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Articolo 21 - Editoriali
Strage di Lampedusa: siamo tutti un po' colpevoli
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di Pino Finocchiaro

CATANIA - Alle 3,30 di venerdì notte molti di noi dormivano o al più lottavano contro il caldo incipiente che da lì a poco avrebbe arroventato le città siciliane.
Alla stessa ora poco al largo da Lampedusa una dozzina di bimbi smetteva di battere i denti per il freddo, la disidratazione, la paura: il mare li stava accogliendo per l'ultimo eterno sonno ristoratore.
Se qualcuno di noi, a quell'ora, non avesse mandato a dormire la coscienza, oggi non starebbe a cercare in altrui responsabilità le colpe civili, sociali e politiche dell'ennesima tragedia.
Sono morti i sessanta o in cento? C'erano poche donne e nessun bimbo come s'era detto all'inizio? O ve n'era anche uno solo aggrappato alla speranza e al seno della madre annegata con lui? O, inutilmente, sopravvissuta. Perché quando i genitori seppelliscono i figli, anche in mare aperto, che resta della vita di un padre, d'una madre?
Sono migliaia i bimbi, le donne, i vecchi, i giovani che riposano in fondo al Canale di Sicilia. Non ci sono lapidi di marmo per ricordarli. I loro corpi sono stati sbranati e dissolti dagli elementi del Mare nel giro di pochi giorni.
La loro tomba è nel ricordo di chi li amarono, di quelli che raccolsero il denaro per farli fuggire in Europa. Il loro è un lungo viaggio: talvolta finisce nel deserto del Niger prima che tra i flutti del Mediterraneo.
I fondi stanziati dall'Europa e dall'Italia per impedire ai Nigerini di attraversare il confine con la Libia hanno reso ancora più drammatica la condizione di questi uomini senza speranza. Le prove vengono da un documentario inedito le cui prime immagini abbiamo mandato in onda in esclusiva su Rai News 24.
Uomini reclusi o sperduti verso la morte nel deserto libico o del Niger non possono che gridare giustizia almeno nell'intimo della nostra coscienza.
Ora si discute se il comandante della corvetta Minerva abbia sbagliato nella manovra di salvataggio del barcone capovolto e affondato tra i flutti del mare forza 4. Così come si discusse a lungo delle responsabilità del comandante del pattugliatore Cassiopea che rifiutò di abbordare un'altra barca di disperati per le condizioni estreme del mare, col risultato che anche quelli affogarono dopo essere stati trainati da un motopesca.
Francamente, sto dalla parte di chi osa per salvare.
Però, con altrettanta franchezza, abbiamo il dovere di chiederci se sia corretto affidare l'opera di soccorso a navi progettate per intercettare e affondare altre navi, piuttosto che con mezzi progettati per il recupero dei naufraghi. Poi, se l'abbordaggio è impossibile - qualunque navigatore sa quanto lo sia in determinate condizioni - perché non dotare i mezzi militari di salvagente individuali e gommoni tendati auto gonfiabili come quelli presenti sugli aerei, sulle navi da crociera e sui traghetti? Occupano poco spazio, si stipano all'esterno della nave anche in grandi quantità diventano impiegabili immediatamente al contatto con l'acqua e consentono di rinviare le operazioni di trasbordo sino all'arrivo di imbarcazioni più adatte come quelle della Guardia Costiera o in attesa che mitighino le condizioni del mare.
Il problema sta nell'approccio politico al problema. Dobbiamo rimuovere le cause dellíesodo dallíAfrica e dal Medio Oriente di questi boat people.
Dobbiamo regolamentare con umanità e intelligenza l'accesso degli immigrati perché servono a far crescere l'economia e la cultura in Europa. Non abbiamo il diritto di trattare ogni clandestino come un criminale, a prescindere dai suoi intenti e dal suo reale comportamento, come invece fa la mai debellata legge Bossi-Fini.
Infine, dobbiamo colpire gli scafisti e le organizzazioni mafiose che ne dirigono le mosse. Ma queste mafie le conosciamo già. Quando andiamo a dormire in Sicilia e magari un altro bimbo sta affogando poco distante dalle spiagge che da lì a poco si affolleranno di turisti, chiediamoci se abbiamo fatto abbastanza per cacciare da quest'isola stupenda non solo tutti i mafiosi come Matteo Messina Denaro, latitante numero uno in Italia, che da anni domina i traffici leciti e illeciti nel Canale di Sicilia, ma tutti i conniventi politici, imprenditoriali e istituzionali che ne hanno permesso lo sviluppo.
In Sicilia, ci sono uomini, ragazzi, donne, madri di famiglia, giornalisti, investigatori e magistrati - pochi, ma ci sono - che per questo non dormono più. O dormono con un occhio solo. Maledetto chi dorme neghittoso e beato mentre un bimbo affoga. Con lui la speranza.

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