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Articolo 21 - Editoriali
In "Pochi minuti": le banali ricette della Moratti per la Rai a Milano
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di Luigi Mattucci

E così la Moratti, "in pochi minuti" , pensa di aver  risolto la questione della Rai a Milano.

Ha scritto una letterina a Petruccioli ( "pochi minuti del tuo tempo", appunto), con cinque/sei ricettine , e la questione è risolta. Se poi le cose non dovessero succedere ,la colpa sarà di qualcun altro: del probabile governo di centro-sinistra, del Consiglio di amministrazione . Non sua insomma.

E così, mentre il capo della sua coalizione promette agli italiani l' abolizione del canone , tradendo l'ansia di cancellare dalla faccia del mercato la Rai e tutti "i comunisti" in essa annidati , la Moratti ci informa già sulle rubriche, sugli orari, sulle strutture da trasferire ( o da confermare ) per dotare Milano di una "vera struttura televisiva", a livello delle ambizioni (dei sogni, delle promesse ?) con cui da tempo la più facile demagogia provinciale illude - a dispetto di tanti errori e  fallimenti prodotti - l'opinione pubblica antiromana, gli aspiranti comunicatori, gli intellettuali  frustrati di una  bella e valorosa città che da tempo ha l'unico torto di non riuscire ad esprimere una classe dirigente al livello delle sue vere e reali capacità.

La Moratti non riflette sul fatto che la Rai ha una sua organicità e non è un salame che - senza una profonda ristrutturazione - si possa fare a fette e distribuire su un piatto piuttosto che un altro.Trascura la necessità, prima di parlare di Raidue, di redazioni economiche , di rotocalchi sportivi  ecc., di verificare se a queste definizioni corrispondano ancora realtà significative rispetto al nuovo modo di produrre e consumare televisione che le evoluzioni tecnologiche e di mercato impongono .In definitiva non esprime  per la Rai un progetto di rinnovamento strategico e  organizzativo che ricollochi l'Azienda nel nuovo quadro di competizione globale, riqualifichi il servizio pubblico,definisca nuove alleanze , rilanci la creatività e la produzione ; trascura di elencare i danni che cinque anni di conflitto di interessi , di immobilismo imprenditoriale e di occupazione della destra ( basti pensare alle direzioni " leghiste" imposte a Milano) hanno prodotto su tutta l'Azienda e su Corso Sempione in particolare .

Si limita a chiedere, come si poteva fare venti anni fa ( ed era sbagliato già allora )  di far  "partecipare" Milano alla ideazione dei palinsesti e alla realizzazione di spazi di programmazione. Trascurando il fatto che la Rai della destra ha ormai appaltato gran parte della ideazione dei  palinsesti  e della relativa produzione a strutture produttive esterne , proprietarie di diritti, di conduttori, di cantanti, di format : così come fa già da tempo Mediaset, alla quale   -singolarmente - la candidata Sindaco evita di rivolgere le stesse domande, nonostante che  anche la più milanese delle aziende abbia da tempo non solo trasferito cuore e cervello a Roma, ma addirittura trasferito pezzi di produzione nel confinante Piemonte.

