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La sconfitta di Obama e il declino dei sistemi democratici. E’ ora di un’Internazionale per la Libera Comunicazione
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di Gianni Rossi

La sconfitta di Obama e il declino dei sistemi democratici. E’ ora di un’Internazionale per la Libera Comunicazione

I sogni in politica hanno il fiato corto! In Italia si sono addirittura trasformati in incubi: quelli propinati a piene mani da Berlusconi in questi 16 anni. Quelli di Zapatero  in Spagna e del New Labour di Blair e Brown in Gran Bretagna; ma anche quelli del boom economico stellare dell’Irlanda cattolicissima, si sono infranti alla prima vera crisi della “finanza allegra”. Per non parlare di quelli abortiti sul nascere del primo Sarkozy bipartisan, con la Francia frastornata dagli scioperi sindacali e dal ritorno dell’orgoglio socialista. Il caso Obama è il più esemplificativo. In un anno, tra le primarie e le elezioni del 2008, era riuscito a risvegliare le coscienze di tanti esclusi dal palcoscenico democratico americano: giovani, donne, minoranze etniche, liberal e indipendenti. Oltre il 60% degli elettori andarono a votare: un record!
 Poi, la grande crisi finanziaria e industriale, figlia delle teorie e pratiche del neo-liberismo rampante, del monetarismo a briglie sciolte, scoppiata mentre si votava negli USA, gli hanno fornito una spinta di entusiasmo e di speranze che ne hanno decretato un successo straordinario.
Quindi, la logorante vita compromissoria nella gestione del potere nella più grande democrazia del mondo ne hanno bloccato la “spinta propulsiva”. Questa volta ha votato il 40% e si sono astenuti proprio i settori che avevano fatto gridare al “miracolo Obama”.
Si è trattato di un risultato scontato, ma certo non rassicurante per i prossimi due anni di presidenza democratica, dovuto agli  attacchi concentrici di molti media, TV e stampa (ma anche la Rete), in mano a potenti gruppi finanziari ed editoriali (in prima fila quelli che fanno capo allo “Squalo” Rupert Murdoch col supporto quotidiano di Fox News e dei suoi conduttori “invasati”, come Glenn Beck e Bill O’ Reilly).
Protagonisti anche il sostegno ai gruppi oltranzisti della destra repubblicana  dei “Tea Party” da parte dei fratelli  David e Charles Koch (proprietari miliardari delle Koch Industries, una conglomerata dell’energia petrolifera con interessi nell’industria, nell’allevamento, nella finanza e in altri settori). Nel 2008 Forbes l'ha definita la seconda compagnia privata americana dopo  la Cargill, con introiti annui intorno ai 100 miliardi di dollari. 
Un ruolo di orientamento della propaganda, sottoforma di analisi “scientifiche e obiettive”, poi riprese come oro colato dai media, l’hanno giocato anche “Think Tanks”, come: Americans for Prosperity (AP) e FreedomWorks (FW, presieduta dall’ex leader di maggioranza dei repubblicani, Dick Armey); mentre David Koch ha co-fondato Citizens for a Sound Economy (CSE)  e la World Taxpayers Association (WTA). Gli amministratori delegati di grosse  compagnie nergetiche e non solo, insieme agli sceicchi dell'Arabia Saudita e di altri Paesi produttori di petrolio nel Medio Oriente, risultano essere i maggiori finanziatori dei seguaci del movimento dei Tea Party. Si tenga presente che una recente sentenza della Corte Suprema, abolendo gli effetti di una legge in vigore da più di 40 anni, permette ora il finanziamento senza limiti dei candidati alle elezioni congressuali senza notificare l'entità delle "donazioni" ed il nome dei "donatori". In pratica gli strati sociali “meno fortunati”, tradizionalmente dedite ai lavori più umili e meno redditizi vengono “manipolati” dalla classe alto-borghese al fine di votare verso un blocco di potere che perpetuerà queste divisioni e queste ingiustizie. Il “colore e il calore dei soldi”, insomma!
A questo proposito è illuminante il documentato articolo di Maria Grazia Bruzzone pubblicato il 1* Novembre scorso su La Stampa..

