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Articolo 21 - Editoriali
Governo Prodi, eppur si muove
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di Oliviero Beha

Non condivido il suo stile di vita: chi l??ha detto, Martina Stella di Lapo Elkann o Romano Prodi di Silvio Berlusconi, magari dopo la vulcanica trasformazione di Villa Certosa in Cayman-Disney, nell??estate mediatica che confonde e amalgama con toni non troppo dissimili e evidenza impaginativa analoga tortura e peculiarità delle «infradito», sondaggi sull'intelligenza e ricerche sull'obesità? Ed è possibile orientarsi nella realtà dell'immagine e nell'immagine della realtà, mescolate dalla fricassea dei mass-media?
Prendiamo Prodi, il suo governo e il mondo che lo circonda. Lo possiamo valutare su alcune misure, variamente commentate a stima dei suoi primi 100 giorni. Si va dall'indulto - che personalmente ritengo pessimo per come ci si è arrivati e per ciò che eticamente ha significato sul piano metapolitico - al tentativo-Bersani di liberalizzazione in corso, al piano-Prodi anti-evasione dipanato nel tempo, entrambi invece largamente condivisibili e di un respiro potenziale inedito. Misure che hanno suscitato reazioni molto diverse, rafforzando macchinalmente il muro contro muro tra i due schieramenti ma frastagliandone anche almeno in parte le posizioni all'interno di ognuno di essi.
E fin qui varrebbe la solita lente di ingrandimento della speculazione politica,del dividendo elettoralmente possibile,delle decisioni mai fine e sempre mezzo per arrivare ad altro. Gli analisti del settore gareggiano a chi viviseziona con più acume il campo di Agramante, disseminato di fiabesche cicale e formiche.
Quello che sembra emergere assai meno è il senso di tutto ciò. Che però muta se lo riferiamo alla guerra in Libano, alla difficoltà della pace,alle conseguenze immediate e ai rischi di oggi e di domani. La tragedia medio-orientale ci dice culturalmente, politicamente e certo militarmente che la posta della scommessa si è alzata. Quale scommessa? La solita: quella tra chi vuol tenersi il mondo com'è e chi invece anche timidamente, anche debolmente manifesta la consapevolezza che così si va a finir male tutti quanti; quella tra chi danza sul ciglio del baratro Titanicamente finché dura e su chi si sbraccia e si sgola per indicarlo, per evitare anche agli altri il precipizio. Niente di nuovo, per carità, ma anche niente di vecchio e soprattutto una situazione tremendamente accelerata dall'applicazione della scienza e della tecnica.
Ebbene,con tutti i suoi limiti, errori, approssimazioni, questo governo sembra aver molta maggior consapevolezza del baratro conservativo. Non sufficiente magari, ma imparagonabile con la stagione di Berlusconi, bandane a parte. L'atteggiamento politico di fronte al Libano, impervio quanto si vuole, è tutt'altra cosa dalle danze berlusconiane con Bush e Blair. E questo all'estero è stato recepito universalmente come un segnale di coscienza indispensabile, nell'anormalità normale del pianeta. ? poco? Dice il poeta che il poco è molto,anche se non è abbastanza. Se in politica estera in mezzo alla jungla diplomatica un governo riesce «banalmente» a riporsi la questione di ciò che sia giusto e di ciò che non lo sia,invece di misurare tutto sulla opportunità del breve periodo, questo è un governo sensato. Attiene soltanto all'immagine dell'amministrazione Prodi, all'incanto come tutto ormai sul bancone mediatico, oppure sostanzialmente e veridicamente all'amministrazione stessa? Lo vedremo presto.
Ma va considerato, tornando in Italia, che comunque «cambiare il mondo» sembra sempre più qualcosa tipo «succiare il mondo come un uovo è un affare da screanzati», magica espressione di uno dei nostri più grandi scrittori del '900, Tommaso Landolfi. In effetti in pochi giorni il Corriere della Sera ha schierato in forze due pensatori d'opera come Panebianco e Galli della Loggia, il primo per giustificare l'uso della tortura (una provocazione,certo...) in una pausa dello stato di diritto, se le circostanze del terrorismo islamico lo impongono, il secondo per suggellare la dissoluzione della tanto decantata «società civile» nelle volgarissime ed egoistissime corporazioni, destate come un can che dorme dai progetti di Bersani per rimodulare tassisti, farmacisti ecc.
Non entro nel merito delle polemiche, entrambi sono già stati contrati a sufficienza nei temi specifici. Ma che cosa è sotteso a questo modo di ragionare ormai diffusissimo, nobilitato dalla dizione «realismo» e degradato dalla medaglia rovesciata del «cinismo», se non il sentore evidentissimo di volersi conservare il mondo com'è a scanso di guai maggiori ?
