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Quando l’incidente sul lavoro, bene che va, è una disgraziata fatalità
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di Raffaele Siniscalchi

Quando l’incidente sul lavoro, bene che va, è una disgraziata fatalità

Da parte della grande stampa d’informazione non c’è mai stata una grande attenzione per gli incidenti sul lavoro. A meno di incidenti straordinari per modalità e per numero di morti, poche righe in una pagina interna e la cosa finiva lì. Non c’era alcun interesse a capire le cause dell’evento ne’ a seguire l’evolversi del dopo.  Poi, le prese di posizione sull’argomento della salute e della sicurezza sul lavoro del presidente Napolitano, sembravano aver fatto maturare nei giornali una maggior consapevolezza della necessità di tenere desta l’attenzione su questi accadimenti tragici e ingiusti. Alle notizie d’incidenti sul lavoro veniva dato un maggior rilievo che non in passato e con più attenzione venivano seguiti anche i destini dei familiari delle vittime. Sembrava, insomma, che vi fosse un maggior interesse dei giornali e, di conseguenza, un maggior coinvolgimento dell’opinione pubblica ( si pensi alla raccolta  di fondi per i familiari delle vittime della Thyssen di Torino) a quegli eventi luttuosi. C’è anche da dire che c’era un governo di centro-sinistra e un ministro del lavoro, Cesare Damiano, che per la sua storia personale – sindacalista dei metalmeccanici e poi dirigente nazionale della Fiom - , era molto sensibile al tema del lavoro, delle sue forme e delle conseguenze sulle persone (si veda a questo proposito la formulazione del testo unico che l’attuale governo e il suo ministro del lavoro Sacconi stanno lentamente trasformando in peggio). Il governo, seguiva con attenzione quanto accadeva nel mondo del lavoro e era presente anche in occasione di eventi tragici come, appunto la Thyssen o l’esplosione dei silos dell’oleificio di Campello sul Clitumno in Umbria.
E tuttavia, anche in questo periodo di maggior attenzione, sulle cronache dei giornali continuavano a restare in ombra, non dette, le possibili cause degli eventi cosicchè questi continuavano a sembrare disgraziate fatalità. C’è però da dire che sarebbe difficile se non impossibile per un giornalista formulare delle ipotesi perché  questo richiederebbe una conoscenza dei processi produttivi che i giornalisti, perlopiù,  non hanno. La fabbrica, ma in generale tutti i luoghi di lavoro, sono interdetti ai giornalisti ai quali viene semmai concesso una “passeggiata” lungo percorsi ben delimitati accompagnati da responsabili aziendali, senza nessuna possibilità di intervistare gli addetti e di capire come si svolga il lavoro, quali siano le difficoltà, le fatiche, le possibili fonti di rischio. Non solo d’incidenti ma anche di malattie professionali. Memorabile a questo proposito un articolo di La Repubblica che, all’indomani della chiusura della vicenda dei 24.000 licenziamenti alla Fiat  del 1980 con la cosiddetta marcia dei 40.000, descriveva linee di montaggio nella fabbrica  “pacificata”, d’immacolato lindore e adorne di piante verdi.
Senza tema d’esagerare: sembra essere più facile entrare in una base militare che in un luogo di lavoro. 
Così le cause vengono in luce dopo un eventuale processo e vengono scritte in una sentenza di tribunale, quando molto tempo è passato e quelle morti hanno ancora un senso solo per i familiari delle vittime. Per i giornali non più perché la tenuta dei giornali su questi temi è labile e in genere non va oltre il fatto in sé.
 Anche la scelta del risalto da dare al fatto (poche righe, un colonnino,una pagina) risente di elementi, per così dire, estetici e emotivi. Uno degli elementi decisivi è il tipo di storia che si può raccontare. Per esempio: il grande risalto che ha avuto la vicenda della Thyssen è stata dovuta alla spettacolarità dell’evento, all’irrompere del fuoco in una scena di lavoro,  alla crudeltà di quelle morti e al potere evocativo dello stesso luogo di lavoro: la ferriera.  Altrimenti non si spiegherebbe perché appena pochi mesi dopo e a pochi chilometri di distanza, un’esplosione e un incendio devastarono uno stabilimento per la produzione industriale del pane provocando cinque morti,  nel sostanziale silenzio stampa nazionale.   Ma la Thyssen Krupp era una fabbrica metallurgica, era cioè quella fabbrica che fin dall’’800 occupa il nostro immaginario, nella quale i forni vomitavano metallo fuso,  mentre l’altra lavorava il pane: nei suoi visceri c’era solo pasta lievitata. Una differenza non da poco e di cui tener conto se si vuole coinvolgere la fantasia del lettore. E, in più, nella vicenda della Thyssen c’erano anche le registrazioni delle telefonate drammatiche intercorse tra la fabbrica e i centri di soccorso. Un ulteriore elemento di coinvolgimento emotivo di straordinaria efficacia.
D’altro canto anche il sindacato sembra non più presente come lo era, invece, alcuni decenni fa, sul tema dell’organizzazione del lavoro e della sicurezza sul lavoro tanto che all’indomani delle morti alla Thyssen Krupp di Torino,  il segretario nazionale della CGIL, Guglielmo Epifani, in un’intervista a “la Repubblica” sentì il bisogno di fare un’autocritica: "Ogni morto è per noi una sconfitta. Qual è la nostra principale funzione se non quella di tutelare l'integrità, innanzitutto fisica, del lavoratore? C'è anche una nostra quota di responsabilità, accanto alla mancanza di controlli e alle colpe delle imprese che spesso non si curano della sicurezza in nome del profitto" e aggiunse che il sindacato aveva bisogno di un’ “autoriforma”. "Dobbiamo tornare in prima linea. Dobbiamo tornare con fatica a sporcarci le mani con la condizione del lavoro".
Se alle parole di Epifani sono seguiti i fatti, i giornalisti potranno trovare di nuovo nelle strutture sindacali che operano nei luoghi di lavoro interlocutori e fonti d’informazione affidabili per acquisire notizie e competenze sulle condizioni nelle quali si lavora nell’industria, nell’agricoltura, e nel terziario nel nostro paese.
Intanto una domanda e una proposta. La domanda: c’è un giornale che si è chiesto di quanto la proposta Fiat per Pomigliano aumenta i rischi d’incidenti in quella fabbrica?
La proposta: organizzare un incontro tra sindacato dei giornalisti (FNSI) e i sindacati confederali per mettere insieme le rispettive competenze e mettere a punto modalità informative efficaci su ambiente di lavoro e modi di produzione. Nel tentativo di riportare all’ordine del giorno dell’informazione il tema generale e quasi del tutto scomparso, del lavoro.


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