta degli Stati uniti, fu invasa e occupata da una banda di espatriati e mercenari organizzata dagli Stati uniti, un mese dopo le terribili affermazioni del Consiglio Nazionale di Sicurezza. Il New York Times e i grandi media in generale cooperarono pienamente con la campagna di propaganda che rese gradevole al palato del pubblico questa aggressione per delega. Questa "liberazione" prematura trasformò una democrazia in una controinsurrezione autoritaria e in uno stato di terrore. Il Times non ha mai espresso rincrescimento per queste azioni ed ha attentamente evitato di analizzare i risultati di quell'intervento e di confrontarli con le affermazioni di propaganda del governo (e con le proprie) prima dell'invasione.
Diversi decenni più tardi, negli anni '80, Il Nicaragua fornì una parziale riedizione dell'esperienza con il Guatemala, per una presunta tremenda minaccia alla sicurezza basata sul legame tra i Sandinisti e Mosca, un legame essenzialmente obbligato da un boicottaggio nella vendita di armi e da un'aperta campagna statunitense di destabilizzazione, sovversione, e sponsorizzazione del terrorismo. Vi fu ancora una volta un esercito di espatriati organizzati e sovvenzionati dagli Stati uniti - i Contras - che si impegnarono in un terrorismo sistematico. Ancora una volta gli stati vicini al Nicaragua non videro nessuna tremenda minaccia e spesero sforzi ingenti nel cercare di respingere gli Stati uniti con mediazioni e proposte di compromessi, che l'amministrazione Reagan non percepì o evitò. Di nuovo, fu inutile un appello alle Nazioni unite perché venisse offerta protezione da un attacco violento, e fu ignorata una decisione della Corte Internazionale contro gli Stati uniti. In questo caso, gli Stati uniti furono in grado di rimuovere i sandinisti con una combinazione di terrorismo e di boicottaggio che dimezzò i redditi pro capite, e con un'effettiva manipolazione delle elezioni, in cui gli Stati uniti intervennero con proposte, denaro, propaganda e con un ricatto - secondo cui solo se i sandinisti fossero stati fatti fuori sarebbero terminati il terrorismo e il boicottaggio. La combinazione funzionò e i sandinisti furono eliminati.
I grandi media evitarono attentamente di fornire contesto sulla situazione del Nicaragua, poiché servirono ancora una volta da agenti della propaganda di stato, demonizzando i sandinisti, evitando di contestare la marea di bugie che giustificavano l'intervento violento, ignorandone la rozza illegalità, dichiarando "una farsa" le elezioni del Nicaragua del 1984 (New York Times), quando le autentiche elezioni farsa tenute in El Salvador nel 1982 e nel 1984, sotto condizioni di duro terrorismo di stato, furono dichiarate promettenti passi verso la democrazia (si veda Chomsky - Herman, La Fabbrica del consenso; si noti anche come i media stanno riscoprendo democratico il governo fantoccio iracheno nominato dagli Stati uniti: "Primi passi, forse, verso una democrazia in Iraq" NYT, 27 luglio 2004). Quando la guerra al terrore, il ricatto, e altre forme di interventi elettorali rimossero con successo i sandinisti, i media erano in estasi, e il New York Times ostentava l'elogio di David Shipler (1) ad una "vittoria conseguita con un comportamento corretto".
Quindi, proprio come il Guatemala, il Nicaragua e l'Iraq erano tremende minacce, così lo è oggi l'Iran, perché lo dice il governo Bush, appoggiato da Ariel Sharon. La prima regola nella propaganda di sostegno è intensificare l'attenzione sui "cattivi" e sulla presunta minaccia costituita. Dunque, le affermazioni secondo cui l'Iran sta cercando di diventare una potenza nucleare sono diventate continue fonti di notizie, e ogni dettaglio e dichiarazione su ogni passo verso l'ampliamento della sua capacità nucleare diventano degni di notizia, e vengono emanati da una superpotenza che è un primary definer (2) per eccellenza. Quando abbaia, tutti i cani più piccoli della "comunità internazionale", compreso Kofi Annan e i funzionari più rilevanti delle Nazioni Unite (in questo caso Dr. Mohamed ElBaradei, direttore generale dell'Agenzia Internazionale per l'energia atomica [IAEA]), si uniscono al coro dei latrati. Eppure, il Dr. Mohamed ElBaradei si è rivelato scomodo nel suo ruolo di uomo di facciata dell'agenzia ONU nella preparazione di un attacco statunitense all'Iran, essendo il suo ruolo simile a quello di Hans Blix nella preparazione dell'attacco all'Iraq. In una recente intervista in Al-Ahram News (27 Luglio 2004), egli fa notare di avere le mani legate dai suoi poteri limitati, così che non può visitare il reattore israeliano di Dimon, ma soltanto le strutture iraniane, anche se lui è convinto che la sola vera soluzione sia una denuclearizzazione di tutto il medioriente (www.iaea.org).
