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Articolo 21 - Editoriali
La lezione di Ciampi sull' informazione
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di Giovanni Valentini

da Repubblica

Prima che Carlo Azeglio Ciampi lasci il Quirinale, converrà ricordare a futura memoria la grande lezione di equilibrio e di responsabilità che il Capo dello Stato affida alla coscienza nazionale in materia di informazione. Chiamato a fare da arbitro nell' impari contesa fra il governo del "regime televisivo" e un' opposizione esiliata dalla tv, in questi sette anni il "presidente di tutti gli italiani" ha vigilato sul pluralismo con una particolare attenzione e sensibilità di cui ancora una volta bisogna dargli atto. è un' eredità che implica anche un impegno per il suo successore, un vincolo di continuità al quale non potrà sottrarsi il prossimo presidente della Repubblica, nei limiti dei poteri e delle prerogative che la Costituzione gli assegna.

E perciò è tanto più apprezzabile, retrospettivamente, la proposta della Casa delle libertà di riconfermare Ciampi, declinata dallo stesso interessato con la fondamentale ragione che l' Italia non è una monarchia ed è opportuno il ricambio ai vertici istituzionali. Prima nel messaggio alle Camere del luglio 2002 e poi in quello con cui il 15 dicembre 2003 rinviò al Parlamento la prima versione della legge Gasparri, in linea con le numerose sentenze della Corte costituzionale il Capo dello Stato ha indicato alcuni principi che spetta ora al nuovo governo di centrosinistra realizzare, al di fuori di qualsiasi logica vendicativa o punitiva.

Basterebbe soltanto che nel campo televisivo fossero applicati limiti alle concentrazioni analoghi a quelli che risultano rispettati - come riconosceva esplicitamente lo stesso presidente - nel settore della stampa: e cioè il 20 per cento sul totale delle tirature dei quotidiani, secondo la legge del 1981 sull' editoria. Abbiamo già visto invece come sono stati violati, elusi, aggirati i "tetti" sulla raccolta pubblicitaria delle televisioni (30%) e sul numero delle reti consentite a ciascun soggetto (due), fissati dalla precedente normativa anti-trust. E sappiamo come la famigerata legge Gasparri imposta dal centrodestra abbia favorito l' ulteriore allargamento di queste maglie, attraverso la favola del digitale terrestre e l' introduzione del fantomatico Sic (Sistema integrato delle comunicazioni) che ha ampliato a dismisura il "paniere" delle risorse.

Su quale terreno, allora, si può ragionevolmente pensare di stabilire nuovi limiti contro le concentrazioni televisive? La risposta è semplice: sul totale delle frequenze che lo Stato, unico e legittimo titolare di un bene collettivo com' è l' etere, assegna in concessione ai vari operatori in modo da garantire a tutti la possibilità di competere alla pari. Parliamo delle vecchie frequenze analogiche e delle nuove frequenze digitali. Vale a dire, appunto, l' equivalente della tiratura complessiva dei giornali. Un' indagine dell' Antitrust attesta il numero di quelle occupate attualmente dalle tre reti Rai e dalle tre reti Mediaset, con una copertura completa del territorio nazionale. La Rai detiene 5.877 frequenze (5.734 analogiche e 143 digitali), pari al 43% del totale; Mediaset ne detiene 5.464 (rispettivamente, 4.974 e 490), pari al 39,9%. Agli altri operatori, a cominciare da Telecom Italia Media che ha in tutto 1.493 frequenze, pari al 10,9%, restano evidentemente le briciole. è la migliore fotografia, la prova provata del duopolio.

Da questa situazione, dunque, bisogna partire per articolare meglio il settore televisivo e favorire la libera concorrenza. Se poi qualcuno con un numero minore di frequenze riuscirà magari a raccogliere più pubblicità e a fare più soldi, buon per lui. Ma una migliore distribuzione delle risorse tecniche non potrà che giovare alla competizione fra i diversi soggetti: più che vagheggiare il mitico "terzo polo", si tratta di consentire a chi è già presente su questo mercato di sviluppare il proprio business in condizioni di parità con i due incumbent. D' altra parte, la transizione al digitale terrestre fissata al dicembre 2006 è stata già rinviata al 2008 e chissà quando mai avverrà effettivamente. In questa prospettiva, non si vede perché la sentenza con cui la Corte costituzionale prescriveva il trasferimento di Retequattro sul satellite, proprio in base ai principi anti-trust, da qui ad allora non debba essere applicata.

Nel frattempo, la terza rete di Mediaset potrebbe passare in alternativa sul digitale terrestre e la Rai potrebbe svolgere finalmente un autentico servizio pubblico con una rete senza spot, mantenendo per le altre due il mix tra canone e "tetto" pubblicitario. Resta sullo sfondo l' anomalia, tutta italiana, di una televisione che raccoglie più pubblicità della carta stampata. E quindi, la necessità di riequilibrare l' intero mercato per evitare il pericolo - come avvertiva Ciampi nel messaggio con cui bocciò la legge Gasparri - che "la televisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio a una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela". Ma qui occorre intervenire direttamente sugli indici di un affollamento che per la tv commerciale arriva al 15% giornaliero e può raggiungere addirittura il 18-20% orario, riducendo così il bombardamento di spot, mini-spot, telepromozioni e telemarkette che infierisce quotidianamente sui telespettatori.

Oltre ad allargare le occasioni di mercato, lo sviluppo tecnologico deve rappresentare - secondo l' auspicio di Ciampi nel messaggio alle Camere del 2002 - "un freno alla costituzione o al rafforzamento di posizioni dominanti". Mentre il "presidente di tutti gli italiani" si accinge ora a lasciare il Colle, accompagnato dalla profonda gratitudine dei cittadini di destra o di sinistra, auguriamoci che il successore sappia raccogliere la sua lezione anche in questo campo. Come figura imparziale e garante dell' unità nazionale, il presidente della Repubblica giura fedeltà a quella Costituzione che contiene anche l' articolo 21, caposaldo della libertà d' informazione. (sabatorepubblica.it)

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