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Articolo 21 - Editoriali
Governo per un paese di adulti
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di Federico Orlando*

Sembrava un premier venuto dal freddo quello che ieri mattina usciva dal colloquio col capo dello Stato, per leggere ai giornalisti la lista dei ministri. Poi, finita con la lettura di nomi noti e meno noti, appropriati e meno appropriati, la nottata durata un mese e più, Romano Prodi sâ??è disteso a un quasi sorriso, come pregustasse i buoni risultati che la sua squadra darà, dovrà dare, agli italiani. Lâ??attesa degli italiani, infatti, è stata lunga, tormentata; e in questâ??ultime settimane era diventata quasi irosa per quei caroselli di spartizioni e di nomi che sono, sì, di tutti i governi in gestazione, ma proprio perché sono di tutti â??non dovevaâ? essere anche del secondo governo Prodi, promesso come una novità: per contenuti, metodi e moralità politica dei suoi componenti.
Chi ha vissuto, non nel palazzo ma nel paese, la gestazione e la nascita del primo governo Prodi nella primavera 1996, sa cosa intendiamo. Allora Prodi aveva vinto con un simbolo nuovo unificante, lâ??Ulivo, e noi eravamo andati ai seggi cantando la Canzone Popolare, e avendo in mente â??lâ??Italia che vogliamoâ?, che era lo slogan dei comitati Prodi. Nulla di questo pathos è rivissuto nella recente campagna elettorale, data per scontata come la â??passeggiata militareâ? in Grecia e, come quella, a rischio di trasformarsi in disfatta. E sì che la maggioranza degli italiani, invece, aveva affidato al centrosinistra non solo la liberazione da Berlusconi e dai furbi, ma lâ??indicazione chiara degli obbiettivi da perseguire. Prodi lâ??ha fatto inizialmente con chiarezza estrema, poi pressoché annullata da diffusi e inopinati farfugliamenti su tasse e altre minacce regressive dei soliti progressisti.
Ci ha illustrato un programma per restare su quel treno che aveva promesso agli elettori del 21 aprile 1996 di prendere, e sul quale salimmo â?? aggrappati al predellino fra viaggiatori malmostosi nei nostri confronti â?? il 25 marzo 1998 con lâ??ammissione nel gruppo iniziale dellâ??euro. In undici mesi, la tenaglia Ciampi-Visco sâ??era chiusa sulla spesa pubblica, riuscendo a trarre il massimo vantaggio dal ciclo produttivo favorevole. Anche oggi è favorevole, e anche oggi la spesa pubblica è devastata. Per uscire dal gorgo, dobbiamo recuperare credito in Europa, dove Barroso e Almunia ci danno poco tempo ma hanno molta fiducia nei nomi di garanti a loro conosciuti, Prodi e Padoa Schioppa. A Roma come a Bruxelles sanno e sono dâ??accordo che, a differenza del 1996-97, non possiamo giocare la partita in due tempi, il risanamento e poi lo sviluppo, ma dobbiamo fare il miracolo di risanare la finanza sviluppando lâ??economia. Ã? questa la promessa che Prodi fece allâ??inizio della campagna elettorale, la riduzione di cinque punti delle tasse sul lavoro ne è strumento. Ed è questa la scossa che il paese attende dal nostro governo.
Una scossa che faccia palpitare la brutta bandiera dellâ??Unione, così come il salto in Europa fece palpitare dieci anni fa la bella bandiera dellâ??Ulivo. La condizione è che chi ha concorso a dare facce e, crediamo, cervelli al nuovo governo sia consapevole della complessità dellâ??obbiettivo, posto che sviluppo significa crescita del sistema produttivo generale, e che modernizzazione significa competitività di prodotti nuovi e di più qualità, significa una pubblica amministrazione con meno vincoli e parassiti, significa paese che cresce demograficamente e per qualità della vita: quindi paese che guarda ai giovani â?? cultura, lavoro, credito sociale, maturazione civile â??, ponendosi mete conseguibili in un decennio.
Ã? funzionale a questi impegni la squadra del secondo governo Prodi? Ã? adeguata la cultura dei partiti di centrosinistra a contrastare lo sfracello che Berlusconi minaccia per non farci governare? A rileggere oggi alcuni nomi del primo governo (Dini, Napolitano, Flick, Ciampi, Visco, Andreatta, Berlinguer, Maccanico, Bersani, Treu, Bindi, Veltroni) qualche rimpianto viene, ma passa indugiando sui nomi illustri del secondo governo, e anche su quelli di cui gli italiani sanno poco ma gli addetti conoscono le competenze. Funzionale ci sembra la task force chiamata alla politica di sviluppo (Rutelli, Bersani, Padoa Schioppa, Pinza, Visco, Letta, per citare a memoria); un poâ?? meno la divisione amebica fra trasporti e infrastrutture; e forse la moltiplicazione dei pani e dei pesci per la politica sociale. Qui il presidente del consiglio (cui saremmo grati se non si facesse chiamare premier e non girasse in maniche di camicia) dovrà mostrare in pieno la sua capacità di coordinamento e, se serve, di richiamo allâ??ordine. Ã? a lui che la Costituzione vivente affida la volontà degli italiani di andar oltre le ideologie, che sono il piombo nellâ??ala di una certa sinistra così come gli interessi anarcoidi lo sono di una certa destra.
Contro questo quadro, con molte luci e qualche ombra, già si accanisce lâ??estrema destra di Berlusconi e Bossi, sia che lâ??ex premier minacci di fare una campagna spettacolare per convince a votare nel referendum la sua Costituzione incostituzionale, sia che i sindaci leghisti preannuncino che non esporranno nelle loro sedi il ritratto del nuovo capo dello Stato italiano. Il centrosinistra dovrebbe trasformare le due minacce in miscela esplosiva per i suoi cannoni, se ne ha ancora. Ã? infatti proprio la devolution della Costituzione berlusconiana a rianimare bocca a bocca il declinante secessionismo della Lega. Bisognerà che quellâ??artiglieria risponda con pillole molto persuasive a quelle che lâ??estrema destra userà per far vincere il sì nel referendum (governo di legislatura, parlamento che non rompa, meno deputati e senatori, giustizia più garantista): tutte cose che vogliamo anche noi senza peronismo e secessionismo. Tutte cose da fare attraverso la revisione definitiva della Costituzione, a cui Napolitano ha invitato lâ??intero parlamento: ma che non si farebbero se al referendum prevalessero i sì, che Berlusconi strumentalizzerebbe come sua rivincita sul voto del 10 aprile, il voto da cui nasce il governo Prodi. Un governo indebolito dal referendum affronterebbe con più fatica il suo impegno. Lâ??Italia non sarebbe certo commissariata da Barroso e Almunia, ma il rischio di andare alla deriva si farebbe forte. Ã? tempo che i partiti si lascino alle spalle la brutta nottata delle poltrone, e si gettino allo sbaraglio nel paese, a recuperare elettori che non nascondono di avere perplessità insieme a speranze. Come si addice agli adulti.

*Europaquotidiano â?? 18 maggio 2006

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