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Articolo 21 - Editoriali
Rai e creativita': ma io difendo ancora le reti
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di Luigi Mattucci

Gesù, Gesù : mi tocca polemizzare con Parascandolo!Il quale, alla ricerca dell'autonomia e della creatività dell'autore televisivo auspicate da Loris Mazzetti , finisce di andarle a cercare nella organizzazione della Tv bernabeiana e nella specializzazione organizzativa "per generi " (intrattenimento , informazione, fiction, cultura) , attribuendo a questo tipo di struttura ( che è poi quella adottata da Mediaset ) ogni tipo di conseguenza salvifica ,  dalla rinascita della capacità ideativa nella Rai  alla eliminazione della lottizzazione.

Chi mi conosce sa che sono dell'idea totalmente opposta: proprio perchè stiamo parlando di televisione , l'apertura e la creatività culturale sono legati ad un forte riconoscimento di autonomia, ai diversi livelli organizzativi , alle strutture che ideano, realizzano e mettono in onda il prodotto televisivo ( dal singolo programma al palinsesto).Questo tipo di organizzazione,  che fu alla base della riforma del 1975 (e che dovrebbe ricordare qualche cosa all'amico Parascandolo!), ha garantito per molti anni alla Rai (dalla Rete1 di Scarano alla Rete2 di Fichera, alla Rete 3 di Guglielmi) , una qualità , un rinnovamento e  una apertura della programmazione  alla collaborazione di autori e strutture "esterne" alla Rai che solo degli smemorati nostalgici possono considerare inferiore a quella della Tv di Bernabei.( Un solo esempio, che non faccio a caso: nei primi anni di Raiuno e Raidue furono prodotti "dalle reti" due film - Padre padrone e L'albero degli zoccoli - che ,vincendo a Cannes per due anni consecutivi ,realizzarono una performance irripetibile e irripetuta tanto dalle strutture cinematografiche della Rai che da quelle del cinema nazionale).

E la crisi di quel tipo di  organizzazione non è avvenuta - come sembra dire Parascandolo - per una sorta di male interno che ne ha attutito la spinta propulsiva consegnandola alla inevitabile deriva lottizzatoria ( tanto è vero che l'esperimento Guglielmi si è svolto alcuni anni dopo che si erano consumate le migliori esperienze di Raiuno e Raidue) ma per i reiterati e progressivi interventi di limitazione dell'autonomia delle reti operati dalle strutture di coordinamento e controllo della Rai : interventi nelle quali si sono alleati( ne ho scritto qualche giorno fa) la indomita tecnostruttura burocratica  ( quella sì,  terreno di tutte le lottizzazioni e che deve giustificare e potenziare la propria esistenza ) e gli interessi  di controllo politico-culturale che  , in fasi successive ,  sono stati espressi, purtroppo, da  tutti ( non vorrei essere frainteso, ho detto "tutti" ) i principali partiti che hanno gestito negli ultimi quindici/venti anni la Rai.

Coordinamento dei palinsesti, specializzazione dell'offerta, efficacia nei confronti della concorrenza , gestione dell'Auditel, riduzione degli sprechi, concentrazione degli investimenti : in nome di questi princìpi ( proclamati a parole ma poi contraddetti da una pratica opaca culturalmente e autoritaria nei metodi )  l'autonomia delle reti è stata progressivamente ridotta e in pratica abolita .E' dunque nella  ricerca e nella attuazione della   guida strategica centralizzata che  sono stati prodotti - talvolta assieme a sotterranee complicità con la concorrenza - i disastri culturali, le diseconomicità strutturali , gli autoritarismi , le disarticolazioni operative , le  inerzie manageriali che minano oggi la sopravvivenza stessa della Rai.

Questo processo è stato concluso e sublimato dalla mostruosa  organizzazione creata due anni fa da Cattaneo che ha concentrato su cinque "megadirigenti"( cioè in cinque megadirezioni) l'assunzione e la carriera di tutti i dipendenti ( dalla neoassunta segretaria al Direttore di Rete ) , la scelta di tutti i collaboratori (dalle vallette a Celentano),il controllo della utilizzazione di tutti gli apparati produttivi interni , la contrattualizzazione di ogni acquisizione di beni o risorse interne e , naturalmente , perchè sempre lì si va a finire ,la centralizzazione dei palinsesti e della stessa sperimentazione! ( Eppure, quando quell'organizzazione fu portata in Consiglio di amministrazione, poche furono, all'interno della Rai , le voci contrarie : e venne considerata stravagante - e in ogni caso esagerata- anche a sinistra, la decisione di Lucia Annunziata di dare le dimissioni da Presidente e tornare a fare la giornalista) .
  
