Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - Editoriali
Telecolor, i giorni dello Sciacallo
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Domenico Valter Rizzo

??Dopo di noi verranno gli sciacalletti e le iene??. La frase ti torna in mente, la associ a volti, espressioni, alle frasi, ai gesti. La frase ritorna, ostinata, anche se sai bene che è forse eccessiva: nessuno di noi, di noi mestieranti dell??informazione, ha ?? se possiede un minimo di buon senso ?? la pretesa essere il sale della terra o di sentirsi un Gattopardo, figuriamoci un ?Leone. Eppure la voce,  affilata  alla pietra dell??amarezza, del principe Fabrizio Salina, emerge in modo ossessivo. Torna perché in questi giorni si vive una sensazione diffusa: quella che è stata compiuta una violenza a freddo. Si ha la consapevolezza che questa violenza  sia stata preparata in un dettagliato quadro strategico.
 Per realizzarla, così come fanno i generali golpisti prima di ogni ??pronunciamento?, si sono cercate alleanze esplicite e, così come avviene in genere per colpi di stato, poche ?? almeno di esplicite - se ne sono trovate. Si sono cercate, e in questo caso la messe del raccolto è stata ben più ricca, compiacenti silenzi e ?? qui sta il livello più complesso, ma assai più efficace - opposizioni  formali: intransigenti nella parola e assai comprensive nella sostanza.

Quando un pezzo di democrazia muore, sia esso grande, oppure - come nel nostro caso -  minuscolo, gli attori non sono mai tutti sul palco. La Storia ci ha insegnato che per ammazzare la libertà e la democrazia non bastano i Carabinejros, ci vogliono i benpensanti che guardano e non vedono, che sentono e non ascoltano, che sempre  hanno cose più urgenti da trattare; non basta la Guardia Civil ammutinata, ci vogliono quelli che dicono che quel pezzo di libertà assassinato non era poi così libero, non era poi così importante, non era?; non bastano i reggimenti marocchini che passano in armi le Colonne d??Ercole, ci vogliono i costruttori del nuovo ordine, i realisti, quelli che guardano avanti, alla concretezza; non bastano le camice nere in marcia, ci vuole chi apre loro le porte, non basta far sparire chi è scomodo, occorre che vi sia qualcuno pronto a fare il lavoro dei desaparecidos, affinché nessuno abbia imbarazzo per la loro scomparsa. Tutti comprimari, tutti in seconda linea, ma pedine essenziali del nuovo sistema. Tutti con famiglia a carico (come se gli altri, le vittime, una famiglia, una vita non l??avessero), tutti con un??unica parola sulle labbra, la solita antica vigliacca  parola dei traditori: ??io non potevo farci nulla??. La Storia, infine, ci insegna che non basta la forza bruta e l??arbitrio per uccidere libertà e democrazia, occorre soprattutto il collante - decisivo - dell??indecenza.

A Catania si è consumato così ?? unendo forza, arbitrio ed indecenza -  un piccolo, limitatissimo, miserabile golpe, ad opera di un caudilljo da tre soldi. Niente di serio, verrebbe da dire guardando i personaggi, gli attori che stanno sul palco: Mario Ciancio Sanfilippo e la  figlia Angela, sono ben noti, con la piccola corte dei miracoli dei loro collaboratori, consulenti e portaborse, vi è poi un ottuagenario, parcheggiato sulla poltrona presidenziale di Telecolor, ed infine un??ex televenditrice  che si è guadagnata sul campo la fiducia dei Ciancio, ed è stata nominata sulla punta delle baionette, nuovo direttore del Tg , dopo l??uscita di scena di Nino Milazzo. Insomma niente di serio a parte una piccola pattuglia di persone oneste cacciate dal posto di lavoro senza una ragione comprensibile, che non sia la loro assoluta incompatibilità etica con gli interessi del padrone della città. Sei persone, sei famiglie: poco più di una dozzina di esseri umani che dovranno fare i conti con la mancanza di un lavoro fisso. Soprattutto sei giornalisti che non potranno più scrivere a Catania e di Catania.