L'analogia con l'attenzione nei confronti del supposto possesso di armi di distruzione di massa, e la relativa minaccia, da parte dell'Iraq nel 2001-2003, è stretta: gli Stati uniti hanno fatto quelle dichiarazioni, le hanno imposte ai lori alleati e alle Nazioni unite, e di conseguenza quelle sono diventate le notizie all'ordine del giorno. Oggi gli Stati uniti accusano l'Iran, fanno pressione sui loro alleati e sull'IAEA, e questo rende la questione degna di diventare una notizia. Come banale indicatore, durante gli ultimi sei mesi (27 Febbraio - 27 Agosto 2004), il New York Times ha pubblicato 21 articoli i cui titoli indicavano che l'argomento trattato era la minaccia costituita dall'Iran che acquisiva una maggiore potenza nucleare, con in più decine di articoli che accennavano alla connessione tra Iran e nucleare.
La seconda regola della propaganda di sostegno è inquadrare le questioni in modo che le premesse adottate dalla fonte di propaganda siano prese per dati di fatto, che ogni considerazione sconveniente venga ignorata, e che tutte le fonti che potrebbero contestare la linea ufficiale vengano aggirate ed emarginate. Questa tecnica è ben illustrata nell'articolo di David Sanger "Diplomacy Fails to Slow Advance of Nuclear Arms" [La diplomazia non riesce a rallentare la crescita delle armi nucleari], in prima pagina sul New York Times dell'8 Agosto 2004 - un modello virtualmente perfetto del servizio di propaganda.
L'articolo di Sanger è strutturato sulla minaccia costituita dalle ambizioni nucleari dell'Iran e della Corea del Nord, sull'impegno nel cercare di contenere la minaccia attraverso la diplomazia, sulle difficoltà incontrate in questi sforzi, sulle preoccupazioni di Stati uniti e Israele in proposito, e sulle opinioni di funzionari ed esperti occidentali su ciò che si dovrebbe fare. Tutte le sette fonti citate nel pezzo di Sargent sono funzionari statunitensi (ex o in carica), il che permette di presentare il quadro d'insieme senza contestazioni.
Una premessa base per Sanger è che Stati uniti e Israele sono "buoni" e non costituiscono alcuna minaccia degna di nota, così che ogni "crescita" di armi nucleari, o il possesso e la relativa minaccia dell'uso di tali armi da parte di questi stati, è fuori dall'ambito del discorso. Quindi i programmi attuali e ben foraggiati per lo sviluppo di "blockbuster" [le bombe della seconda guerra mondiale N.d.T.] e di altre armi nucleari tattiche, i piani di Bush per fare delle armi nucleari non soltanto un deterrente, ma armi da utilizzare nella normale condotta di guerra, e l'intenzione statunitense di sfruttare lo spazio come piattaforma per il nucleare, così come altri sistemi bellici tecnologicamente avanzati, non cadono sotto il titolo "crescita delle armi nucleari", e non vengono menzionati nell'articolo. Questo non è il punto di vista della maggioranza globale, ma rappresenta il punto di vista ufficiale statunitense, quindi serve come premessa al giornalista del Times.
Una seconda premessa di Sanger, collegata alla precedente, è che gli Stati uniti hanno diritto di decidere chi può e non può avere armi nucleari e di obbligare al disarmo qualunque paese ne entri in possesso. Sanger cita l'affermazione di Bush quando dice che non "tollererà" che la Corea del Nord e l'Iran acquisiscano armi di questo tipo, e considera inoltre l'iniziativa statunitense di tenere i suoi bersagli disarmati come una posizione indiscutibile.
