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Articolo 21 - Editoriali
Dietro l'arresto di Bernardo Provenzano un lungo sacrificio di sangue. Il giorno degli acchiappafantasmi
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di Pino Finocchiaro

Fare il cronista in Sicilia non è mai stato facile. Ma a cavallo tra gli anni 70, anni di piombo, e 80, anni di fango, vedevi cadere tanti amici. Cadevano per dare la caccia ai provenzano, ai riina, ai santapaola: poliziotti, carabinieri, giudici, giornalisti irriducibili freddati dai proiettili o dal tritolo. Altre volte dalle calunnie o da improvvidi trasferimenti: dall'isolamento. Ci sono tanti modi di uccidere un uomo.

Ecco perché mi ha commosso il gesto di un cronista siciliano come Ciccio Vitale che al Tg2 ha scelto come scena del suo collegamento da Palermo l'atrio della mobile con la sofferta - pochi sanno quanto - stele di marmo con i nomi dei funzionari uccisi da Cosa Nostra. Accanto al suo braccio si notavano i nomi di Beppe Montana e Ninni Cassarà, entrambi  uccisi a distanza di poco tempo proprio mentre davano la caccia a Bernardo Provenzano.

Montana faceva l'acchiappafantasmi di professione quando è stato ucciso il 28 luglio dell''85. Stava raggiungendo il fratello e la fidanzata al mare. Ghermito così, inerme, in costume, come un capro da offrire al sacrificio. Una tragedia da consumarsi sull'altare dell'accordo più truce: accordo indicibile tra settori deviati delle istituzioni e vertici di mafia.

Gli intoccabili restavano intoccati. Per fermare Beppe Montana non bastavano le intimidazioni e non servivano le lusinghe. Figlio di una solida famiglia borghese di Catania non cercava prebende e non era "avvicinabile". Tutto questo, insieme alla competenza e all'ostinazione, gli costò la vita.

Bene ha fatto, me lo conceda l'amico Ciccio Vitale, il cronista siciliano a piazzare i suoi microfoni, le sue camere e i suoi flash su quella controversa lapide che non è stato facile allargare alle vittime della mafia. E come, in quegli anni '80 in cui negli stessi palazzi c'era chi alzava le spalle quando gli parlavi di mafia: "Certi ragazzi vedono mafia dappertutto".

Beppe Montana, l'acchiappafantasmi, non si limitava a vederla dappertutto. S'era messo a farla vedere agli altri. Andava nelle scuole di Palermo e la raccontava ai giovani.
Beppe seminava il dubbio. La mafia non dà lavoro, lo toglie. Non garantisce il diritto, lo opprime.

I ragazzi lo ascoltavano. Il commissario Montana faceva polizia di prossimità, faceva intelligence, socializzava il suo mestiere: tutte belle parole di moda oggi. Lui non le usava mai: le incarnava.
Questo fermento andava bloccato. Per ucciderlo bastarono le pallottole. Bernardo Provenzano si guadagnò così altri 21 anni di latitanza, di vita da fantasma.
Perché Ciccio Vitali lo sa, con lui Ciccio La Licata e gli altri vecchi cronisti palermitani, se Beppe Montana fosse rimasto vivo, Provenzano, questione di tempo, sarebbe finito in galera.
E' bene, quindi, che Ciccio Vitali abbia voluto ricordare il sacrificio di Montana, Cassarà e tutti gli altri poliziotti, carabinieri, giudici e giornalisti che in quegli anni oscuri in Sicilia persero la vita per l'ostinazione a voler far emergere il problema "mafia".

Ecco perché, mentre si sollevano proclami politici sulla cattura di Provenzano, ci piace sottolineare il gesto silenzioso di un cronista che fa il suo mestiere: non dimentica. Ci piace ricordare con lui che se oggi Provenzano è in galera lo dobbiamo anche al sacrificio silenzioso di poliziotti generosi come Montana e Cassarà.
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