Poca cosa, di fronte alle centinaia di posti che si perdono in una città del sud dell??Italia. Lo stesso editore non ha mancato di farlo notare. Che diavolo si vuole, alla fine ne sono rimasti a terra solo sei. Ma allora perché tanto scandalo? Se lo sono chiesti ?? stizziti -  Mario Ciancio e la di lui pulzella. Già, perché tanto sconcerto? Perchè questa diffusa sensazione di violenza, di lacerante stupro che attraversa tanta gente di questa pur sonnolenta città. Mario Ciancio e i suoi, in realtà conoscono talmente bene la risposta da compiere l??ultimo assalto all??arma bianca l??indomani di Ferragosto, sperando, vigliaccamente, nella città vuota, nello sfinimento della canicola, nel pensiero volto alle ferie, ai viaggi, al mare. Perché scegliere quella data, se non perché si aveva piena la coscienza dell??indecenza del proprio agire e preoccupazione per la reazione che ne sarebbe derivata. Speravano nel silenzio, anzi ne erano certi al punto da reagire male quando il silenzio è stato rotto. Quando sono cominciate a piovere ?? pur in pieno agosto - reazioni dure, i Ciancio hanno usato l??arma amata  dai golpisti: la censura. Sono state cancellate dalle pagine del quotidiano di famiglia e degli altri media del gruppo le risposte dei giornalisti licenziati alle menzogne che ancora una volta erano state diffuse dall??editore; sono stati cancellati o stravolti i comunicati di autorevoli parlamentari della Repubblica. Si è dato spazio solo a coloro che ?? pur  facendo le ??condoglianze? ai licenziati ?? alla fine  si mostravano ??non ostili? al nuovo corso.
La consegna è stata quella del silenzio: ??non è successo niente.Circolare? circolare?.
  E invece questa volta  qualcosa è successo. E?? successo che la città di Catania ha capito che la ferita non riguardava solo quei sei giornalisti cacciati, ma riguardava ognuno, che Ciancio aveva deciso che tutti i cittadini dovessero ascoltare un??unica voce controllata da lui, dal giornale alla Tv, e che anche il telegiornale ??normale? di Telecolor era un??anomalia non più tollerabile. Le persone  lo hanno capito i giornalisti - dopo i primi due licenziamenti -  sono entrati nelle loro case imbavagliati: hanno sentito che quel bavaglio era stato a tutti. Oggi una cosa a tutti è ben chiara: Ciancio, per una volta, non ha messo al centro i soldi, ma  qualcosa di più importante: il controllo politico, non su una redazione, ma su una intera comunità. Ha messo al centro il potere.
La vicenda dell??annientamento della Redazione di Telecolor, inaugura un nuovo corso del gruppo Ciancio: un processo dominato dall??estremismo, dai pashdaran che vogliono un sistema dei media uniformato agli interessi dei poteri forti o comunque agli interessi politici ed economici  immediati del padrone.
E?? un nuovo corso che avanza però senza gambe, senza identità. Che urla ed è arrogante per darsi coraggio. Che avanza vergognandosi di se stesso. Un nuovo corso che cerca un consenso che non trova. Al momento ha potuto portare all??incasso solo il comprensivo silenzio, seppur con qualche lodevole eccezione, del centro destra. Ha potuto incassare la singolare distrazione e qualche strano errore di comunicazione di alcuni, isolati, esponenti del centro sinistra. Nulla di più. La famiglia Ciancio ha invece dovuto ingollare l??aperta ostilità di gran parte del centro sinistra e  ?? fatto inimmaginabile fino a ieri ?? l??aperta presa di posizione di parlamentari nazionali e regionali che hanno sfidato apertamente il loro potere, trascinando la vertenza Telecolor in Parlamento.

