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Articolo 21 - Editoriali
Rapporto Stato-Chiesa
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di Federico Orlando

da Europa quotidiano
Ieri il nostro vaticanista Aldo Maria Valli ha scritto che lunedì scorso, mentre il parlamento eleggeva Giorgio Napolitano nuovo capo dello Stato, il cardinale Ruini confermava il no della Chiesa su aborto («abominevole delitto»), fecondazione artificiale, pacs, temi sui quali il cardinale Martini aveva appena manifestato aperture alla problematicità dei moderni. Ricordava poi che giovedì, mentre il governo Prodi entrava in parlamento per chiedergli la fiducia, lo stesso papa Ratzinger riprendeva i temi a lui consueti della «sana» laicità, della «vera» libertà, dellâ??«autentico» bene: «Parole rivolte di certo ai vescovi che gli siedono davanti, ma anche ai politici della coalizione di centrosinistra da poco entrati nei palazzi del potere». Valli definisce «tempi provvidenziali» quelli che a noi, meno capaci di ironia, appaiono sincronizzazioni non involontarie fra atti fondamentali dello Stato â?? lâ??elezione del suo capo, la formazione del suo governo â?? e promemoria della gerarchia su ciò che lo Stato non può non ricordare mentre si appresta a un nuovo ciclo di legislazione e di governo.

Ma la Chiesa «è ben consapevole â?? dice il papa â?? che alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio e di questa distinzione si rallegra come di un grande progresso dellâ??umanità». E ne ha ragione. Anche lui vede cosa succede in queste ore in Olanda, il paese più liberale dâ??Europa, dove la libertà deve piegarsi al fondamentalismo, scatenato contro lâ??immigrata-deputata rea di collaborazione col regista Van Gogh, già â??giustiziatoâ? da musulmani; o in Turchia, dove un giudice viene ucciso anche lui perché laico dai medesimi fanatici, ma dove, a differenza dellâ??Olanda infiacchita, la folla scende in piazza a difendere la laicità dello Stato contro il rigurgito oscurantista. Proprio come sarebbe successo in Italia nellâ??Ottocento, secolo da cui ci ha portato fuori la cultura liberaldemocratica delle guarantigie e non lâ??opportunismo concordatario del fascisti.

Ora accade che, mentre giornali cattolici, agenzie, radio e qualche cardinale abbiano accolto la nuova legislatura con un fuoco di sbarramento (graditissimo alla destra del portafoglio e dellâ??acqua santa: ieri il siculo Schifani ha ripetuto per quattro volte in senato che il papa cosa sua è, «il nostro papa»), lo Stato italiano abbia manifestato coi fatti quel rispetto per le opinioni «irrinunciabili» della Chiesa che non tutta la Chiesa ricambia per le opinioni altrettanto â??irrinunciabiliâ? di una gran parte della società italiana. Sto parlando, per esempio, di primato della scuola â??stataleâ?, di libertà della scienza e del suo insegnamento, e di altre cose che, a differenza dei Pacs o della Ru 486, sono scritte con parole chiarissime nella Costituzione. Di rapporti Stato-Chiesa ha parlato Napolitano con una serenità â??liberaleâ? di cui la stessa Chiesa si è compiaciuta. Al rapporto tra le due rive del Tevere ha accennato Prodi nel programma di governo: accenni generici, vero, ma i fatti dicono che proprio sui temi a vario titolo â??sensibiliâ? per la Chiesa â?? dalla scuola alla famiglia, dalla sanità ai beni culturali â?? il nuovo governo ha ministri che non saranno i goffi baciapile del berlusconismo, ma proprio per questo garantiscono alla Chiesa quella dignità di «reciproca collaborazione» che in Europa, con o senza radici cristiane in costituzione, non potrebbe mai essere come a Riyad o a Teheran o a Kabul.


Comunque, posto che in uno Stato liberale la Chiesa ha diritto di dire tutto ciò che pensa delle questioni su cui concentra il suo magistero, così come imprese e sindacati hanno diritto di dire tutto ciò che pensano sullâ??economia e sul lavoro, e il mondo scolastico accademico e scientifico di marcare giorno per giorno con osservazioni e richieste le politiche ad hoc del governo, e i movimenti sociali di esprimere il loro pensiero sui diritti (e sui doveri), eccetera; posto tutto questo, bisogna anche ricordare al governo che esso risponde ai suoi elettori, e che perciò le sintesi spettano a lui e solo a lui, col consenso del parlamento nel quale si esprime la sovranità degli italiani. Pensiamo che il governo potrà farlo tanto meglio quanto più le sue componenti laiche, senza nulla ripudiare della grande cultura laica, che è la cultura del mondo moderno, si libereranno da memorie crispine e loquacità bertinottiane; e quanto più le sue componenti cattoliche emargineranno il geddismo e il dossettismo, esattamente come dovette e seppe fare De Gasperi per governare la complessità italiana dal «centro che guarda a sinistra».

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