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Articolo 21 - Editoriali
Tv di qualità Se non ora quando?
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di Giuseppe Giulietti

Sâ??ode a sinistra uno squillo di tromba: «Venderemo due reti Mediaset...», sâ??ode a destra uno squillo di tromba: «Faremo dimagrire la Rai...». Non sâ??ode affatto lo squillo più ovvio: «Faremo diminuire la quantità di spazzatura che ha invaso le reti quelle vecchie, quelle nuove e quelle nuovissime...». Ci sono stati anni nei quali della tv e dei suoi programmi parlavano, anche e soprattutto, i migliori talenti della cultura, del cinema, dellâ??audiovisivo, del giornalismo, delle università. Adesso è diventata una questione quasi privata appaltata a noi politici, più o meno esperti, ad un manipolo di maniaci del genere, a qualche affezionato e, in modo particolare, ad uno strettissimo giro di proprietari, di appaltatori, di pubblicitari, che sono diventati i veri signori e padroni non solo dellâ??auditel ma anche della nostra giornata mediatica.
La comunità degli autori e lâ??interesse generale ad un sistema della comunicazione libero, sobrio, elegante, (che nostalgia degli Andrea Barbato!), sembrano astruserie dâ??altri tempi e anticaglie da nascondere in soffitta. Eppure dovremo avere la forza di ripartire da qui; di rimettere al centro della nostra riflessione e della nostra azione la qualità delle produzioni che viaggiano nella rete. La tv (e la radio) può farci credere di essere diventati i protagonisti di una fiction o meglio i protagonisti di una grande catena tesa a organizzare il consumo e la spesa, assunti come i valori dominanti. La stessa tv, senza rinnegare la finzione e il consumo, può anche proporci o meglio riproporci altri valori quali la tensione critica, il dubbio, la solidarietà, la curiosità verso il mondo e verso ogni mondo anche il più lontano e sconosciuto. Può farlo utilizzando tutte le tastiere offerte dalle tecnologie e dalle arti e senza tagliare neanche la lingua più scomoda e persino ostica da ascoltare. In questi giorni si è riaperto il dibattito sul futuro della Rai. Approfittiamone per correggere gli errori del passato, anche i miei. Facciamo davvero tutti un passo indietro. Liberiamo lâ??impresa da ogni ipoteca di parte e consentiamo al gruppo dirigente di scegliere un direttore generale che sia percepito, dentro e fuori lâ??azienda, non per la sua presunta appartenenza a qualcosa o a qualcuno, ma per una limpida e rigorosa biografia da amministratore, da manager, per una assoluta attenzione ai temi della qualità e della produzione culturale, della innovazione tecnologica e industriale. Questo futuro direttore generale si impegni a far rientrare subito i cacciati, da Biagi alla Guzzanti, da Luttazzi a Freccero..., e invece di organizzare una squadra di «tagliatori di teste», individui una squadra di «cacciatori di teste», capace di scovare nuovi talenti nuove idee, nuovi format, magari prodotti in casa. Chiami a raccolta gli Stati generali dellâ??editoria, del cinema, dellâ??associazionismo, e dellâ??audiovisivo, e registri e ascolti le suggestioni e le proposte di tanta parte della cultura nazionale. Provi ad aprire le vecchie e le nuove reti a linguaggi, ricerche, temi e soggetti sociali che sono stati cancellati. Il prossimo governo del Paese abbia un vero e proprio assillo per ristabilire un positivo circuito tra le politiche culturali, le attività formative e i processi comunicativi. In questo modo si potrebbe finalmente riaprire una competizione sui modelli qualitativi, sulla creatività, sulla capacità di promuovere lâ??originalità e il coraggio, non solo lâ??omologazione e lâ??ossequio al potente di turno.
Il mondo degli autori e tanta parte dei cittadini spettatori non attende il nome di un direttore generale amico, ma aspetta invece con ansia che dalla lotta per la quantità e si possa finalmente passare alla promozione della qualità, e non solo in tv. Se non ora, quando?.
* deputato dellâ??Ulivo
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