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Articolo 21 - Editoriali
La vicenda dello scioglimento delle camere
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di Montesquieu

Poteva finire meglio, la vicenda del rinvio della data di scioglimento delle Camere. Ad esempio, con un rifiuto della richiesta, motivato con un sacrosanto richiamo alla serietà istituzionale: se una data esiste, per di più cristallizzata da un consenso generale, lo si deve alla vena egocentrica del capo del governo, che lo porta ad anticipare decisioni che superano la sua competenza. Non è la prima volta: basta ricordare la divulgazione anticipata del contenuto del messaggio presidenziale in tema di pluralismo, e la conclamata, impudica condivisione del medesimo.

Poteva, ancora, finire con un subitaneo accoglimento della richiesta stessa, la quale non presentava alcun profilo di legittimità costituzionale. A quanto pare, finirà con lâ??accoglimento, ma anche con alcune non utili appendici: prima tra tutte, aver costretto lâ??opposizione a ribadire la sua contrarietà attraverso la convocazione delle conferenze dei capigruppo nelle Camere. Ma anche, la presenza tra la iniziale resistenza del Quirinale e lâ??accoglimento, se vi sarà, della richiesta, di una autentica intimidazione. Possono sembrare dettagli, questi ultimi, addirittura puntigliosi.

In realtà, la posta in palio è più alta di qualche leggina elettorale, o autoassolutoria, in più, e di qualche insperato passaggio televisivo. Per condurre la galoppante campagna elettorale che ha in mente, e di cui abbiamo avuto sapidi assaggi, il capo del governo ha lâ??esigenza di travolgere tutto e tutti, le regole giuridiche e quelle di condotta su cui si fonda la convivenza politica e civile. E lâ??ostacolo è, sempre più, uno e uno solo, il capo dello Stato.

Se nella sua fortunata e forsennata cavalcata politica, qualcosa non è andato per il verso giusto, è il fatto che le elezioni al vertice dello Stato sono fin qui avvenute mentre lui era allâ??opposizione. E, quindi, non è stato possibile per lui proporre e disporre di presidenti amici: gli unici che considera non nemici. Non è contemplata, e non è comunque accettata, nelle sue categorie â?? immutate dalla sua precedente vita â?? la categoria del garante delle regole, dellâ??arbitro, dellâ??autorità indipendente. O di qua, o di là, senza ambiguità. Niente di negativo per lui, allora, in un braccio di ferro su una decisione di prevalente competenza del Quirinale, e niente di meglio di un esito favorevole presentabile come il frutto di un atteggiamento intimidatorio. Il capo dello Stato sa come nessun altro che è iniziata una fase in cui gli sarà sempre più difficile conciliare, come gli è riuscito fino ad ora, la difesa della Costituzione e del suo spirito con lâ??armonia tra le istituzioni.

Non sarà certo una improvvisa sensibilità istituzionale a risparmiare al capo dello Stato il trattamento usato nei confronti del suo predecessore. Semmai, sarà il divario enormemente dilatato che si è formato tra la credibilità dellâ??uno e dellâ??altro, dei capi dello Stato e dellâ??esecutivo. Ma è quando le speranze tendono a ridursi che si creano lo spazio e la propensione allâ??azzardo. Si dirà: è una costruzione basata su un non verificabile processo alle intenzioni. Eâ?? possibile, anzi è sperabile che sia così.

Ma, se si aggiungono alla natura ardimentosa del capo del governo, la freddezza, evidente anche in questa vicenda, dei presidenti delle Camere, tradizionali e costituzionali â??spalleâ? del capo dello Stato, e il perdurante letargo delle riserve di senso dello Stato che pur esistono nella casa delle libertà, è bene stare in guardia.

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