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Articolo 21 - Editoriali
Non solo l'economia
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di Montesquieu

Eâ?? del tutto normale che le maggiori preoccupazioni ed attenzioni della politica rispetto alla situazione italiana si concentrino sulle condizioni dellâ??economia: lo impongono  vincoli internazionali ed esigenze interne; ne testimoniano le gravi difficoltà parametri, dati e tabelle, interni e internazionali anchâ??essi, e non polemiche e pregiudizi. Dati come quelli di queste ore del Fondo monetario attestano lâ??incapacità del governo uscente di difendere e promuovere i conti e i prodotti nazionali. Non è toccata sorte migliore, in questi anni, alle istituzioni pubbliche e di garanzia - con eccezione della più alta - ; e allâ??organizzazione pubblica nel suo insieme. Lâ??emblema di come avviene questo passaggio di consegne nelle istituzioni è il comportamento del capo del governo uscente: semplice custode, per la fase di transizione, dellâ??istituzione che si appresta a lasciare, senza obblighi che vadano oltre gli atti dovuti che non richiedono titolarità di indirizzo politico e fiducia delle Camere, ha fatto di Palazzo Chigi la centrale di tutti i marchingegni possibili per ritardare se non impedire lâ??ordinato svolgimento della vita democratica del paese. Dopo averne fatto, per cinque anni, la centrale di promozione e difesa di interessi tuttâ??altro che pubblici. Eâ?? importante che si manifesti, nella nuova maggioranza, la tendenza a non trascurare le condizioni dello Stato, a partire dai suoi massimi istituti.  La sensazione del momento è che la riflessione, nel centro sinistra, non riesca a staccarsi dalla suggestione dei nomi, dei candidati a guidare le Camere, i ministeri, lo Stato nella sua massima funzione di garanzia e di tutela costituzionale. Probabilmente non basta, senza sottovalutare lâ??importanza dellâ??impronta personale: ma le persone sono funzionali ad unâ??analisi e ad un progetto. Sembra comunque evidente  che lâ??impatto dellâ??anomalia berlusconiana sia impresso assai più nella crisi delle istituzioni che non nelle difficoltà dellâ??economia. Se, in queste ultime, è legittimo chiamare in causa limiti dellâ??azione governativa, carenze di adeguato personale di governo - perfino lo scarso interesse, salvo questioni particolari del capo del governo, di cui sono memorabili solo le straordinarie campagne elettorali - , il declino delle istituzioni è assai più legato alla personalità ed alla strategia politica del capo del governo medesimo. La strategia è quella apparsa chiara fin dal primo messaggio politico, nel 1994: un impegno politico che nasce dal dovere di difendere la democrazia e la libertà da avversari, per lâ??appunto, illiberali e antidemocratici. Lâ??equazione semplicistica tra democrazia e libertà, intesa come assenza di vincoli, è primitiva e fuorviante, anche per il carico di facile suggestione che contiene. Lâ??allergia alle regole della democrazia, che si manifesta fin dal primo momento, diviene una attraente bandiera contro tutte le burocrazie, contro tutti gli impacci costituiti dalla funzioni arbitrali, terze o di garanzia , contro tutti i doveri civili. Lâ??impatto di questa miscela di caratteristiche personali e strategia politica è destinata a stravolgere la natura stessa  dellâ??istituzione rappresentativa, il parlamento e il suo rapporto con il governo. Lâ??equilibrio tra parlamento e governo è, da sempre, il principale punto debole del nostro assetto istituzionale: si passa, nei decenni, da un concetto spinto di centralità del parlamento a quello, opposto, di centralità dellâ??esecutivo. Dâ??un tratto. Due concetti incompatibili, entrambi, con lâ??esigenza di una corretta separazione dei poteri, che non tollera istituzioni dominanti. Ma in questi anni lâ??attacco al parlamento è lâ??attacco alla sua radice fondamentale: il rapporto di rappresentanza, di delega che lega elettori ed eletti. Le Camere non sono  più le sedi del confronto tra maggioranza e opposizione, entrambe rappresentative dellâ??intero corpo elettorale: lo vieta il rifiuto di offrire un riconoscimento alla parte avversa, quella che, per lâ??appunto, costituisce un pericolo permanente per la democrazia e la libertà. Al rapporto mediato, si sostituisce un rapporto diretto del capo del governo con la propria parte, attraverso le risorse della comunicazione diretta. Promesse, progetti, programmi, risultati, perfino il disprezzo per gli avversari, passano solo ed esclusivamente per il mezzo televisivo: mai per le aule del parlamento. La prima funzione del parlamento, quella originaria, di scongelare istituzionalizzandoli  in sedi protette i contrasti  presenti in ogni comunità, non si concilia con la strategia di tenere sempre vivo il conflitto. Anzi, impedisce la piena esplicazione di una politica di divisione che è la vera strategia politica: ogni passaggio elettorale è una  scelta di campo, addirittura tra il bene e il male. Lâ??effetto, immediato, è quello di creare  una tensione crescente tra gli elettori, visti come tifoserie, in luogo di un confronto tra le diverse rappresentanze. Questo è lâ??aspetto più grave della crisi del Parlamento di questi anni:  lâ??affievolimento della mediazione delle rappresentanze politiche e il rischio, per fortuna lontano, ma non impossibile, come insegna la storia anche recente, che le fazioni si pongano direttamente le une contro le altre. Per di più,  il legame tra elettori ed eletti, già tenue, viene del tutto reciso con il meccanismo di formazione delle Camere imposto dalla nuova legge elettorale, che sancisce lâ??impossibilità di chi vota di esercitare una qualsiasi opzione  nella selezione dei parlamentari.