E'  vero dunque che la mancanza di creatività culturale della Rai è  (anche) frutto di fattori strutturali , cioè organizzativi. Ma forse bisognerebbe riflettere meglio sulle patologie della organizzazione Rai e cercare i rimedi evitando  di   ripetere e di aggravare  gli errori del passato.Bisognerebbe  conoscere la dimensione e il costo degli apparati di controllo burocratico della Rai (compresi quelli infilati all'interno delle reti , delle testate, delle sedi ecc) , valutando  se  i presunti risparmi che essi producono ripagano il loro peso economico. Bisognerebbe valutare il peso degli investimenti immobilizzati in inutili palazzi , in organizzazioni territoriali subalterne ai potentati locali , in apparati produttivi rigidi e monouso . E non c'è niente da dire sulla iperspecializzazione di genere insita nella sopravvivenza di Raisport? E i produttori di format, i grandi organizzatori di varietà in outsourcing non rappresentano, in qualche modo una incontenibile , anche se patologica, articolazione di un mondo che ha bisogno di essere libero  dai condizionamenti , culturali o lottizzatori , imposti  dalla Rai ( in una parola, chi è più libero: Ballandi o Del Noce , Marano o Simona Ventura) ? E siamo sicuri che la logica industriale del mondo della fiction debba esprimersi nel paternalistico , monocorde e inappellabile  potere concentrato nelle mani di Saccà ? E ( ultima domanda retorica) chi ci avrebbe garantito , in presenza di una struttura unica per la cultura ,che essa non sarebbe finita nelle mani di Marzullo? 

No , caro Renato , io credo nelle tue migliori intenzioni , ma non sono proprio d'accordo. Intanto perchè non capisco le classificazioni:   quarant'anni fa abbiamo detto che "intrattenimento, fiction, cultura, informazione "sono definizioni ambigue , incerte , costrittive che si precisano solo nella realizzazione del prodotto e nella sua collocazione in palinsesto. E adesso vogliamo rimetterne il significato e la declinazione  in mano ai funzionari del palinsesto ( a proposito, te ne viene in mente  uno, di quelli che stanno a Mediaset ?).

E poi  perchè non credo che nella natura di strutture  organizzate per generi vi sia qualche magico  antidoto alla lottizzazione : tanto è vero che quelle che sono state create non ne sono state affatto preservate , con sacrificio dei migliori e successiva rigida mappatura partitica.

E poi anche perchè la distinzione organizzativa tra ideatori ( committenti) , produttori e distributori confonde e annega le responsabilità e consegna tutto il potere all' arbìtrio                    ( esercitabile  "quotidianamente" ) degli stati maggiori :secondo un principio militaresco adottato  ( anche se non sempre con buoni  risultati) dalle strutture private ma certamente improprio per una azienda con compiti e responsabilità pubbliche.

Insomma:qui stiamo parlando di televisione : e io penso che la televisione- anche nelle rivoluzionarie e avveniristiche prospettive  proposte dalla multimedialità digitale - si definisca ancora come  la ideazione, la produzione e la distribuzione di programmi organizzati per palinsesti. Questo vuol dire che esiste una responsabilità culturale - chiamiamola stile, ideologia,visione del mondo - che ispira e identifica una rete televisiva ( o un canale) - tanto più se pubblica - e che la rende uno dei principali protagonisti della formazione della identità conoscitiva e culturale degli spettatori.

E proprio perchè il messaggio televisivo è complesso e inserito in un articolato sistema di relazioni che ne accompagna la proposta e la diffusione ( orari di trasmissione , composizione del pubblico in ascolto,  concorrenza/confronto con le altre reti , rimandi tra un programma e l'altro ecc.) io penso che non sia nè responsabile nè trasparente, sopratutto per chi fa televisione pubblica , affidare questi elementi ad altri da chi ha ideato e prodotto un programma.

Mi si può chiedere: ma perchè tu pensi che questa unitarietà strutturale - che dovrebbe garantire  pluralismo e autonomia ideativo-produttiva, nonchè  coerenza e trasparenza  dei messaggi - debba risiedere ( ancora , o di nuovo ) nelle reti  televisive, quando la pressochè infinita moltiplicazione delle fonti produttive e dei canali distributivi consente ormai  la creazione di un illimitato archivio di prodotti col quale ciascuno può costruire il proprio palinsesto?

