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Articolo 21 - Editoriali
Afghanistan, ben lontani dalla pacificazione
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di Laura Quagliuolo

La tragica morte dei due alpini italiani pochi giorni fa a Kabul e lâ??abbattimento dellâ??elicottero americano Chinook, due giorni dopo, che ha causato la morte di dieci marines, sorprende tutti coloro che fino a ieri avevano sentito parlare di un Afghanistan pacificato e sulla via della democrazia e pone degli interrogativi sulla cosiddetta â??missione di paceâ? dei nostri soldati.

Lo sbandierato processo di democratizzazione e di pace in quel paese non è, di fatto, mai iniziato, anche se lo svolgimento delle elezioni presidenziali e politiche ha dato ai governi impegnati nellâ??operazione Enduring freedom, a quelli che hanno inviato le loro forze armate nella missione ISAF, ora sotto il controllo della Nato, nonché ai media di tutto il mondo una chance per raccontare che in Afghanistan si era avviato, pur lentamente, un processo di democratizzazione e per far credere che ci sono guerre giuste e utili.

Purtroppo non si è voluto parlare della realtà dellâ??Afghanistan e del suo popolo e delle vere ragioni dellâ??intervento militare. Lâ??intervento militare del 2001 è stato giustificato dichiarando che non si poteva lasciare impunito lâ??attacco dellâ??11 settembre, dicendo di voler liberare il paese dal feroce regime taleban e da Bin Laden, di voler liberare le donne dalla schiavitù del burqa e dallâ??analfabetismo, di voler portare la democrazia.

Ma perché ci ostiniamo a pensare che basta bombardare e occupare un paese e poi indire delle elezioni perché si avvii un processo democratico? Perché pensiamo che questa ricetta possa funzionare e che oltretutto si possa adattare a qualsiasi popolo, a prescindere dalla sua storia e dalle sue tradizioni? E quale significato diamo alla democrazia?

Democrazia dovrebbe voler dire, innanzitutto, diritti elementari per la popolazione (scuole, sanità, lavoro dignitoso, acqua pulita), dovrebbe significare, in un paese come lâ??Afghanistan, teatro di quasi 30 anni di guerre sanguinose, ricostruzione di abitazioni decenti, sminamento del territorio, strade, trasporti pubblici, elettricità, cioè qualche speranza di vita dignitosa per una popolazione martoriata. Dal 2001 a oggi nulla, o quasi nulla di tutto questo è accaduto.

In Afghanistan, dei 21.000 km di strade presenti solo 2.793 sono asfaltate; ci sono 47 aeroporti, ma di questi solo 10 hanno piste di atterraggio asfaltate.

Secondo un rapporto dellâ??UNDP, il 39 per cento della popolazione nelle aree urbane e il 69 per cento di coloro che vivono nelle aree rurali non ha accesso ad acqua pulita.

Lâ??aspettativa di vita è 44 anni; il 53 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La percentuale di popolazione alfabetizzata è del 29 per cento, ma di questi solo il 3 per cento delle donne, percentuale che in alcune zone questa si abbassa allâ??1 per cento; ogni 30 minuti una donna muore per problemi legati al parto; un bambino su cinque muore prima di compiere cinque anni.

Nonostante si siano iscritti alle scuole di vario livello oltre tre milioni di studenti, la maggior parte delle scuole, danneggiate durante gli anni di conflitto, non sono state ricostruite e non sono sicure.

Il salario medio mensile è di 40 dollari al mese; il costo medio mensile di una casa in affitto è di 200 dollari e le spese per il cibo per una famiglia ammontano a 200 dollari.

La popolazione di Kabul è passata, dopo la caduta dei taleban, da 1 milione a 5 milioni; sono persone arrivate dai campi profughi del Pakistan e dellâ??Iran e da altre parti dellâ??Afghanistan in cerca di lavoro. La maggioranza di queste persone sono senzatetto che affollano gli slum della capitale.

Nel frattempo gli USA hanno occupato il paese con 8 basi militari, dalle quali hanno il controllo di Iran, Cina, Pakistan, Russia e tutta la regione; i signori della guerra, per la più parte combattenti del jihad contro lâ??invasione sovietica, rei di crimini inenarrabili contro il loro stesso popolo e di essere stati i primi a reintrodurre pesanti discriminazioni nei confronti delle donne, hanno occupato quasi tutti i posti di potere al governo e nelle province e controllano la produzione e il commercio dellâ??oppio; la corruzione dilaga nella sfera pubblica e non solo, e gli ingenti fondi destinati alla ricostruzione sono finiti nelle tasche dei privati, a giudicare dalle condizioni in cui versa il 90% della popolazione e dal proliferare di sontuosi alberghi, centri commerciali e case private di lusso, soprattutto nella capitale. Nel mio recente viaggio in Afghanistan ho potuto constatare di persona le condizioni della popolazione, e mi sono sentita ripetere ossessivamente che oltre alla mancanza di scuole, sanità elettricità, acqua, lavoro, uno dei problemi più seri e sentiti dalla popolazione è la mancanza di sicurezza.

Karzai e il suo governo di corrotti e criminali controlla a malapena Kabul, il resto delle province è nelle mani di criminali di guerra a cui non interessa il destino della popolazione ma solo il proprio potere e arricchimento personale.

Se i governi della coalizione contro il terrorismo volessero davvero contribuire a democratizzare lâ??Afghanistan non dovrebbero allearsi e sostenere criminali di guerra fondamentalisti (denunciati anche da più rapporti di Human rights watch) ma piuttosto contribuire al loro disarmo e alla loro incriminazione. La presenza delle nostre truppe potrebbe aver senso solo per far sì che i criminali di guerra, i corrotti, i trafficanti di oppio venissero portati davanti a un tribunale internazionale e processati per crimini contro lâ??umanità, e far sì che i fondi destinati agli aiuti alla popolazione vengano realmente utilizzati per ricostruire lâ??Afghanistan e dare una speranza di vita decente e di ricostruzione alla popolazione.

*Coordinamento Italiano Sostegno Donne afghane onlus

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