Le conseguenze del disconoscimento del parlamento come rappresentazione â??in scalaâ? del popolo, vengono da sé, e si concretano nello svuotamento delle funzioni costituzionali delle Camere. Alle  funzioni reali si sostituiscono forme simulate di una messa in scena, non eliminabili perché previste e prescritte nel loro iter dalla Costituzione. La tipicità dellâ??iter legislativo â?? prima lâ??esame istruttorio di merito in Commissione, poi la fase dellâ??esame nelle  Assemblee, con votazione dei testi divisi per articoli â?? viene aggirata con il pretestuosissimo ricorso a precedenti di epoche e contesti non comparabili, la cui complessità non consente in questa sede approfondimenti. In conclusione: lâ??esame in sede referente è una finzione, e si riassume in un semplice atto istantaneo, il conferimento del mandato al relatore a riferire allâ??Assemblea non già su un testo, mai esaminato  e mai votato, ma â??sullo stato dei lavoriâ?. Sul nulla, praticamente. Eâ?? solo procedura. Nel frattempo,sempre più spesso dalle cucine di Palazzo Chigi arrivano, pre-confezionate, contorte aggregazioni di commi, articoli e pagine, con annessa richiesta di voto di fiducia. Il tutto richiede un solo voto. Un voto, ad alta voce, per appello nominale. Nessun rischio per il governo e per il suo capo.Ne abbiamo  parlato in altre occasioni: un voto che ribadisce la fiducia al governo, non lâ??adesione ad un testo Per memoria, solo per memoria, va ricordato che il rifiuto di riconoscere le Camere come sede del confronto si estende, azzerandole, anche alle altre funzioni costituzionali del Parlamento: le funzioni di indirizzo, esaurite una volta per tutte nella discussione iniziale sulla fiducia, anche questo ineliminabile vincolo costituzionale; quelle di controllo, di sindacato ispettivo. Per questâ??ultima, il rifiuto del confronto si protende fino alla violazione reiterata, mai interrotta, di un obbligo parlamentare, quello di rispondere alle interrogazioni a risposta immediata personalmente, da parte del capo del governo. Non si presenterà mai. Si rivitalizza, invece,  la funzione di inchiesta, strumento tipico delle minoranze, a fini di maggioranza e di intimidazione delle minoranze stesse.  Il discorso su cosa diventa un parlamento privato delle sue funzioni costituzionali porterebbe lontano, e non è compatibile con i tempi e gli spazi di questa riflessione.
Eâ?? sufficiente, per la nuova maggioranza, lâ??attenzione ai nomi di chi presiederà le nuove Camere? Ovviamente no. Ci sono da ricostruire funzioni, rapporti con il governo, che ha spogliato le camere, ruolo dei presidenti.  Qualcuno può suggerire, vista  la strettissima maggioranza in una delle due camere,  di profittare di procedure legislative come quelle ora descritte nelle commissioni e nelle aule, in cui non si vota praticamente più e il problema della maggioranza è drasticamente ridimensionato. Eâ?? augurabile che chi ragiona così â?? e ci sarà chi lo fa,  con apparenti buone ragioni contingenti â?? non detti la linea alla coalizione. Il paese ha necessità che sia ricostruita la funzione di garanzia, arbitrale, terza: quella che, nella descrizione fin qui fatta, ha ceduto il passo alle pretese del capo del governo. Nessuno, nella maggioranza di centrodestra, ha minimamente osato contrastare la nuova â??organizzazioneâ?: la riserva di sensibilità istituzionale, che doveva essere presente almeno nei partiti eredi di tradizioni rispettose delle regole â?? la democrazia cristiana e, per chi lo ricorda, anche il vecchio movimento sociale - non è stata utilizzata. Vi è stata, per chi ha avuto la responsabilità diretta di difendere le prerogative parlamentari, una forma di regressione istituzionale;  da parte di altri alleati, quantomeno unâ??omissione di soccorso.
