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Articolo 21 - Editoriali
Rai, ipotesi per un piano editoriale
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di Carlo Freccero*

Da quando ha perso il suo ruolo pedagogico, la TV servizio pubblico continua ad interrogarsi sulla sua identità sino a dubitare della sua stessa utilità. Alcuni ritengono che il pluralismo dell¹informazione possa essere semplicemente garantito da una molteplicità di emittenti private, dalla concorrenza tra proprietà diverse. Che senso ha impiegare risorse pubbliche in un¹impresa economica non sempre redditizia, quando in tutti i campi ed in tutti i paesi, la tendenza economica va in direzione della privatizzazione? Ma la televisione non è solo un??impresa economica ed una molteplicità di emittenti commerciali non può sostituire il servizio pubblico, per diversi motivi. In primo luogo un??emittente privata è sottoposta comunque totalmente alle leggi del marketing. Una molteplicità di reti ispirate alla moltiplicazione del profitto e dell??audience, non significa quindi pluralismo, ma allineamento di tutte alle leggi del pensiero unico. Solo una rete affrancata almeno in parte dalla pubblicità, può conservare una propria autonomia ed originalità di espressione. La privatizzazione delle reti ed il livellamento dei gusti portano alla sparizione di quella ricchezza culturale locale che è propria di ogni Stato nazionale e dell??identità storica europea. Consegnare la televisione alle nude leggi del profitto, significa procedere ad una Mcdonaldizzazione, Valmartizzazione dei gusti, che già si manifesta a livello produttivo. Oggi i grandi gruppi mediatici mondiali si contano sulle dita di una mano. La loro influenza non riguarda soltanto l??intrattenimento, ma finisce per incidere profondamente sulla cultura, sulle convinzioni, sulla formazione di una massa enorme di utenti televisivi. La ricerca spasmodica di un??audience da rivendere agli inserzionisti pubblicitari, porta a fare della ricerca del messaggio più semplice, il minimo comun denominatore, il principio ispiratore della programmazione sia della Tv privata che della TV pubblica. Ciò porta ad un progressivo discredito del capitale culturale, nei confronti del capitale economico. Se la televisione è unicamente terreno di conquista della pubblicità, la sua funzione sarà esclusivamente di spingerci al consumo materiale, all??esibizione del benessere economico, rimuovendo totalmente le motivazioni culturali che sono state alla base della creazione di un servizio pubblico. L??appalto della produzione dei programmi a società di produzione esterne che forniscono prodotti indifferentemente alle TV pubbliche e private, ha fortemente standardizzato il gusto medio. Che senso ha cambiar canale, se su tutti i canali è disponibile un unico prodotto? La crisi del servizio pubblico televisivo non è che uno degli aspetti della progressiva subordinazione al modello pubblico europeo, rispetto al modello statunitense. La discriminante più forte, tra Usa ed Europa, sta proprio nella contrapposizione tra Stato sociale e liberismo esasperato, così come tra Tv servizio pubblico ed emittenti private. Paradossalmente, almeno in Italia, è proprio la sinistra ad auspicare una piena commercializzazione della Tv pubblica in vista di un suo possibile ingresso nel mercato. Mi riferisco ad esempio al modello di Tv industriale, imposto da Celli alla Rai, in vista di una quotazione in borsa mai realizzata. Dall??altro lato il Presidente Mediaset Confalonieri insiste su un modello di Tv pubblica, più aderente al modello tradizionale di servizio pubblico: una Tv di teatro, musica, balletti e promozioni culturali. Una Tv, chiaramente, destinata ad un??audience minoritaria e, come tale, incapace di fare ombra ad un monopolio Mediaset sempre più forte. Secondo me, entrambi i modelli non sono proponibili. Non è auspicabile ridurre la Tv pubblica ad un clone della Tv commerciale, sia continuando a mantenerla in vita come un??entità autonoma, sia prevedendo una sua privatizzazione. Comunque si ponga la cosa la sparizione del servizio pubblico implica un impoverimento del pluralismo culturale. Ma anche una gestione della Tv di Stato, come fossile vivente di un modello estinto di pedagogismo, riduce il servizio pubblico all??impotenza, alla marginalità, alla paralisi. Non a caso questa ??nobile? soluzione è quella auspicata dalla concorrenza. Vorrei dedicare infine qualche parola al concetto di qualità, molto in auge ieri ed oggi quasi estinto. Il servizio pubblico fornirebbe al pubblico gli stessi programmi della Tv commerciale, ma contraddistinti da una qualità migliore. Cos??