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Articolo 21 - Editoriali
Ru486: alla scienza il verdetto finale
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di Bruna Iacopino

Ennesimo stop da parte del  Ministro alla SanitĂ  Francesco Storace. Questa volta il no consiste nel divieto assoluto di importazione in Italia, di farmaci non registrati dallâ??estero, con particolare riferimento alla pillola abortiva Ru486.
La sperimentazione, richiesta per la prima volta dallâ??ospedale Santâ??Anna di Torino,  ormai nel lontano 2001, non ha ottenuto risposte positive, tra rinvii e continui freni imposti dal Ministero della SanitĂ , soprattutto negli ultimi tempi, si riaccendono le polemiche e le discussioni relative anche in sede parlamentare.
Intanto scatta la reazione delle associazioni femminili che vedono, nellâ??attacco alla Ru486, una velata minaccia alla legge sullâ??aborto. Difatti, le posizioni intransigenti, e la commissione di inchiesta costituita per verificare lâ??applicazione della legge in questi anni ha destato non poche preoccupazioni, mentre, sempre piĂš accorati si fanno gli appelli da parte delle associazioni cattoliche, e da parte delle stesse gerarchie ecclesiastiche.
In gennaio, le donne sono scese in piazza, a Milano, per reclamare il loro diritto a decidere.
Ma câ??è molta disinformazione, câ??è molta contraddizione in tutto quello che viene detto o fatto.
Secondo studi recenti, pubblicati dalla prestigiosa rivista americana, New England journal of medicine, lâ??incidenza di mortalitĂ , causata dallâ??assunzione della pillola abortiva, sarebbe addirittura dieci volte superiore alla media registrata per aborto chirurgico. Ad affermarlo è Michael F. Greene, luminare di ostetricia, ginecologia e biologia riproduttiva alla prestigiosa Medical school di Harvard e direttore di ostetricia al Massachusetts general hospital di Boston.
Lo studio considera le 460mila procedure con la Ru486 eseguite negli Usa dopo lâ??introduzione della pillola, decisa dalla Food and drug administration (Fda) il 28 settembre 2000, e le quattro donne morte per unâ??infezione da Clostridium sordellii contratta dopo avere assunto il farmaco. Questo dato (rischio di mortalitĂ  pari a circa 1 su 100mila) è paragonato al tasso di mortalitĂ  con lâ??aborto chirurgico: un valore che varia a seconda della settimana in cui avviene lâ??interruzione di gravidanza. Si va dallo 0,1 per 100mila allâ??ottava settimana di gestazione fino allâ??8,9 per 100mila alla ventunesima settimana e oltre. E siccome il mifepristone (cioè il principio attivo della Ru486) è approvato per abortire entro la settima settimana, il valore da considerare è il primo.
Ma il dato che fa riflettere è anche un altro: il tempo impiegato dalla Food and drug administration (Fda), ben 54 mesi, allâ??atto della registrazione del farmaco, per stabilire quali fossero realmente gli effetti collaterali legati allâ??uso del farmaco.
Un altro studio uscirĂ  nel mese di febbraio sulla rivista scientifica, anchâ??essa americana, The annals of pharmacotherapy. A condurlo, due studiose, Margaret M. Gary e Donna J. Harrison, che pur ammettendo di trovarsi di fronte ad una casistica ancora incompleta, non negano di aver costatato una serie di rischi legati alla Ru486 e non menzionati sul foglio illustrativo del medicinale.
Alla luce dei fatti è dâ??obbligo sollevare una questione: il problema non è tanto quello di scegliere tra aborto farmacologico e aborto chirurgico, quanto, piuttosto, di capire, realmente, di cosa si sta parlando. Le donne hanno il diritto di sapere, di conoscere, di essere informate, prima ancora di scendere in piazza, per poter decidere, davvero liberamente.
Le esternazioni del ministro della SanitĂ  o di associazioni laiche e cattoliche per la difesa della vita debbono andare oltre la difesa dellâ??embrione, e puntare innanzi tutto alla difesa della salute della donna: è dunque necessario che siano supportate da una documentazione che abbia fondamento scientifico, avvalorata da dati concreti e, soprattutto, che sia fruibile a tutti.
Dire no è semplice, il difficile è motivarlo.
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