Potrei rispondere ricorrendo a due concetti di differente  qualità teorica e pratica. Il primo concetto si richiama all' "entropia". Non credo infatti che la disponibilità di un infinita quantità di fonti comunicative  ( la "biblioteca di Babele") garantisca di per se - livellando semplicemente la potenziale accessibilità di ciascuno alla conoscenza- la acquisizione di progressivi , migliori livelli di fruizione e di sintesi culturale : il rischio semmai è il contrario, anche perchè nel mare della comunicazione, in questo caso , i segnali di traffico sarebbero in mano agli interessi economici ( di consumo, come in parte già avviene sulla rete). Il secondo concetto , più banale, rimanda invece alle forme  di organizzazione della partecipazione alla vita politica e al rischio sempre latente , che un eccessiva banalizzazione dei meccanismi partecipativi conduca dritta dritta a forme di  "populismo": e anche di questo pericolo ,abbiamo avuto esempi recenti che non credo di dover richiamare.

D'altra parte , anche nel settore dei new-media , la riconoscibilità del prodotto e la sua promozione nel mare della fruizione avvengono attraverso la adozione di "marchi"  che quasi sempre corrispondono a strutture distributive : così i canali Fox, i canali Disney, quelli Discovery e così via.E questo conferma - insieme al fatto che in questi anni abbiamo ospitato e tutelato con successo l'opera di tanti professionisti, giovani e vecchi, esclusi dalle reti generaliste e dalle "strutture di genere" della Rai ufficiale - la bontà di aver scelto strutture differenti e separate per media differenti come la pay-tv e la rete.


Non è così, e in questo sono d'accordo con Parascandolo , per le  reti digitali terrestri che dovranno cercare la loro natura comunicativa e la loro forma organizzativa  in relazione al pubblico al quale si rivolgeranno : se saranno canali rivolti a un pubblico generalista ,andranno accorpati con le attuali reti e  testate,di cui diventeranno quanto prima  la versione digitale.Se saranno canali specializzati, rivolti a pubblici settoriali e/o di nicchia avranno una loro organizzazione,una loro autonoma proposta culturale , un loro processo produttivo,loro specifici costi ( perchè la Rai  "ufficiale" non confronta i costi di produzione e di acquisto di Raisat con quelli delle altre strutture aziendali, anche unificate ? Ne verrebbero indicazioni interessanti!).


Per concludere . A me sembra   singolare che  , nel momento in cui l'evoluzione della tecnologia e la diversificazione delle forme di finanziamento dell'attività radiotelevisiva rende possibile, sopratutto per un'azienda di servizio pubblico , articolarsi in una molteplicità di strutture differenziate culturalmente, stilisticamente , linguisticamente ,economicamente ,territorialmente , aprendosi  alla espressione della molteplicità di bisogni, di esperienze , di creatività presenti nella società e quindi alla collaborazione con autori, interpreti e strutture che vogliono esprimersi con libertà e autonomia, mi semra singolare, ripeto ,che si proponga per la Rai una organizzazione ingabbiata in logiche classificatorie ( a proposito: e la struttura "acquisto programmi" - 50% della offerta - chi la controlla?) che di fatto riconsegna tutta la potenziale articolazione dell'offerta nelle mani di  una dozzina di megafunzionari guidati dalla logica dell'efficienza ( i potentati di genere ) e dell'ascolto ( i responsabili del palinsesto)

Proprio perchè si deve andare ad operare con finalità industriali ,ma anche culturali , in un mercato che resterà caratterizzato da elementi di valore ( libertà, innovazione,fantasia ,rigore estetico), bisognerà trovare per la Rai  le forme organizzative più adatte per ogni tipologia di prodotto e per ogni tipo di pubblico. Guardando le esperienze compiute in Italia e a quelle adottate dai grandi organismi pubblici e privati, a me sembra che - a tutt'oggi- la compattezza organizzativa , la omogeneità culturale e la garanzia di autonomia che possono esprimersi  nella organizzazione per una pluralità di reti e di strutture distributive "maggiori" costituisca in realtà il punto di equilibrio migliore tra libertà di invenzione, espressione e offerta al pubblico, fluido e rispettoso rapporto con gli autori e logica dell'efficienza e della economicità.

Naturalmente, si tratta di un punto di vista e di un contributo alla discussione . espresso con passione e con qualche venatura polemica:dalle quali, per mia profonda convinzione , escludo affettuosamente Renato Parascandolo , compagno di tante battaglie (spesso ingiustamente perdute).

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