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Articolo 21 - Editoriali
La ferita di Napoli
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di Sandro Ruotolo

Napoli, la mia città, è ferita, in modo grave. E' la città più violenta d'Italia. Si muore di camorra, si uccide per la camorra e si è violentati quotidianamente come nelle altre città del nostro Paese. Per una rapina, per uno scippo. Ma quello che è appena successo è ancora più grave. E' la notte tra sabato e domenica, nel centro della città, lungo la strada che taglia a metà Napoli, il corso Vittorio Emanuele. A mezz'altezza tra i quartieri alti e la parte mare. E' quasi l'alba quando un branco di ragazzini, il capo ha appena 14 anni, rapina e violenta una donna. Una ragazza di trent'anni. Anche nel nord del Paese la cronaca, in questi anni, ha raccontato di stupri e violenze, con carnefici minorenni. Ma questo quattordicenne napoletano è figlio di un contrabbandiere legato alla camorra dei Quartieri Spagnoli e quando i poliziotti sono andati a prenderlo a casa sua alle sette del mattino e lui non c'era, la madre ha risposto ai poliziotti che lui non torna mai a casa per dormire. C'è, a Napoli, una emergenza giovanile. Nella guerra che ha insaguinato un anno fa le strade di Scampìa, erano loro a uccidere e ad essere uccisi. Quando, alla vigilia di Natale, sono andato a conoscere e a intervistare i familiari di Gelsomina Verde, la ragazza di ventuno anni torturata, uccisa e bruciata nella sua auto nella guerra di Scampìa, erano ragazzini le vedette degli spacciatori che sostavano, impuniti, nei pressi dell'abitazione dei Verde. Erano ancora ragazzini quelli che un anno fa mi minacciarono a Secondigliano quando con la mia troupe  volevo riprendere una Asl confinante con il loro territorio. Era un ragazzino, infine,  la persona fermata dalla polizia con una pistola e un giubotto antiproiettile nei vicoli di Napoli. Se dovessi in una battuta esprimere quello che penso di Napoli prenderei dal grande Eduardo il suo "fujtevenne" ma mi rendo conto che non è questa  la cosa giusta. Napoli ce l'ha la sua chance. Ma dipende dai napoletani, non da quelli, disgraziati, che vivono e abitano l'emarginazione economica, sociale, culturale. La responsabilità maggiore ce l'ha quella Napoli che dice: " Io non c'entro". E' la borghesia che vive nei quartieri bene e che si indigna solo quando ad essere colpito dalla violenza è un suo figlio. Quei comportamenti illegali, espressi alla luce del sole, di Scampìa, di Secondigliano, dei Quartieri Spagnoli, convivono senza soluzione di continuità anche al Vomero o in via Posillipo. Ognuno è responsabile di quello che accade. L'elemento che in questi miei viaggi napoletani di lavoro  mi ha colpito di più è  l' imbarbarimento progressivo che coinvolge sempre più ampi strati della popolazione. Quella periferia urbana che vive anche nel cuore della città. Quando le donne, gli uomini e i bambini scendono in strada contro i carabinieri o gli agenti di polizia che hanno appena effettuato un arresto, quando il padre di un'altra vittima innocente, Annalisa Durante, dopo l'arresto dei presunti assassini, ha paura di parlare, di esprimere quello che prova, vuol dire che non si è liberi. Quando interi caseggiati  vivono blindati, ostaggio dei fuorilegge, vuol dire che non si è liberi. Ma Napoli non è solo questa. E' una città più complessa. Ci sono istituzioni che recepiscono la gravità della situazione e fanno quello che possono. Esistono spezzoni di società civile organizzata che da anni sono presenti sul territorio. Non siamo all'anno zero. Penso all'esperienza dei commercianti che negli ultimi tre anni hanno costituito diverse associazioni antiracket mandando in galera centinaia di camorristi, diventando punto di riferimento per quella città che concretamente si è messa in discussione. Napoli dipende dai napoletani ma ci sono anche responsabilità nazionali. Sul terreno dell'ordine pubblico, delle leggi, dello sviluppo economico. E' anche la politica che deve dare risposte, a livello nazionale ma anche locale. Sono trascorsi trenta giorni dalla morte di Giuseppe Riccio, un giovane pizzaiolo ammazzato solo perché lavorava in una pizzeria di Calata Capodichino, quartiere Doganella, periferia di Napoli. La morte di Giuseppe riguarda tutti. Il 18, dopodomani, ci sarà una fiaccolata dove la Napoli che vuole continuare a costruire il proprio futuro si ritroverà con i parenti, gli amici di Giuseppe Riccio perché siamo â??tutti â??concittadini di un semplice napoletano ucciso sul suo posto di lavoro. Io ci sarò.

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