Teorizzare la sicurezza a spese del diritto è assai diverso dal difendersi concretamente il meglio possibile, puntando però alle ragioni degli altri, invece che liquidarli con un praticissimo «tanto peggio per loro». Stesso discorso per le corporazioni. Adoperare il parametro della corporazione di stampo mussoliniano (per capirci quella che fece dire a Fini una decina d'anni fa che Mussolini era stato un grande statista motivandolo esattamente così, proprio per aver battezzato le corporazioni) per identificare la società civile nel suo complesso diverge parecchio dal cercarne pregi e difetti: ma il tutto finisce appunto nel calderone di difesa di interessi e privilegi che puzza lontano un miglio.
Conservare ciò che si ha senza distrazioni né cedimenti sembra un manuale di istruzioni complessivo appunto da «stile di vita», appena sotto il leggendario «Arricchitevi» del simpatico caimano. Ma se il caimano ha prosperato nella palude, come si è detto e scritto tante volte, qui la conservazione di un mondo e di un modo di intenderlo equivarrebbe a conservare la medesima palude mentre il caimano è alla finestra (della villa vulcanica). Caimano a proposito del quale si discetta in punta di forchetta sul semantema originale «regime», che nessuno confonde con quello fascista, invece di approfondire l'aggettivo «berlusconiano» che la fa da contenitore sociale. Evidentemente quest'ultimo aspetto deve apparire secondario...
E invece, al contrario, uscire fuori dalla logica penosa esclusivamente commerciale in cui siamo immersi da un pezzo sembra uno straordinario programma di governo, cui appunto la tragicità del pianeta sub specie medio-orientale fornisce valori e motivazioni di tutt'altro spessore.
Se esiste davvero, «dietro l'immagine» e sulla spinta di uno stato di necessità, questa volontà politica e culturale di cambiare il mondo sia pure a particelle, la prossima tappa di politica interna per Prodi dovrebbe essere quella di recuperare persone e spirito delle Primarie dell'ottobre scorso.
Altro che società civile nebulizzata dalle corporazioni: quei numeri e quella partecipazione emotiva (e anche economica, non lo si dimentichi...) meritavano ben altra attenzione e destino che non un imbuto elettorale berlusconiano certamente non combattuto all'arma bianca dal centro-sinistra. Con il risultato della superba qualità parlamentare che si conosce.
Non si ripeterà mai abbastanza che forse il Paese ha la rappresentanza politica che si merita (e così Della Loggia è contento), che non esiste un Paese reale «buono» e uno reale «cattivo». Ma forse questo non vale per tutto il Paese: per esempio si ritiene che la grande linfa del volontariato,con tutti i suoi limiti e le sue vittime (cfr. la morte di Angelo Frammartino a Gerusalemme), abbia davvero una rappresentanza politica,o almeno ne abbia una adeguata a ciò che essa significa per loro e per gli altri?
Temo proprio di no, mentre sono certo che la stragrande maggioranza del Paese reale/mercuriale che non vuole cambiare nulla si senta invece pienamente rappresentato da questa classe politica. Da cui però esce un governo con i suddetti auspici di rinnovamento e di diversa consapevolezza estera e interna che paiono affiorare come ciuffi miracolosi cresciuti nella solita palude.
Due immagini medio-orientali, infine, a conforto o a sconforto di quella scommessa dalla posta in salita, sul cercare di migliorare il mondo oppure mantenerselo com'è difendendo con il coltello tra i denti anche le briciole del proprio tenore di vita, che rimarranno a lungo credo/spero nella nostra memoria visiva e mentale. La prima è quella della lapidazione del giovane palestinese collaborazionista, fotografato con i telefonini da una turba di altri giovani: le magnifiche sorti e progressive segnano il passo, mentre la tecnologia avanza. La seconda è il fiume di sentimenti, valori ed umanità che David Grossman ci trasmette nell'addio al figlio soldato morto in Libano appena prima del cessate il fuoco. La strada è questa, non l'altra, lo sappiamo in tanti, e se lo sa anche il governo e dimostra concretamente di saperlo, beh, nel disastro è un segnale forte che non deve andare perduto. Ben al di là di un'immagine pur positiva nella maionese mediatica, quotidianamente sbattuta e imbandita apparentemente con gran soddisfazione.

www.olivierobeha.it

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