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Articolo 21 - Editoriali
Tortura e' anche un'appello senza risposta
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di Beppe Sebaste

da L'Unitaâ??

In questi giorni avrei voluto scrivere una nuda lettera ai giornali per esprimere dal basso non solo lâ??angoscia e la repulsione per la tortura agli irakeni, ma per quella guerra illegale e «preventiva» che resta lo scandalo peggiore, e per tutti coloro che, nel nostro Paese, hanno sostenuto con sicumera e baldanza lâ??esportazione della democrazia a suon di cacciambombardieri, mentre la parola pacifista diventava un insulto. Ma la parola tortura evoca anche altri scenari e immaginazioni. Tre secoli dopo Cesare Beccaria, uno si pone degli interrogativi radicali sul valore delle parole e della civiltà, e se per carattere e mestiere è portato a vedere le analogie degli effetti e delle cause, dopo un poâ?? cessa di stupirsi dello stupore; e si chiede se la tortura - produrre sofferenza in altri esseri umani per il piacere di farlo o per estorcere qualcosa, fino al più nudo, estremo degrado, sordi e ciechi agli appelli e ai lamenti - non sia già sempre allâ??opera, in diversa misura, nelle tribolazioni di molti che abitano le nostre democrazie. La tortura è diabolica, cioè senza senso, perché già il dolore non tollera senso e giustificazione: dyaballo (da cui dia-bolo, contrario di symballo, simbolo), vuol dire questo in greco, disgregare e perdere senso. Opposto della tortura è infatti lâ??empatia, che come il simbolo significa unione, condivisione, forse com-passione. Non è tra i valori più diffusi. Penso allo stillicidio quotidiano di torture, spesso invisibili, che patiscono i profughi, i senza-casa, i senza- pane, i senza-lavoro, i senza-amore. Ci sono torture costantemente in atto ma indegne di notizia, e che variamentemodulano la trama dei romanzi o dei film che commuovono famiglie e singoli nei week-end. Ma che non riconoscerebbero, nude, nel loro quartiere o nel loro condominio. E se le sale dâ??aspetto e gli ambulatori dei pronto-soccorso, certe notti più che altre, ne presentano un campionario, i volti di chi va a lavorare alle sette del mattino e dovrà farlo per sopravvivere fino al sessantacinquesimo anno di età, non sono esenti da sofferenza. Ho visto e continuo a vedere uomini e donne impazzite dalla tortura degli affetti, prostrati dalla mancanza di empatia di chi fino al giorno prima li faceva destinatari di un amore, poi revocato in odio o indifferenza, sul modello delle merci o dei vestiti che si smettono. Ho incontrato un amico che non riesce più a scrivere perché, dice, se le sue parole non lo salvano dallâ??incomprensione della donna che ama, che ora lo disama senza avergli testimoniato un senso; se le sue parole non servono ad aiutare lei e lui ad evitare la sofferenza della disgregazione, come può pensare di dire qualcosa di credibile ad altri? Lui, che ha una certa età, sa bene che «le sue poesie non cambieranno il mondo» (come il titolo di una bellissima raccolta di Patrizia Cavalli), ma sa anche che il più accanito degli eremiti o il più disperato dei naufraghi non ha mai cessato, da qualche parte, di parlare a qualcuno. E che tortura è un appello senza risposta. 

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