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Articolo 21 - Editoriali
Non è in discussione l'America che ci liberò
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di Lilli Gruber

Sessant'anni fa, la notte del 3 giugno 1944, i nazisti abbandonavano Roma. Il giorno dopo, accolti dal popolo in festa, gli americani entravano nella capitale. In queste ore convulse - avvelenate da polemiche strumentali e da ogni sorta di bassezza propagandistica - il ricordo della Liberazione di Roma dal nazifascismo, e la memoria del ruolo decisivo svolto dalle truppe alleate, sono un punto fermo. Si celebrò allora - e qui faccio mie le parole di Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - la vittoria di una estesa e irripetibile unità antifascista contro il più feroce e il più potente regime del terrore e dell'oppressione che mai il mondo avesse conosciuto.

Il riconoscimento del ruolo giocato 60 anni fa dagli americani e il ricordo del prezzo che essi pagarono, non solo non sono scontati, ma sono doverosi soprattutto da parte di chi oggi ha deciso di non partecipare ai festeggiamenti per la visita in Italia del presidente di quel grande Paese.

Io sono tra costoro. Lo sono perché considero l'attuale politica estera dell'amministrazione Bush una minaccia alla convivenza dei popoli, delle culture e delle civiltà. L'offesa che l'11 settembre il terrorismo ha arrecato alla nostra comunità ha avuto come risposta (sempre che l'invasione dell' Iraq sia stata una risposta al terrorismo, tesi non vera e peraltro mai enunciata prima della guerra) un' altra offesa, pure essa cieca, al comune sentire di un'umanità altrettanto vasta. Ci si è avviati così verso una strada senza sbocchi, con la comunità internazionale costretta a prendere atto di un fatto compiuto e impegnata ora ridurne i disastrosi effetti.

Milioni di cittadini statunitensi, milioni di europei contestano le scelte della Casa Bianca e la cultura che le ispira. Sono, siamo per questo antioccidentali? Antiamericani? No di certo. Così come non siamo nemici della patria se giudichiamo inaffidabile, subalterna e rovinosa la condotta del nostro governo. Siamo però europei, convinti che ciò che nel mondo l'amministrazione Bush ha distrutto, l'Europa può ricostruire. Un'Europa che esca di casa e sappia occuparsi attivamente e responsabilmente del mondo è ciò che vorremmo realizzare. E la bandiera della pace, oggi, è quella che meglio serve a segnalare il cammino.
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