di Paolo Francia
L'ennesima, nuova stagione della Rai sta per aprirsi in un clima, se non proprio di ottimismo, almeno di speranza. Lo è soprattutto per le migliaia di quadri e di livelli medio-bassi, che vivono l'Azienda in spirito di grande partecipazione personale e che solo marginalmente e in via indiretta sono lambiti dalle lotte e dalle spartizioni degli incarichi agli alti livelli; epperò ne rappresentano la struttura portante e la forza per l'oggi e per il domani, come sono da sempre l'elemento più significativo della sua continuità e della sua permanenza ai vertici del mondo editoriale.
Sullo sfondo si ripresenta tuttavia l'eterna liturgia delle discussioni sul ruolo e sul peso della politica e sui passi indietro che essa dovrebbe fare per lasciare alla Rai la possibilità di vivere come Azienda vera e propria, gestita con professionalità ed economicità . Ciò insieme con il ricorrente dibattito sulla sua parziale privatizzazione, vista come la panacea dei suoi, presunti o reali, mali, mentre sarebbe facile accettare e condividere il principio generale e l'obiettivo di un'Azienda pubblica (come hanno tutti i Paesi) gestita con criteri privatistici: bella, sana e autorevole.
Senza addentrarci in questa complessa tematica, ci sembra che un minimo comune denominatore per chi lavora in Rai dovrebbe essere la riscoperta e la difesa di un'etica aziendale che troppe volte in passato è parsa evaporarsi nelle convenienze spicciole e nei miseri opportunismi interni, con riflessi negativi all'esterno e nelle valutazioni o sensazioni dell'opinione pubblica.
L'etica è un valore individuale; ma la somma di questi valori individuali genera un grande valore collettivo che fa crescere un Paese. Non è un caso che, diretti o indiretti, siano costanti i richiami di Benedetto XVI (come lo erano di Giovanni Paolo II) come lo siano stati e lo siano quelli delle alte cariche dello Stato. Ma siccome non tutti, purtroppo, percepiscono questo dato, è necessario fare ricorso a regole, costrittive e valide 'erga omnes', verso tutti. Lo è anche in Rai. Irregolarità di gestione, prevaricazioni sui dipendenti o sui collaboratori, sciupìo di risorse, pubblicità non consentite, procedure e accordi 'border line' e via dicendo: è importante che siano fissati rigidi codici di comportamento. Sì, in parte esistono, ma senza la loro applicazione pratica, con le inevitabili conseguenze per i contravventori, sono carta straccia. Applicazione 'oggettiva', non discrezionale, come purtroppo tante volte è avvenuto e come davvero ci si augura che con sempre minore frequenza avvenga nella nuova stagione della Rai.
Un ricordo personale a sostegno di questa argomentazione. A proposito di un'indagine aziendale chiesta tempo fa a un direttore generale (che ha lasciato la Rai) e di cui non si era più avuto notizia, ci fu obiettato più o meno â??e chi ti dice che non l'abbia fatta fare; ma se renderla nota o no lo decido ioâ?. Ciò non è evidentemente accettabile. Quella risposta, ma più ancora quell'atteggiamento non aveva nulla di etico.
Regole chiare, dunque; da rispettarsi. E chi non le rispetta sia sanzionato con tempestività e senza eccezioni di comodo. Si infittiscono le autorevoli sollecitazioni a regole condivise di vita e di costume per tutto il Paese. Nel suo piccolo (ma piccolo fino a un certo punto) la Rai può contribuire per la sua parte. Ne trarrà vantaggio l'Azienda. Chi ci lavora respirerà una salutare aria nuova; ed è importante soprattutto per chi ha molti anni di permanenza davanti a sè. La politica, volente o nolente, non potrà che assentire.
E' utopia?