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Articolo 21 - Editoriali
Il calendario e lâ??ambasciatore
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di Federico Orlando*

La barca Italia sta come quella che vuol prendere il mare ma, allâ??imboccatura del porto, si trova nei frangenti di marosi provocati dalle navi che vi entrano, da quelle che ne escono e dai flutti che per sua natura scatena Poseidone, sicché le acque sono tutto un accavallarsi di onde, un fluttuare, uno sbattere e uno spumeggiare, intorno al gorgo. Così sta la politica italiana, fra elezione del nuovo capo dello stato, varo del nuovo governo, elezioni amministrative di fine maggio, referendum sulla Costituzione di fine giugno. E non si sa come mettere il timone, se anticipare lâ??elezione del capo dello stato, per fargli fare subito dopo il governo, o se fare subito il governo, pregando Ciampi stesso di chiamare Prodi: che certo avrà già in tasca il foglio con la lista dei ministri, pronto a cambiare un nome se, per caso, fatto il governo, uno dei ministri dovesse ascendere al Quirinale. Persone volenterose credono di avere in mano la quadratura del cerchio, confermando Ciampi al vertice dello stato. Ma la quadratura non câ??è, per due motivi: primo, perché Ciampi si è detto non disponibile a un nuovo settennato, secondo, perché se â?? cedendo a sollecitazioni non strumentali â?? si scoprisse disponibile, dovrebbe garantire il settennato, e non solo, come qualcuno vorrebbe, la transizione, mettiamo un paio dâ??anni: perché fra un paio anni magari il governo dellâ??Unione va in crisi, si rifanno le elezioni, le vince (guarda caso) Berlusconi, e sarebbe lui ad andare non a palazzo Chigi ma al Quirinale. La qual cosa, francamente, non può essere nella prospettiva dellâ??Unione.

Ma lâ??Unione può impedire che le cose prendano questa piega, solo a patto di sapere che tutte le soluzioni che tengano conto soltanto degli interessi e degli equilibri fra i vari leader del centrosinistra sono predestinate a risolversi, a medio termine, in esclusivo vantaggio dellâ??ex premier. Essa deve cercare in parlamento la maggioranza presidenziale, che può anche coincidere con quella governativa, come estrema ratio. Nel nostro paese, sempre diviso in due (prima fra centristi e socialcomunisti, poi fra centrosinistra e sinistre radicali e comuniste), i presidenti della repubblica sono stati eletti con le maggioranze parlamentari più diverse. In pieno centrismo, Einaudi fu eletto nel â??48 da dc, pli e destre, nel â??55 Gronchi da pci, psi, monarchici e sinistra dc; nel â??62 Segni da un fronte di centrodestra (dc, pli, monarchici e msi), che già sosteneva il suo governo; due anni dopo Saragat fu eletto da un fronte di centrosinistra (pci, psi, psdi, pri e parte della dc). Nel â??71, in pieno centrosinistra, Leone fu votato dai centristi dc, pli, psdi, pri e dal msi; nel â??78 Pertini da una maggioranza montecitoriale, sette anni dopo Cossiga fu eletto quasi allâ??unanimità, e larghissime furono anche le maggioranze per Scalfaro nel â??92 (effetto Falcone) e per Ciampi nel â??98 (effetto Europa). Insomma, tranne che per la breve presidenza Segni, non câ??è mai stata piena corrispondenza tra la maggioranza parlamentare che sosteneva il governo e quella che ha eletto il capo dello stato. Lâ??Unione non è dunque vincolata da alcuna â??prassiâ? e può scegliere liberamente come comportarsi, con un solo limite: a differenza della vecchia Dc, non può permettersi il lusso di far prevalere le ragioni dellâ??una o dellâ??altra sua corrente interna e di votare spaccata. Perché la dc aveva dalla sua la mancanza di alternativa per gli italiani (bipartitismo imperfetto) e lâ??Unione non ce lâ??ha.
Dopo di che (ma non tanto dopo) il problema vero per lâ??Unione è mettersi a lavorare, meglio di come abbia fatto nellâ??ultima allucinante campagna elettorale, per vincere le elezioni amministrative di maggio e il referendum di giugno. Opinabili scelte di alcuni candidati e di comportamenti, come a Milano, rendono tuttâ??altro che tranquillo lâ??appuntamento amministrativo. Allo stesso modo, sul referendum di giugno sono già iniziati gli inciuci intellettuali alla Sergio Romano (Corriere della Sera) che rischiano di depotenziare la battaglia per il No, nella quale lâ??Unione si dice impegnata (anche se non ce ne siamo accorti). Leopoldo Elia spiegherà su queste pagine perché la Mala Costituzione, come Giovanni Sartori definisce la riforma costituzionale della destra, sulla quale siamo chiamati a esprimerci nel referendum, va semplicemente respinta.
Noi ci permettiamo solo di ricordare che la tesi di Romano (câ??è del buono e del cattivo nella riforma berlusconiana, il centrosinistra prenda il buono e respinga il cattivo) è pura astrazione, se prima non ci si dice, come si avrebbe il dovere di fare, una cosa che è tutto: e cioè se, per favorire il dialogo destra-sinistra per una riforma costituzionale concordata, il popolo debba dire No nelle urne referendarie del 25-26 giugno oppure dire Sì. Le due cose non sono la stessa cosa.
Se vince il No, si tratterà poi di inserire nella nostra Carta, attraverso lâ??ordinario meccanismo della revisione costituzionale, qualche principio condivisibile della riforma berlusconiana: per esempio, la differenziazione fra Camera e Senato e la riduzione del numero dei parlamentari, e si tratterà anche di completare la non attuata riforma federalista da noi votata nel 2001: tutte cose che sono previste nel programma dellâ??Unione. Se invece vince il Sì, ci troveremo con una nuova carta costituzionale, che cambia lâ??intera struttura politica della repubblica: dal premierato assoluto al parlamento conflittuale, dalla devolution al Quirinale fantasmizzato alle garanzie vanificate. A quel punto, hai voglia a lavorare di revisione costituzionale ex articolo 138, caro ambasciatore Romano. Avremmo unâ??altra costituzione, la maggioranza politica di Prodi potrebbe andare in crisi, il ritorno alle elezioni diventerebbe plausibile. Come lâ??ambasciatore può vedere, il 25 giugno câ??è in gioco ben più che un accordo sugli â??aggiustamentiâ? e ci giochiamo ben più che una domenica al mare.

*Europa Quotidiano - 3 maggio 2006

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