Ci pensino, i futuri presidenti, ci pensi chi li designa: un buon restauro istituzionale vale bene qualche rischio in più nella quotidianità dei lavori parlamentari. Il ripristino delle procedure costituzionali dellâ??iter legislativo è una buona, nobilissima â??merce di scambioâ?con qualsiasi opposizione: valorizzare da un lato, i diritti del governo ad avere votazioni certe in tempi utili, a fronte della garanzia allâ??opposizione del riguardo verso il suo diritto di controllare, giudicare, di essere anche battuta â?? è fisiologico â?? però avendo esibito le ragioni della propria contrarietà e vedendo votate anche le proprie proposte.


La buona sorte nelle cadenze delle date di elezione dei Presidenti della Repubblica in questi ultimi quindici anni, ha lasciato invece integra la funzione di garanzia e di tutela dei principi costituzionali della massima autorità della Repubblica. Due elevate interpretazioni della funzione, pur nelle difficoltà poste, sconosciute in precedenza, dalla scarsa adattabilità dei governi di centrodestra â?? in particolare del loro presidente â?? a convivere con rispetto reciproco nel contesto istituzionale, hanno fatto del capo dello Stato un punto di riferimento insostituibile pur se isolato delle altre istituzioni. Due stili diversi, che hanno portato a un diverso clima nelle relazioni con i due governi di centrodestra: più intransigente e meno sensibile al contesto il penultimo Capo dello Stato,  più attento allâ??armonia del sistema il presidente in carica. Un uguale rigore, comunque. Lâ??attuale Capo dello Stato ha compiuto lâ??impresa di ottenere il massimo di consenso e di apprezzamento possibile per unâ??autorità di garanzia da parte del presidente del consiglio uscente, notoriamente refrattario a qualsiasi tipo di controllo, vigilanza, supervisione e addirittura convivenza. Consenso e apprezzamento non proprio spontaneo, ma dovuto almeno in parte allâ??incredibile sostegno popolare di un uomo poco incline a esibizioni mediatiche. Al prossimo capo dello Stato si pone un compito pur sempre complesso e difficile, ma temperato dallâ??accresciuto prestigio della carica e dallâ??esempio degli ultimi predecessori. A chi lo designa, di tenere conto dellâ??esigenza di portare, a rappresentare il paese, persone in grado di mostrarne il volto migliore e far dimenticare lâ??Italia di questi ultimi anni nelle sedi internazionali.Deve essere chiaro che câ??è una rappresentazione del paese che lascia, e una diversa che subentra.
Câ??è lo spazio per un cenno, solamente, a quella che appare unâ??impresa tanto necessaria quanto complessa: il funzionamento della macchina dello Stato. Gli sforzi che per tutti gli anni 90 hanno impegnato governi e camere in unâ??opera diretta allâ??ammodernamento delle pubbliche amministrazioni erano e rimangono unâ??opera incompiuta, resa più difficile dal decorso del tempo che incoraggia le resistenze e sfianca gli entusiasmi quando le novità impongono trasformazioni culturali. La pubblica amministrazione è uscita dallâ??agenda politica di questi anni, eccezion fatta per due temi: il rinnovo dei contratti â?? i dipendenti pubblici sono tanti e votano - , con concessioni economiche del tutto sganciate da qualsiasi pretesa di maggiore efficienza. Lâ??altro tema è quello che va comunemente sotto il nome di spoyls system, attraverso lâ??allargamento ingordo di una breccia incautamente aperta dal precedente governo. La pubblica amministrazione deve quindi tornare come priorità nellâ??agenda del governo e della sua maggioranza: avendo presente che lâ??attuazione dei principi e degli indirizzi legislativi e la realizzazione degli obiettivi non è operazione da lasciare a organismi tecnici o amministrativi, ma richiede lâ??impegno pieno di tutto il governo, dei ministri per i rispettivi dicasteri, di cui sono i capi a tutti gli effetti, del presidente del consiglio come organo di coordinamento.


Infine un obiettivo di lungo periodo, che dovrebbe essere lâ??obiettivo di ogni esecutivo ambizioso. Avvicinare i cittadini alle istituzioni, costruendo un rapporto che parta dalla conoscenza, fin dalle scuole, e da più rigorosi comportamenti politici. Non è aprendo le sedi parlamentari come musei che si favorisce la sensazione di avere lì, in quei palazzi, i propri rappresentanti, che è alla base di un sistema che funzioni. Troppe inequivoche rilevazioni e ricognizioni mostrano la confusione che esiste nella maggioranza dei cittadini tra istituzioni (parlamento e governo) e organismi pubblici in generale da un lato e i partiti politici dallâ??altro. Eâ?? compito dei partiti stessi operare per avviare a rimozione questo stato di cose che mina il rapporto di fiducia. Per prima cosa bisognerebbe finirla con la lottizzazione a tutti i livelli, che riduce la platea dei candidati ad ogni ruolo ad una minoranza e che omologa i comportamenti dei prescelti, fatta eccezione per gli intrepidi, secondo logiche politiche di parte. La lottizzazione diffusa rientra a pieno titolo nella categoria dei conflitti di interesse, appena sotto quello gigantesco con cui abbiamo finito di convivere.
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