è questa qualità? Una sorta di buona educazione, di ??politicamente corretto?. E?? una Tv priva di qualcosa: di eccessi, di volgarità, di maleducazione. Ma si può costruire un modello positivo, su una mancanza, anche se di volgarità? Il modello pedagogico di Tv servizio pubblico delle origini, è un modello forte, costruttivo, educativo. Se oggi non è più oggettivamente proponibile, deve però essere sostituito da un progetto egualmente forte ed utile. In caso contrario il servizio pubblico perde di senso. Un nuovo modello A mio parere il modello tradizionale di servizio pubblico non è più proponibile per due motivi. Il primo motivo era valido anche nel ??53, all??epoca della creazione della Rai. Il secondo si basa sull??evoluzione del medium che rende il pedagogismo improponibile. In entrambi i casi non si tiene conto della Tv come medium e del suo funzionamento. Se il medium è il messaggio, non possiamo pensare di forzare più di tanto un medium per raggiungere i nostri scopi. Si tratta di assecondarlo perseguendo però un risultato. Il discorso risulta più chiaro con esempi pratici. Ho sostenuto che nel progetto originale di Tv pedagogica era già presente un difetto. Sin dal principio, non si è tenuto conto abbastanza della specificità della televisione. La Tv era vissuta come una macchina per divulgare cultura alta: letteratura, storia, teatro, musica e balletto. Ma non come un medium per produrre una propria forma di cultura, così come ad esempio il cinema. Lo specifico della Tv è la diretta. La Tv è un medium che attraverso la diretta raggiunge le sue migliori performance, nell??informazione. Ma anche nell??intrattenimento. Ad esempio anche nel talk show e nel Reality, la diretta ha un posto centrale. Un??altra forte caratteristica della Tv è porsi come spazio sociale condiviso. Solo la Tv generalista può trasformarsi in luogo di dibattito democratico, perché raggiunge in contemporanea milioni di utenti. Infine la Tv è il medium per eccellenza capace di creare dibattito, fare agenda, interagire con altri media come il cinema e la carta stampata. La tv delle origini Di tutto questo nella Tv pedagogica delle origini c??è molto poco perché le potenzialità del medium televisivo erano ancora sconosciute. Si gestiva la Tv come un medium subordinato agli altri media. Debray ha scritto che la Tv servizio pubblico nasce come complemento della pubblica istruzione. Se oggi la scuola è cambiata rispetto ad allora, anche una Tv pedagogica va pensata diversamente. La Tv pedagogica delle origini, non è stata abolita per decreto, ma affossata, sostituita, resa un fossile vivente, dalla Tv commerciale. Una Tv pedagogica forte, richiede un??unica emittente e l??assenza di telecomando perché lavora sulla mancanza della possibilità di fuga. La possibilità di scelta sancisce la fine naturale del modello pedagogico autoritario, centralizzato. La rilevazione dell??audience, istituita con l??avvento della Tv commerciale, permette al pubblico di collaborare nella costruzione della programmazione. Ma in questo processo dialettico, anche il pubblico viene costruito dalla televisione. La televisione funziona diversamente dagli altri media che, per vendere, devono differenziarsi, esaltare la differenza. La Tv deve livellare, promuovere l??eguaglianza, non dei diritti ma dei comportamenti e dei consumi, così rende omogeneo il suo pubblico. La televisione si è trasformata, con la fondazione dell??auditel, in un meccanismo per la produzione di desideri. E sono desideri di consumo materiale, perché in questa direzione va la pubblicità. Dall??introduzione dell??audience scaturiscono conseguenza negative e positive. E?? negativo il livellamento verso il basso del gusto, la ricerca spasmodica del minimo comune denominatore per conseguire l??audience maggiore. L??abbassamento progressivo della qualità dei programmi, prodotto dalla ricerca dell??audience, è l??esatto contrario della ricerca di un innalzamento pedagogico del messaggio. Ma la ricerca dell??audience porta con sé anche risvolti positivi come l??integrazione, l??allargamento del pubblico e l??interattività con l??emittente. Si tratta di lavorare su questi elementi. Oggi pedagogismo non è sinonimo di autoritarismo, ma di interattività, realtà multimediale, creazione di sinergie con altri media. Ci muoviamo ormai in un universo multimediale, il famoso Sic. Epoca multimediale. Se altre epoche, come il Rinascimento, sono state monopolizzate da un unico medium, la stampa, come descritto ne ??La galassia Gutemberg?, oggi viviamo un??epoca in cui media diversi interagiscono e contribuiscono a creare messaggi ibridi. Anche la scuola cambia. Non c??