Ma la spensieratezza con cui la ex-Presidente della Rai affronta il complesso e grave problema del rapporto tra industria della comunicazione audiovisiva e Milano è dimostrata dalla incapacità di capire che se la situazione è degenerata ad un livello davvero preoccupante ed intollerabile, le cause potrebbero non nascere dalla cattiva volontà di una azienda ostile e prevenuta come la Rai . Ma potrebbero invece risiedere nella progressiva rottura, operata nel tessuto sociale e culturale di Milano , del  circuito " complessivo e integrato" della comunicazione , senza il quale è difficile far attecchire e sviluppare in una città l'industria audiovisiva. Aver isolato La Scala , il Piccolo Teatro , la musica leggera e quella colta , il teatro di rivista dal loro pubblico naturale che è in primo luogo quello della città ;avere trasformato Milano in un contenitore provvisorio di lavoro che si riempie al mattino e si svuota la sera ; aver innalzato in modo intollerabile i costi della vita sociale ( ristoranti, teatri, caffè ecc) ;tutti questi processi hanno spezzato un circuito di comunicazione cittadino senza il quale sarà sempre astratto, asfittico e appiccicato- come tutti i tentativi falliti hanno dimostrato - il tentativo di ricreare astrattamente l'industria audiovisiva a Milano.E non bisogna fare l'errore di pensare che un circuito "sociale" della comunicazione possa essere sostituito dall'industria della pubblicità : perchè quello ha per destinazione le persone, la gente , i luoghi fisici di ritrovo ; mentre questa si rivolge alle industrie , ai consumatori isolati , alle casette di periferia.Basti pensare agli Stati Uniti: la comunicazione sta a New York che con tutte le sue asperità è una città vera , animata, connessa. A Los Angeles , luogo quanto mai piacevole e invitante , ci stanno gli studios, ma non la comunicazione , l'informazione.

Il problema dunque -per ricorrere a un vecchio slogan kennediano- non è sapere cosa la Rai può fare per Milano, ma cosa Milano può fare in primo luogo per se stessa , per il paese, per la sua industria della comunicazione.E qui l'appartenenza a uno schieramento politico piuttosto che a un altro , conta e come conta. Perchè l'individuo consumatore esaltato e perseguito dalla destra  è un individuo isolato , bombardato dalle pubblicità , chiuso nella sua dimensione domestica , coltivatore dei propri egoismi, geloso dei propri privilegi: in una parola il nuovo individuo "padano".Mentre, con tutti i suoi difetti e tutte le sue contraddizioni, le persone " de sinistra" ambiscono alla condivisione degli ideali, agiscono collettivamente, considerano la solidarietà un valore ,amano rispecchiarsi nella collettività. Ha ragione Berlusconi quando dice che i giornalisti, gli intellettuali, i comunicatori sono "di sinistra": ma questo non a causa di un inestirpabile complotto comunista , quanto per il naturale rapporto tra una comunicazione generosa, libera, partecipativa e la solidarietà, la tolleranza, la fantasia che in Italia oggi stanno a sinistra.

Sono queste le ragioni della incapacità strutturale della destra ad affrontare e risolvere il  problema del rapporto tra  i media e Milano , rapporto che si è andato aggravando con l'emergere a livello politico e amministrativo delle forze più culturalmente arretrate e isolazioniste.La partecipazione a pieno titolo di una grande città come Milano alla costruzione e alla gestione del circuito della comunicazione nazionale e globale sta dunque innanzitutto nella capacità della sua classe intellettuale e dirigente di partecipare paritariamente  - senza subalternità ma anche senza rivendicazionismi - alla definizione e al sostegno  del nuovo ruolo che la Rai dovrà avere in una realtà che è fatta di sfide industriali , di competizione sovranazionale , di moltiplicazione dei linguaggi , di continue innovazioni , di contaminazioni culturali e tecnologiche.

Ma sta anche nella ricostruzione a Milano - così come hanno fatto le amministrazioni di sinistra a Roma , a Bologna, a Napoli , a Torino -  dei circuiti della comunicazione "sociale" fatti di una molteplicità di  eventi di produzione e consumo culturali, musicali, cinematografici, scientifici, letterari , sportivi. Sull'insieme di  questi eventi si innesta  il circuito della comunicazione audiovisiva,  di questi eventi si alimenta restituendo ad essi consapevolezza e notorietà : senza questa base forte , connessa, integrata  esso diventa astratto, vuoto , velleitario e , alla fine , si spegne .

Rifletta su queste cose,il candidato della destra a Sindaco di Milano, e si convinca: per Milano, per risolvere anche questi problemi , sono molto meglio il progetto, l'esperienza, gli esempi realizzati nelle altre grandi città italiane dalle giunte di  centro-sinistra.Faccia uno sforzo dunque e , se a queste cose ci tiene realmente , voti anche lei per Ferrante.

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