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Articolo 21 - Editoriali
Striscioni che vanno bandiere che restano
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di Gianni Mura

Dalla "Gazzetta" di giovedì: «Una volta ce la prendevamo sempre con i giocatori italiani, accusandoli di essere degli attori in campo, per le loro simulazioni. Ma se si paragonano ai nostri di adesso, quelli erano degli eroi». Lo dice Franz Beckenbauer, presidente del Bayern ma anche del Comitato organizzatore dei Mondiali. Secondo lui, le multe devono passare da diecimila a duecentocinquantamila euro e, ancora, l´arbitro dovrebbe mostrare subito il cartellino giallo a chi lo chiede per l´avversario. Mi associo alla sua proposta, tantopiù che l´avevo fatta prima io, modestamente. Ma non succederà niente. Un conto sono le parole, un conto è la realtà. Nella nostra realtà, che supera quasi sempre la fantasia, Materazzi girerà uno spot in favore del gioco pulito. Nella nostra realtà, Carraro è folgorato dallo spettacolo dello stadio di Barcellona, novantamila tifosi senza un solo striscione, e chiederà al governo di bandire gli striscioni dai nostri stadi. Il "Messaggero" pubblica una classifica delle multe ricevute per intemperanze dei tifosi. In testa c´è la Roma, sanzionata in 26 giornate su 35 per complessivi 158.500 euro, poi la Reggina (101.100), l´Ascoli (96.250) e la Lazio (92.500). Milan, Juve e Inter sono a centro classifica, nell´ordine dall´ottavo (58.250) al decimo posto (49.350). Se si parte dalla coda, troviamo il Chievo (2.000), il Treviso (6.750) e l´Udinese (7.000).

Sarebbe sbagliato dire che a Roma i tifosi sono quasi tutti scalmanati e nel Nordest tutti quieti. A Udine e Treviso chi ha memoria ricorda pesanti episodi di razzismo, e anche a Verona ma sull´altra sponda. Si deve allora pensare a una diversa cultura del tifo, che coinvolge anche il modo di andare in trasferta, e ha un rapporto più costruttivo tra club e tifosi. La cultura del tifo in Italia è ancora molto bassa. Non è possibile che gli stessi giocatori siano eroi adamantini quando vincono (magari senza merito) e vili mercenari da insultare quando perdono (anche se ce la mettono tutta). La Juve eliminata dall´Arsenal nei quarti e insultata a sangue, il Villarreal eliminato dall´Arsenal in semifinale e applaudito: in mezzo c´è un abisso. Pure, era molto più grande il sogno degli spagnoli, un´occasione così chissà quando si ripresenterà, ed era più vicina la realizzazione del sogno, se Riquelme avesse infilato quel rigore. Fa niente, esiste una grandezza anche nella sconfitta, ma soprattutto esiste un legame chiaro e solido tra una squadra e i suoi tifosi. Un legame che non sarà certo rinforzato da un silenzio-stampa.

[A proposito, non c´è un solo silenzio-stampa. C´è quello giustificato, che porta a qualcosa di importante (Mundial ´82), e allora peraltro parlavano ogni giorno il ct Bearzot e il capitano Zoff, e quello ottuso che non porta da nessuna parte (Juventus 2006). Umile proposta a tutti i colleghi, partendo dai direttori di testata: facciamo noi il silenzio-stampa, appena la Juve, vinto lo scudetto, ricomincerà a parlare. Niente di personale né di persecutorio, robetta di un giorno, giusto per far capire ai padroni del vapore presenti e futuri che hanno molto diritti ma anche qualche dovere.]
Le preoccupazioni di Carraro sul clima generale dei nostri stadi sono legittime, ma più che sull´assenza di striscioni bisognerebbe riflettere sull´assenza di barriere, a Barcellona e altrove. Perché al 2012 non manca moltissimo e solo a Udine si è fatto qualcosa. A Barcellona, dei novantamila spettatori leviamo quelli dei piani alti e restiamo a pianterreno. Nessuno entra in campo né prima né durante né dopo, né da streaker né da contestatore, né per sfiorare Ronaldinho né per chiedere un autografo a Puyol, né per odio né per amore. Noi che abbiamo inventato lo spettattore (spettatore-attore) prendiamo atto (e loro 8). Però è bello dire: ognuno faccia la sua parte. Suona bene, è coinvolgente, riempie la bocca. Non mi risulta (se sbaglio, mi do 2 automaticamente) che il presidente Franza sia stato sanzionato per avere promesso l´inferno a Messina. Non c´erano fiamme ma molti calcioni al Milan sì. Come la mettiamo? E ancora, caso Cannavaro-Mudingayi per capire quanto è stato trascurato, basta immaginarsi il contrario, ossia Mudingayi che rompe una gamba a Cannavaro a sessanta metri dalla porta. Se la nostra indignazione è condizionata dal nome della parte lesa, non c´è speranza. Se la tibia o il perone devono essere griffati, non c´è speranza. Se Vanigli si fa una settimana di via crucis in diretta tv e Cannavaro telefona con molto ritardo a Mudingayi (e dopo pubblico invito di Veltroni) non c´è speranza. Se per insulti all´arbitro si beccano tre giornate di squalifica e per una gamba rotta nemmeno un cartellino giallo, non solo non c´è speranza ma c´è qualcosa che somiglia alla nausea. Tutto è secondo regolamento, ma è sommamente ingiusto.
[Per bisogno di speranza (di aria fresca) voglio chiudere segnalando due libri calcistici di insolito spessore. «Il mio nome è Nedo Ludi», di Pippo Russo, racconta di uno stopper dell´Empoli alle prese con un allenatore zonista, pessimo orecchiante di Sacchi, e col suo "parlare di parole" (il mitico Progetto, che tuttora sopravvive) e del suo ribellarsi al nuovo, come Ned Ludd nell´Inghilterra gli inizi XIX secolo distruggeva le macchine dell´industria che rendevano superflui gli operai. Ironico, godibile per trequarti, ha un finale con troppa carne (troppi sentimenti) al fuoco. Voto: 7. «Platone e la legge del pallone» nonostante il titolo raggelante, è uno splendido racconto-saggio, la cui prima parte è quanto di più simile a Soriano sia stato scritto dalle nostre parti. Sedici modi di colpire la palla, sedici modi di affrontare la vita. L´autore è Zap Mangusta, al secolo Diego Pesaola, figlio del grande Petisso. Che meritava questo grande, sfaccettato atto d´amore, dove quello che sembra inventato è vero e dove si annusa veramente la poesia del calcio. Voto: 8.

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