è più solo il libro, ma il computer, gli audiovisivi. E comunque il libro tradizionale si evolve facendosi ipertesto, macchina per insegnare. Per la nostra generazione l??istruzione scolastica ha preceduto l??avvento della televisione. Per le generazioni successive, ??les énfants de la télé?, la televisione precede la scuola, ed è percepita come più ??naturale? e rassicurante. Per questo un apprendimento precoce, attraverso la Tv, potrebbe colmare le differenze familiari contro cui ha combattuto la mia generazione, la generazione del ??68. Oggi una Tv pedagogica non è meno utile di allora. Ma non può più essere la Tv di allora. I programmi dichiaratamente educativi, sono naturalmente relegati nelle ore notturne, nelle zone morte del palinsesto. E la loro diffusione minoritaria nullifica gli sforzi degli autori. Riproporre oggi una Tv pedagogica, una Tv in grado di innalzare i consumi culturali del pubblico, significa fare i conti con l??audience, misurarsi con i meccanismi di funzionamento della televisione, e con i meccanismi di interazione multimediale. E?? possibile costruire un nuovo modello di Tv pedagogica tenendo presente il modello attuale di Tv? E?? possibile contrastare l??abbassamento progressivo di livello dei programmi? E?? possibile costruire un processo di interazione virtuosa con altri media? Penso di sì. Per quanto riguarda il livello dei programmi vorrei citare il saggio ??Tutto quello che fa male ti fa bene? sottotitolo: ??perché, la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono più intelligenti? di Steven Johnson. La tesi è semplice, ma rivoluzionaria. Negli ultimi anni il quoziente di intelligenza si è innalzato di 13 punti. Questo successo non può essere attribuito alla scuola, che è sempre esistita, ma piuttosto alla televisione che, con la sua penetrazione capillare raggiunge strati della popolazione impermeabili ad ogni altra forma di acculturazione. La ricerca riguarda soprattutto i nuovi telefilm americani, ma prende in considerazione anche l??intrattenimento e il Reality. Educare si può. Attenzione: i prodotti esaminati, non sono prodotti ??di qualità?, politicamente corretti e graditi agli organismi di controllo dei genitori e della moralità. Sono anche prodotti ??estremi? con scene di violenza e di azione. Ma sono prodotti complessi. In un telefilm della nuova generazione, arrivano ad intrecciarsi ci dice Johnson, anche 9 storie. Con ??Lost? siamo arrivati a 16. Ciò richiede uno sforzo mentale considerevole, attenzione ed impegno di lettura da parte del pubblico. Ed infatti i nuovi prodotti di fiction sono fatti per molteplici fruizioni.  Dopo il passaggio Tv, vengono riversati in cassetta, per essere rivisti più volte e compresi completamente. Non conta il contenuto, ma la complessità della struttura narrativa. Lo stesso vale per l¹intrattenimento. Per la prima volta il messaggio televisivo, semplificato sino all??elementarità, per le esigenze di ascolto distratto della Tv commerciale, torna a farsi complesso, senza perdere appeal e interesse. E¹ un gioco di intelligenza, un allenamento inconsapevole, non imposto dall??alto, ma cercato dal pubblico stesso. Fare cultura. Fare cultura a livello di massa è oggi possibile. Si tratta di trasformare l??operazione culturale in evento. Tipico esempio le grandi mostre di arti figurative che promuovono l??esodo di migliaia di pellegrini della cultura, desiderosi solo di acculturarsi, e insieme di partecipare alle scelte della maggioranza. Qualcosa del genere ho sperimentato anch??io in televisione, nel periodo della gestione Siciliano. Eventi sono stati la pièce teatrale di Paolini sul Vayont, la giornata Callas, ed altre programmazioni a tema. In questo caso si sfrutta l??effetto agenda e la risonanza presso la stampa della programmazione televisiva attiva un folto pubblico. Infine l??effetto agenda può promuovere l??informazione in televisione. Basta scegliere temi di interesse pubblico anziché cani morsicatori, efferati delitti e legami amorosi. Il reality ha trasformato la diretta in buco della serratura. La Tv servizio pubblico deve riaprirsi al mondo col reportage, l??inchiesta, il dibattito. Deve riconquistare il suo ruolo di inconscio a cielo aperto della nostra serietà. Come si concilia tutto questo con le richieste degli inserzionisti? Abbiamo attribuito agli inserzionisti la ricerca dell??audience più ampia e, di conseguenza, l??abbassamento del prodotto televisivo secondo gli standard del famigerato ??minimo comun denominatore?. La Tv pubblica può contare sul canone, ma ha bisogno anche degli investimenti pubblicitari. La soluzione è semplice. Una soluzione. Si tratta di selezionare naturalmente gli investitori, rivolgendosi ad un pubblico ??alto?. Non tutti i messaggi pubblicitari si rivolgono necessariamente ad un pubblico culturalmente povero. Berlusconi si vantava di aver promosso, con la TV commerciale, piccole aziende locali ad aziende di respiro nazionale. Sono i famosi produttori di generi ??primari? che Fellini rappresenta nella grottesca pubblicità di ??Ginger e Fred?. Ma esistono investitori di prodotti ??alti? che fino ad oggi hanno privilegiato la carta stampata e la cultura. Si tratta di intercettare questo settore dimenticato. Già oggi le grandi aziende fanno opere di sponsorizzazione e di restauro, per fini di prestigio. L??innalzamento dei programmi può proporre a questa nuova fetta del mercato pubblicitario televisivo, una tribuna adeguata. Qualcuno ha detto che occorre avere il coraggio di stupire. Si parlava del Governo, ma questo coraggio è necessario anche, anzi soprattutto, in televisione, soprattutto in questi giorni.

 *da Liberazione (8 settembre 2006) >

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