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Articolo 21 - Editoriali
Che cosa può succedere della Rai del dopo elezioni
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di Paolo Martini

Nei tavoli dietro la vetrina di Nello l??abruzzese, uno dei ristoranti del potere televisivo, a quattro passi da viale Mazzini, la rimonta di Berlusconi era considerata possibile. All??Ambra Jovinelli, il teatro di Serena Dandini ritrovo della ??gauche mediatique?, assolutamente no. E ora restano tali e quali due le scuole di pensiero, sull??effetto domino che si doveva aprire a partire dalla Rai dopo le elezioni. Ma, in realtà, partono dalla stessa premessa. Da Nello impazza il lodo Saccà, ovvero l??interpretazione ufficiale del roccioso uomo Rai Agostino, ora fortunato direttore della fiction, già primo direttore generale con Silvio Berlusconi, uno dei pochi che continuava a ripetere: ??non datelo per vinto?. ??Questa situazione?, è il ragionamento, che troverebbe consonanze anche a sinistra, dal presidente diessin-bipartisan Claudio Petruccioli fino al candidatissimo neo-prodiano alla direzione generale Giovanni Minoli, ??alla fine aiuterà la Rai: una vittoria netta avrebbe giocoforza tenuto l??azienda in una situazione di cattività politica. E magari si può riaprire l??intero sistema dei media?. Tra i compagni tele-girotondisti che si ritrovano all??Ambra Jovinelli, invece, prevale la vulgata scettica della stessa tesi, che prende forma con l??analisi di Beppe Giulietti, parlamentare arrivato a un soffio dalla rielezione, in attesa che il rutelliano Paolo Gentiloni magari gli ceda gentilmente il posto: ??rischiamo che non cambi nulla, ovvero una stabilizzazione conservativa. Niente mercato, ma un duopolio malato. Ci aspettiamo almeno di rivedere in onda Michele Santoro e poi tutti gli epurati, tutti: è il minimo che possiamo pretendere?.

 Altro che nuovi organigrammi, reti, testate, tg e direttori vari. Ci si attesta sulla messa in onda di Santoro, mentre sfuma il sogno di una Rai dove il centro del centrosinistra conquista Raiuno con Paolo Ruffini e magari Giovanni Floris da affiancare a Bruno Vespa, e libera Raitre alla sinistra pura e dura anti-caimana, con l??inedita accoppiata tra l??iper-creativo Carlo Freccero alla rete e, per la gioia anche di Sandro Curzi, la ??sua? Bianca Berlinguer al telegiornale. Il 20 aprile, comunque, ci sarà il primo passaggio chiave del domino mediatico post-elettorale: il direttore generale Alfredo Meocci dovrebbe venire dichiarato ??incompatibile? o meno con la carica. Si dice che salti almeno dal giorno in cui è stato nominato. Al suo posto, della serie ??avanti miei Prodi?, sono pronti o Minoli, che però si rende conto di aver perso qualche punto anche lui, o il direttore di Raicinema Giancarlo Leone, altro uomo di lungo corso Rai e di alto lignaggio ex Dc. Sulle reti e sulle testate la bagarre è rimandata. E anche il giro di valzer dei personaggi. La prima questione è quella del Presidente e del consiglio d??amministrazione. Claudio Petruccioli e gli attuali amministratori dovrebbero restare in sella, magari con l??aggiustamento del consigliere di nomina del Tesoro, Petroni. La tecnostruttura aziendale si sta compattando intorno a questo vertice che ha resisto alla bufera della campagna elettorale ormai da alcune settimane. L??episodio della svolta viene fatto risalire a una riservatissima riunione dei top manager con Petruccioli, che dopo aver esposto le sue idee sul futuro dell??azienda, rimarcava ovviamente una certa preoccupazione sul dopo elezioni. Giuseppe Cereda, quadro storico di viale Mazzini, ma anche un cattolico di sinistra di quelli che in fondo potrebbero essere della corte prodiana stretta, è intervenuto per tranquillizzare tutti con una trovata da mistico: ??c??è un Dio nascosto che ama la Rai e nei momenti chiave provvede ad aiutarla?. E?? al profanissimo e ben poco medioevale ??Deus absconditus? di viale Mazzini evocato da Cereda hanno pensato in molti, ieri, nelle stanze chiave della Rai.

Molte delle partite aperte sono perfettamente incastrate con quelle delle altre tv. Da mesi si parla di un passaggio di Fabrizio Del Noce da Raiuno a Canale 5, e da settimane, con una scommessa provocatoriamente lanciata da Eugenio Scalfari, pure della defenestrazione dal Tg5 di Carlo Rossella a favore di un berlusconiano di più stretta osservanza e di meno nota amicizia con Diego ??Che? Della Valle. Si era parlato di Maurizio Belpietro, ma anche ovviamente di Clemente J. Mimun, che cederebbe il timone del TgUno a uno dei molti possibili candidati più vicini al centrosinistra: un mezzobusto di casa come David Sassoli, un esterno di rango, addirittura persino Enrico Mentana. Ma è pure possibile che, in un clima più bipartisan, con ai vertici Rai confermati Petruccioli e magari pure Meocci, Mimun resti in viale Mazzini e sieda finalmente sulla poltrona da sempre sognata di direttore di Raiuno: in fondo, anche ai tempi del governo D??Alema, Raiuno fu affidata al berlusconiano Saccà per rilanciarla, e alla prima rete una della figure chiave della tecnostruttura è oggi la vice Teresa De Sanctis, considerata in quota Ds. Insomma, per qualche mese potrebbe rimanere tutto fermo, magari con aggiustamenti morbidi, rientri di personalità come Freccero in ruoli trasversali come la guida dei palinsesti, ritorni in video almeno simbolicamente forti (dopo Santoro, Enzo Biagi e via elencando). Ci sono poi tanti altri destini che s??incrociano nell??effetto domino post-elezioni in tv: per esempio, la creatura della notte resa celebre dalle imitazioni di Corrado Guzzanti, Gabriele La Porta, così amato da Bertinotti e dai Verdi. Lamberto Sposini, per dirne un altro, è in piena bagarre elettorale con il suo direttore al Tg5. Mistero fitto circa l??intera pattuglia de La 7: Gad Lerner, da amico dichiarato di Prodi, potrebbe preferire rimanere su una rete neutra, e invece Giuliano Ferrara potrebbe benissimo scegliere per sfida di tornare alla Rai, se verrà de-berlusconizzata. Anche Daria Bignardi e Antonello Piroso, l??anchorman del Tg e degli speciali, sono molto apprezzati da Petruccioli, e non solo da lui. Pesa l??incognita della proprietà de La7: Telecom ha già dei bei problemi, e di investire ancora soldi sulla tv non sembra aria. Gli acquirenti, se un nuovo governo garantisce condizioni di mercato possibili, non mancherebbero (De Agostini in primis). Alla fine, vincerà solo la Gruber: Lilli, invece di star lì ancora dietro al vagabondo errare degli organigrammi tv, si sarebbe preparata un bel posticino nel futuro governo.
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