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Articolo 21 - Editoriali
Quando libertà di parola significa morte
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di Bruna Iacopino

La lista nera dei paesi che si distinguono per la loro politica censoria nei confronti della libertà di espressione non cambia, anzi, ogni giorno, si aggiunge un nuovo caso a riconferma di una realtà che rimane immobile.
Lâ??ultimo grave episodio vede nuovamente la Cina come protagonista indiscussa.
Ã? morto, questa mattina, Wu Xianghu vicedirettore del 'Taizhou Wanbaò (Giornale della Sera di Taizhou), in seguito alle percosse ricevute da un gruppo di poliziotti locali. Il pestaggio era stato scatenato dalla denuncia, da parte del giornalista, del comportamento poco ortodosso dei poliziotti in questione, i quali avevano imposto pesanti multe arbitrarie ai possessori di motorini. Per la morte del giornalista non è scattata nessunâ??accusa ufficiale; il solo a farne le spese è stato il capo della polizia locale costretto a dimettersi.
Tuttâ??ora, nel paese asiatico, molti giornalisti sono costretti alle dimissioni quando non incarcerati perché accusati di dissidenza; lo stesso valga per i navigatori della rete, sui quali pesa lâ??accusa di aver visitato siti sovversivi e soprattutto aver diffuso notizie di carattere sovversivo usando la rete.
La Cina, però, non è lâ??unico paese in cui lâ??uso di Internet è un vero e proprio tabùâ?¦
In questo eccelle anche Cuba. Nel paese di Fidel non esiste la possibilità di accedere a internet: è vietata la diffusione di pc e modem sia nelle case private che nei luoghi pubblici.
Dal 31 gennaio il direttore della piccola agenzia stampa indipendente Cubanacan Press, Guillermo Fariñas ha smesso di bere e di mangiare per protesta contro un regime che impedisce la libertà di informazione e lâ??uso di internet. La sua protesta punta ad ottenere il libero accesso a internet, per tutti i cittadini cubani che hanno il diritto di sapere e per i giornalisti perché possano avere gli strumenti adatti.
Dunque due strade diverse, da una parte lâ??assoluto divieto, dallâ??altra il filtro relativo ai contenuti, per impedire la diffusione di informazione indipendente e non governativa.
Nonostante questo, secondo lâ??ultimo rapporto stilato da Rsf, lo scettro per la stampa meno indipendente spetta alla Corea del Nord, dove le uniche pubblicazioni consentite sono quelle di propaganda e dove, anche i giornalisti stranieri non hanno libertà di movimento nel paese.
Insomma, anni bui per la libertà di informazione nel mondo e per chi fa questo lavoro.
Secondo i dati più recenti, al primo gennaio 2006, erano in prigione 126 giornalisti e 70 cyber-dissidenti. Per il terzo anno consecutivo è l'Iraq la terra più sanguinosa per gli operatori dell'informazione: nel 2005 sono stati uccisi 24 giornalisti e 5 collaboratori dei media. In totale, in Iraq, sono stati 76 i giornalisti e collaboratori che sono morti dall'inizio del conflitto, nel marzo 2003. � una cifra più alta - osserva RsF - di quella della guerra del Vietnam, fra il 1955 e il 1975. a questo bisogna aggiungere il pericolo rappresentato dalla flessibilità dei grandi colossi di internet che, piegandosi alle leggi del mercato non fanno altro che assecondare le politiche censorie di molti governi.
Infine, come non ricordare il caso di Akbar Ganji, ancora in carcere per motivi politici, e dei tanti altri giornalisti iraniani imprigionati arbitrariamente. in ultima analisi, il paradosso tunisino, dove qualche mese fa si è svolto il Summit mondiale per la liberalizzazione delle risorse informatiche e dove, il controllo della rete è tutto nelle mani della famiglia del presidente Ben Ali.
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