Una terza premessa è che mentre una possibile violazione da parte dell'Iran degli impegni previsti dal Trattato di Non Proliferazione è una cosa importante e degna di notizia, il fallimento degli Stati uniti nel portare a compimento la promessa fatta nel firmare quel trattato, cioè di lavorare verso l'eliminazione delle armi nucleari attraverso negoziati di fiducia, un impegno sfacciatamente violato dall'aperto sforzo di Bush di migliorare e di rendere più utilizzabili le armi nucleari, non è degno di notizia. Di nuovo, questo è ciò che verrebbe assunto come premessa da una stampa che sia braccio del governo, e questo è ciò che fa il New York Times (e virtualmente ciò che fanno tutti i media istituzionali).
Una quarta premessa del pezzo di Sanger è che il rifiuto di Israele di avere qualcosa a che fare con il Trattato di Non Proliferazione, e il suo possesso e la relativa minaccia nell'uso di armi nucleari, non è un contesto rilevante nel discutere la minaccia costituita dalla potenza nucleare dell'Iran. Sanger si riferisce a Israele solo perché spaventato dalla minaccia dell'Iran, e quindi potrebbe pianificare una qualche azione preventiva per eliminare tale minaccia. Gli stati arabi e gran parte del mondo non riescono a vedere giustizia nel fatto che a Israele sia permesso acquisire armi nucleari, anche disponendo di una potenza militare convenzionale superiore, e di una protezione statunitense, mentre gli stati arabi non possono farlo. Di nuovo, poiché Israele è uno stato che dipende dagli Stati uniti, la cui acquisizione di armi nucleari è stata facilitata ed è protetta dagli Stati uniti, la questione esce dall'ambito del discorso, secondo i funzionari statunitensi, e quindi anche per il New York Times.
Una quinta premessa, implicita nelle precedenti, è che l'Iran non abbia diritto alla legittima difesa. Israele dichiara che le sue armi nucleari servono alla sua legittima difesa in un ambiente ostile, ma l'Iran, minacciato sia da Israele, sia dalla sua superpotenza alleata, non ha lo stesso diritto, benché il suo bisogno di difendersi sia molto più serio sia di quello di Israele, sia di quello degli Stati uniti. Questa è stata una premessa adottata dai funzionari [statunitensi], e quindi dal New York Times, nel trattare i tentativi del Guatemala di comprare armi nel 1953, gli sforzi simili del Nicaragua negli anni '80, e le mitologiche minacce di armi di distruzione di massa di Saddam nel 2000-2003.
L'articolo di Sanger è pulito, nel senso che non ci sono deviazioni dalla linea ufficiale riguardo le minacce nucleari e la loro "crescita" preoccupante. La sottomissione allo stato del Times nella preparazione della propaganda finalizzata all'invasione/occupazione dell'Iraq non era nuova e non è finita con quella triste esperienza. Al contrario, procede spedita, e qualunque lezione appresa, o qualunque scrupolo, sono sopraffatti dalle forze istituzionali che premono per dare supporto ai crimini dello stato, ora, proprio come nel 1954 nel caso del rovesciamento della democrazia in Guatemala, e di altre cosiddette "liberazioni".
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(1) Corrispondente del New York Times. Un estratto dal suo articolo "Victory for U.S. Fair Play" [Vittoria con un comportamento statunitense corretto], New York Times, 1 Marzo 1990: E' vero che, in parte a causa dello scontro con gli Stati uniti, l'economia nicaraguense ha subito gravi riscontri, ponendo le condizioni per un diffuso scontento pubblico verso i Sandinisti che si è riflettuto nel ballottaggio di Domenica. Ma pochi governi diventano moderati durante una guerra; la guerra dei Contras ha rafforzato i sandinisti della "linea dura" e ha probabilmente contribuito alle loro politiche repressive. La strada verso una risoluzione si è aperta solo quando il Congresso ha sospeso effettivamente la guerra per dare ai sandinisti un'occasione di procedere democraticamente... Dunque, le elezioni in Nicaragua hanno dato ragione all'ingenuo programma di Washington di fornire dei sovvenzionamenti pubblici, onesti, che aiutassero le procedure democratiche a mettere radici in paesi dotati di regimi autoritari. (http://www.understandingpower.com/Chapter4.htm) (<<)
(2) primary-definer: concetto mutuato dal mondo dei media e della comunicazione politica; si intende il soggetto che definisce in via esclusiva i termini di una questione in virtù di una posizione privilegiata. (<<) 

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