La cosa più sorprendente è che, nonostante il potere  praticamente assoluto che ha sui media, Mario Ciancio non è riuscito a far passare in città le sue bugie. Sono stati mesi di menzogne, di insinuazioni vigliacche, di bassezze per tentare di erodere il consenso e la solidarietà che si sviluppava attorno alla Redazione di Telecolor (va ricordato che Ciancio ha pubblicato sul giornale di famiglia gridando allo scandalo le retribuzioni  contrattuali dei giornalisti e ha definito il contratto nazionale di lavoro, che da presidente degli editori aveva firmato, una ??mangiatoia?). Naturalmente Ciancio in tutti questi mesi  non ha mai raccontato dell??attivo di bilancio  derivato dalla vendita delle frequenze di Video Tre, ha sciorinato i numerici un presunto squilibrio nell??esercizio corrente, senza però spiegare alcune  semplici cose: perché il conto di questo presunto disavanzo veniva presentato quasi esclusivamente alla Redazione giornalistica e soprattutto perché si cacciano i giornalisti (che con i conti centrano bene poco) mentre  ?? caso pressoché unico nella storia imprenditoriale -  si tengono saldamente al loro posto i dirigenti superpagati che appaiono i primi, per non dire gli unici responsabili, del disavanzo. Perché ?? infine -  non si toccano i settori improduttivi dell??azienda, dove sono molti coloro che vengono pagati da Telecolor, ma in realtà lavorano per altre aziende del gruppo Ciancio. Di fronte a questi fatti appare ridicola, se non peggio,  la sollecitazione avanzata ?? con singolare e sospetto tempismo all??indomani dell??ultima tranche di licenziamenti - da una organizzazione sindacale che chiede il ??rilancio di Telecolor?.
 Ciancio, seguendo il modello messo a punto dal ministro della propaganda di Hitler, ha provato a ripetere, come un disco rotto, la storiella secondo la quale alla base dei licenziamenti vi sarebbe la pervicace volontà dei giornalisti di Telecolor di non fare sacrifici economici. L??ha ripetuta  di continuo, sperando che ciò giovasse a tramutare la menzogna in verità, lo ha fatto anche di fronte a clamorose smentite. Ha smesso solo quando i giornalisti - che davanti al Prefetto di Catania, avevano accettato un articolato piano di sacrifici economici per 350 mila euro all??anno, che prevedeva, tra l??altro, anche la perdita di due mesi di stipendio all??anno - lo hanno sfidato a comparire davanti ad un Giurì d??onore. Ma ha smesso solo per cambiare bugia: ha ammesso finalmente che la rottura non è avvenuta sui soldi, ma effettivamente  su un decalogo presentato dall??Azienda alla vigilia dell??ultimo decisivo incontro in Prefettura, ma che il decalogo conteneva ??solo? misure  che dovevano servire a ??verificare? se i giornalisti andassero effettivamente a lavorare e che non avessero troppe ??distrazioni? e ad accertare perché avessero accumulato troppe ferie arretrate (come se lavorare fosse un delitto?!).
I Ciancio hanno mentito fino all??ultimo, per non dire l??unica verità che sta scritta nelle carte della vertenza: Ovvero che nel decalogo presentato ala vigilia dell??ultimo incontro si chiedeva ai giornalisti uno sporco baratto: il posto di lavoro in cambio del via libera all??attività dell??Asi, l??agenzia di proprietà della famiglia Ciancio, dentro Telecolor, avallare, insomma, una vera e propria redazione parallela controllata solo all??editore. Era questo il punto non negoziabile del famoso decalogo. E su questo ?? solo su questo - che i giornalisti oggi licenziati  hanno detto ??No?.

Il rifiuto di svendere la propria dignità e la propria libertà per uno stipendio non è un stato atto di eroismo o di ??martirio?. E?? stato un atto necessario. Un atto di difesa. Essere cacciati dal posto di lavoro perché si è difesa la propria libertà e la propria dignità non è però una sconfitta.
Questi sono i fatti e ogni fatto ha una sua diretta conseguenza. Per noi la conseguenza è stata la perdita del nostro lavoro. Quello che importa adesso è muovere il primo passo. A Catania un piccolo pezzo di democrazia è stato ucciso, si è consumato una sorta di piccolo ??colpo di stato? che ha eliminato ??  alla vigilia di una nuova grande stagione di affari che si annuncia oscura e infida -  una delle ultime voci indipendenti dell??informazione in questa città. Oggi a Catania, sul terreno dell??informazione e quindi su quello della democrazia reale, siamo in una condizione paragonabile a quella di certi Paesi del Sud Americana degli anni ??70.
 
In queste settimane abbiamo letto e ascoltato tante parole. Abbiamo apprezzato il gesto di non facile solidarietà compiuto ?? seppur con tante contraddizioni -  dai colleghi de La Sicilia con lo sciopero della firma.  Molte parole sono state sincere, altre retoriche e vuote, altre false. Poco importa. Solo che oggi il tempo delle parole è finito. E?? sorto il giorno dei fatti. Tra i fatti vi è pure il non compiere atti, anche l??immobilismo è un fatto, è una scelta di campo a favore del monopolio che da oltre quattro decenni  soffoca ogni vivacità intellettuale in questa città, che condanna Catania ad esser dominata dalle mediocrità che si autosostengono, che riduce tutto al ghigno beffardo del potere, che ci fa morire di sfinimento o ci condanna all??esilio.
 Quest??ultimo atto di violenza  forse potrà dare alla città la consapevolezza necessaria  per ripartire, per ritrovare la forza di cercare di liberare le proprie energie.

La battaglia dei giornalisti di Telecolor ha dimostrato che si può sfidare Ciancio. Se lo hanno fatto sei persone inermi, a maggior ragione lo possono fare  coloro che hanno a disposizione ben consistenti strumenti. Occorrono solo due armi: il coraggio e la volontà. Due i temi immediati che saltano subito agli occhi: lavorare alla costruzione di un solido progetto editoriale e interrompere lo scandalo che vede La Repubblica assente persino dalle edicole di Catania. Due temi precisi e semplici.
Questa vicenda ha  mostrato a tutti che ormai il Re è Nudo. I cortigiani del potere con cosa lo copriranno? Se questa città avrà la forza di raccogliere questa sfida sarà un bene per tutti. Se non sarà così resteranno solo i giorni degli sciacalletti e delle iene.

Letto 1292 volte
Notizie Correlate
Audio/Video Correlati
Dalla rete di Articolo 21