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Articolo 21 - Editoriali
Noi, gli ostaggi liberati
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di Federico Orlando*

Per la prima volta nella storia italiana, siamo noi, gli ostaggi, e non i nostri esattori o dazieri, i destinatari di un atto rivoluzionario del governo: il decreto Bersani sulle liberalizzazioni. La legge Le Chappellier, in Francia, è del 1791, in Inghilterra le Combination Laws sono del 1799. Rivoluzione francese e rivoluzione industriale dilagano insieme, democrazia e industrializzazione debbono passare e passano sulle corporazioni. Adamo Smith ha appena osservato che raramente persone delle stesse arti o mestieri «si trovano insieme, anche per svago e divertimento, senza che la conversazione finisca in una cospirazione contro il pubblico, o in qualche manovra per aumentare i prezzi». Un secolo e mezzo dopo, il 12 settembre 1945, nellâ??Italia rimasta ancora chiusa alla rivoluzione liberale e appena ripudiato a parole lo stato corporativo, Luigi Einaudi scriveva contro lâ??annunciata conservazione dellâ??Ordine dei giornalisti: «Lâ??albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha e non deve avere, alla libera espressione del pensiero. Ammettere il principio dell¹albo obbligatorio sarebbe resuscitare i peggiori istinti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli e dei non conformisti». Ma prevalse la cultura â??organicaâ? della società medievale, coi suoi corpi intermedi di associazioni, comuni e parrocchie, nello sforzo non sempre riuscito di conciliare la società democratica, nata dalla rivoluzione francese e quindi individualista e anticorporativa, con la tradizione italiana: ultima ancor oggi a resistere - i tassisti sono e a lungo resteranno in piazza - nonostante la dimostrata inconciliabilità in tutto lâ??occidente tra mantenimento delle corporazioni da un lato e sviluppo industriale e modernizzazione politica dallâ??altro. Soltanto oggi, di fronte alla decisione del governo, tutti possono vedere con occhi nuovi che la nostra doppia crisi di crescita dellâ??economia e del sistema politico ha unâ??unica radice: la tenace sopravvivenza della ragnatela corporativa, la cultura delle lobby; e vedere anche che la nostra mancata evoluzione di sudditi in cittadini è parallela alla mancata maturazione di lobbisti e professionisti in veri imprenditori di mercato. Senza sognarci di distinguere tra corporazioni buone e cattive (abbiamo esordito ricordando la polemica di Einaudi contro la nostra); e senza minimizzare il ruolo delle corporazioni nellâ??economia immobile del passato, né le ragioni di chi - come oggi i tassisti - chiede condizioni strutturali di competitività a cominciare dalla disciplina del servizio pubblico nelle città, ci sentiamo tuttavia di dire che la rivoluzione liberale del governo Prodi colpisce non lâ??attività imprenditoriale di artigiani e professionisti, ma quella di â??esattori e percettori di bolletteâ?. Ã? la definizione che al tempo della nazionalizzazione elettrica fu data dei monopolisti dellâ?? â??industria biancaâ?. Allora però - e per questo anche noi non fummo fra quelli che applaudirono - la nazionalizzazione fu presentata gratuitamente come antiliberale (mentre Giolitti aveva nazionalizzato le ferrovie mezzo secolo prima), e anzi il piovorno Riccardo Lombardi parlò di «bastone fra le ruote dellâ??economia capitalistica». Oggi neanche le lobby oserebbero dire simili sciocchezze, essendo vero oggi ancor più di allora che la rivoluzione del governo serve proprio a dare velocità alle ruote dellâ??economia di mercato e alla sua necessaria legittimatrice, la crescita civile dei cittadini. Oggi forse per la prima volta una decisione liberale può essere avvertita da noi singoli cittadini come una grande occasione di cambiar vita, passando dalla cultura arcaica del gabelliere dellâ??esattore e del vidimatore, dalle sbarre di confine e dalle garitte del daziere, al laissez faire laissez passer che segna lâ??inizio della società moderna. Avrebbe dovuto la destra, almeno quella non dichiaratamente nostalgica del fascismo e dellâ??organicismo sociale, avviare lei questa rivoluzione, avendo avuto il tempo di fare tante leggi ad personam spacciate per liberalizzazione. Se oggi è il centrosinistra ad avviarla, è perché qui sâ??incontrano componenti di consolidata o recente cultura liberaldemocratica e componenti più avanzate della cultura neoriformista, Ã?no a Bertinotti e forse oltre, le quali vedono in una formula a loro estranea, â??liberalizzazioneâ?, il segno di una movimentazione sociale che è sempre progresso. Ci auguriamo, e speriamo non dispiaccia nella nostra coalizione, che al momento delle decisioni in parlamento convergano -autonomamente, parzialmente, criticamente - persone e gruppi del centrodestra: come fanno sperare non solo i Follini e i Tabacci, ma gli Alemanno, i Ferrara, i Martino. Essi rimpiangono le cose che loro avrebbero dovuto fare se lâ??egoismo del leader e lâ??arretratezza dellâ??intendenza non avessero prevaricato sugli elettori stessi della destra, prima che sui loro rappresentanti.

* Europa quotidiano del 4 luglio 2006 

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