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Articolo 21 - Editoriali
Quella promessa vecchia di 960 giorni
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di Gian Antonio Stella

da Il Corriere della Sera 

«L'unico problema d'incompatibilità che mi pongo è quello tra Laudrup e Raducioiu». Dieci anni dopo la battuta sui due calciatori con cui liquidò lo spinoso tema, Silvio Berlusconi può brindare. E mentre festeggia con 79 il record di punti del Milan e con 1.060 giorni il record della permanenza a Palazzo Chigi, può levare il calice a un terzo primato. ? scaduta da 960 giorni la sua promessa di risolvere il conflitto d'interessi eppure anche gli avversari più duri sembrano stremati dai rinvii: uffa! Il progetto di legge, sepolto da tempo biblico alla Camera sotto centimetri di polvere, muffe e ragnatele dove ormai rischiava di poter essere datato dagli storici solo col carbonio 14 usato per i manoscritti di Qumran, è stato anzi recuperato, spolverato e perfino messo in una ipotesi di calendario per la fine del mese, giusto un attimo prima della sospensione (ahi!) per le elezioni europee. Prova provata che forse non aveva torto il nostro Montanelli che, un paio di mesi prima di andarsene, scommetteva: «Il conflitto di interessi in Italia non sarà mai, mai, mai risolto. E speriamo che non venga davvero mai risolto, perché se lo risolvessero lo farebbero con una tale patacca da farci arrossire di fronte al mondo intero».
Eppure, pochi giorni prima del voto del 13 maggio 2001, indignato per la diffidenza di chi temeva che una volta eletto l'avrebbe tirata per le lunghe, il Cavaliere aveva dato al Sunday Times la sua parola d'onore: «Presenterò un disegno di legge entro i primi 100 giorni al Governo. Ho nominato tre esperti internazionali per trovare una soluzione. C'è un americano, un britannico e un tedesco». Una settimana dopo, aveva solennemente ribadito al Costanzo Show : «In cento giorni farò quel che la sinistra non ha fatto in sei anni e mezzo: approverò un disegno di legge che regolamenterà i rapporti tra il Presidente del Consiglio e il gruppo che ha fondato da imprenditore». Dopo l'insediamento, stizzito da chi già gli contava le settimane, aveva insistito: «Ho preso un impegno a dare una soluzione entro i primi cento giorni, cosa che faremo sicuramente». Quando? «Immagino addirittura prima delle ferie estive». Ma questi misteriosi esperti? «Vogliono mantenere l'anonimato». Mantenuto.
Certo, il capo del governo sa bene che perfino quanti gli sono vicini hanno ammesso in questi anni l'esistenza del problema. Giuliano Ferrara l'ha bollato come «un adorabile mattocchio che non conosce i confini tra i soldi, la politica, la legge e il teatro». Lucio Colletti ha ironizzato che «può porgere il polso a Costanzo perché senta l'odore di santità ma non pretendere che il conflitto di interesse non esista». E addirittura Fedele Confalonieri ha confessato prima che «il conflitto di interessi tra il Berlusconi politico e il Berlusconi imprenditore è arrivato purtroppo al massimo grado», poi che «il conflitto esiste e lui non può risolverlo dicendo "sono affari miei, sarò un autocrate illuminato alla Federico II di Prussia"».
Lui, però, presta orecchio ma non se ne è mai fatto una ragione: «La storia del famoso conflitto d'interessi non sta veramente in piedi. Chi sta a Palazzo Chigi potere non ne ha. Impossibile favorire se stessi o le proprie aziende. Anzi, si può danneggiarle, come è successo a me in moltissime occasioni: ogni volta che c'era anche solo un dubbio del genere, ho sempre scelto l'altra strada». Oddio, non può negare che in questi anni così cupi per le imprese italiane la sua Mediaset sia andata splendidamente nonostante lui sia al governo. Lo dicono i bilanci orgogliosamente diffusi alle convention aziendali: nel 2002 rispetto al 2001 la crescita degli utili è stata del 70,8% e nel 2003 rispetto al 2002 i ricavi sono saliti del 32% e il risultato operativo si è impennato del 47%. Quanto al 2004, grazie «alla maggior raccolta di ricavi concessa al gruppo Mediaset e a Mondadori dal Sic» previsto dalla "Gasparri", dovrebbero entrare nelle casse berlusconiane secondo lo stesso Confalonieri un paio di miliardi di euro in più. In vecchie lire, per usare l'unità di misura cara al Cavaliere, circa 4 mila miliardi. Insomma, affari d'oro.
«Ma io che c'entro?», rispose qualche mese fa quando gli chiesero della legge «di riordino del sistema radiotelevisivo». Non c'è verso di convincerlo. Prima o poi, per carità, magari la farà la legge che le opposizioni e i giornali stranieri gli chiedono. Ma senza passione. Anche se i soliti puritani gli ricordano che appena ministri Sidney Sonnino si affrettò a vendere tutte le azioni lasciategli dal padre riconvertendole in buoni del tesoro e Quintino Sella si liberò dell'industria tessile famigliare, lui è fermamente convinto che il problema non è così impellente: «Il conflitto d'interessi se lo sono inventato i miei avversari». Primo, perché «ai cittadini non interessa niente, anzi lo considerano una garanzia assoluta che chi ha la responsabilità di governare non abbia bisogno di fare i propri interessi, insomma di rubare, disponendo comunque di una posizione propria». Secondo, perché lui il problema l'ha già risolto.
L'ha detto e ridetto mille volte, alla vigilia di ogni passaggio elettorale o referendario: «Questa storia delle riserve personali su di me è una barzelletta. Distinguerò con nettezza adamantina il mio ruolo di imprenditore, che peraltro è già alle mie spalle, e quello di leader politico. Ho messo fatti che pesano come macigni a suffragare questo impegno». «Della Fininvest terrò solo il 30%, una quota di minoranza. S'era pensato anche di vendere tutto ma si sono opposti i miei figli». «Sto pensando seriamente di cedere la Fininvest ai miei cinque figli e agli amici di una volta». «Ho dato incarico ai miei manager di avviare le dismissioni di mie proprietà». «Sono pronto a vendere qualche azienda non strategica e, se trovo qualcuno disposto a comprarla, persino una rete tv». «Sono pronto a vendere le mie aziende, ad andare anche oltre il blind trust americano. La mia vita di imprenditore si sta concludendo». «Oggi vi annuncio che ho deciso di vendere le mie aziende: non sarà facile trovare un compratore, ma andremo in Borsa con la televisione e terrò una quota assolutamente non di maggioranza». Detto e ridetto. Ma perché, perché non gli credono?

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