Media e finanziamenti “occulti”, creano un anomalo “circolo virtuoso” che può determinare lo spostamento di masse di opinione pubblica anche nelle ultime settimane prima di un voto cruciale. Difficile distinguere la verità dei fatti, analizzare la difficoltà delle scelte di un governo e i tempi di attuazione di riforme o leggi, quando tutti i giorni attraverso TV, carta stampa e WEB, l’informazione si fa propaganda politica, perché dietro a questi media si muovono interessi di potere finanziario-industriale-politico-religioso che nulla hanno a che vedere con “la libera circolazione delle idee e delle informazioni”.
I New media negli Stati Uniti non sono immuni da queste ingerenze, come hanno dimostrato sia la campagna per le presidenziali che portarono alla vittoria sorprendete di Obama, sia queste elezioni di Mid-Term stravinte dai repubblicani.
In crisi è il modello stesso del sistema democratico, di come si organizza il consenso e di come possono essere sterilizzate le normali procedure di scelte elettorali.
I sistemi democratici, rischiano così di vivere tra continui shock  nella gestione dei governi: si passa da maggioranze di destra a quelle di sinistra, e viceversa, con nessun cambiamento evidente nell’amministrazione della “cosa pubblica”. Le ricette economiche e di stabilità finanziaria sono uniformate da idee liberiste e monetariste a volte attenuate, altre volte accentuate.
Più che la “corsa al centro” per catturare l’elettorato moderato, si tende a demonizzare e delegittimare gli avversari politici e ad estremizzare mediaticamente le antitetiche proposte programmatiche.
I media sono diventati le armi di propaganda di massa, di “distrazione” dal civile confronto dialettico. Gli stessi meccanismi di garanzia vengono scardinati con atti amministrativi, per rendere meno libera l’opinione pubblica.
L’estrema personalizzazione dello scontro politico, il legare le sorti di un partito, di una coalizione alle capacità di un leader di “bucare” mediaticamente, sopravanzano le basi ideali delle proposte politiche e la trasparenza dei finanziamenti e degli “apparentamenti”.
Insomma, sono strabordanti i poteri dei media, dei finanziamenti, delle organizzazioni mass-oriented, ovvero associazioni, fondazioni, dove si organizza il “pensiero politico” e si creano alleanze sociali, in grado così di sterilizzare il ruolo dei partiti come “organizzatori del consenso”, mediatori di interessi non sempre convergenti.

Poi certo ci sono le elezioni, gli exit poll , le maggioranze che si fanno e si disfano nei parlamenti: il rituale delle democrazie occidentali come le conosciamo dall’Ottocento e come nel corso del “secolo breve”, il Novecento, si è affinato, specie dopo la Seconda guerra mondiale. Ma siamo appunto alle ritualità, non alla sostanza, siamo alle “liturgie”.
La globalizzazione dei mercati finanziari, delle merci, degli esseri umani e delle comunicazioni ha imposto nuove forme di coordinamento e controllo internazionale:Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, OCSE, l’IOL per il lavoro e l’OSCE per la difesa dei diritti e legalità , la stessa ONU, la BCE per i mercati finanziari e monetari in Europa, gli stessi Vertici europei e i Summit dei G-8 e G-20, l’OMS per la salute pubblica o la AIEA per la sicurezza nucleare.
Nulla esiste per quanto riguarda la salvaguardia dei diritti civili e democratici, compresi quelli della libera comunicazione e della tutela della formazione dell’opinione pubblica. Come se questi nuovi diritti moderni, più avanzati non fossero riconducibili alla sfera dello svolgimento della corretta dialettica democratica.
Le oligarchie, seppure integrate nei sistemi democratici, di fatto stanno sfruttando questo periodo di totale anarchia, di assenza di regole per quanto riguarda la dinamica di come si incide sulle coscienze, di come si orientano le opinioni, di come si costruiscono i “sensi comuni”, di come si creano i moderni palinsesti dei fatti reali, concretamente avvenuti nel mondo.
Non basta così vincere le elezioni democraticamente, seppure con l’handicap delle “pressioni mediatiche”, per poter poi governare: occorre anche controllare il corretto e plurale  sistema delle comunicazioni, per non restare schiacciati dal tritacarne dei cosiddetti “poteri forti ed occulti”.

A livello internazionale, tra gli operatori del settore della comunicazione, ma anche tra élite culturali, ambienti che fanno opinione, politici di area progressista e liberale non si è ancora affrontato questo tema, che invece rischia di “avvelenare” ogni volta i pozzi della dialettica politica e distruggere le stesse regole dei sistemi democratici.
E’ giunto ormai il tempo per dare vita ad una sorta di Internazionale della Libera Comunicazione, che ponga le sue fondamenta sulla Carta dei diritti dell’Uomo dell’ONU, sulle regole contenute nelle procedure dell’OSCE e nelle direttive del’ UE e del Parlamento europeo. In pratica, una sorta di organismo sovranazionale, un Comitato sotto l’egida dell’ONU, autonomo organizzativamente e finanziariamente, che elenchi norme e modalità di comportamento per tutti gli operatori dell’informazione (giornalisti, editori, blogger, uffici stampa ecc…) e per tutti i sistemi di diffusione delle comunicazioni, con precise garanzie per le “minoranze” e la possibilità di  svolgere indagini ed emettere anche sentenze e ammende inappellabili.
Un organismo che dovrà avere i mezzi e le persone per monitorare l’andamento dei sistemi di comunicazione ed intervenire per correggere distorsioni, situazioni di trust anticoncorrenza, di conflitti di interessi, di commistione tra “poteri occulti” e proprietà.
La libera circolazione delle informazioni è un bene supremo, come quella delle idee, degli esseri umani e delle merci di qualsiasi genere. Anche i mezzi su cui queste debbono circolare devono essere ritenute “autostrade neutrali”, tutelate da una speciale legislazione societaria e finanziaria. Altrimenti saremo solo consumatori ultimi di strumenti digitali sempre più sofisticati, ma sempre più invasivi.
Le comunicazioni, le informazioni, costituiscono un mercato “sensibile”, in continua espansione e portatore di enormi guadagni, ma sono anche un diritto inviolabile per l’umanità che va tutelato come la pace, l’ambiente, le libertà individuali. Non è più procrastinabile un intervento sovranazionale, proprio perché siamo nel bel mezzo di una crisi mondiale, che non è solo economica, finanziaria e occupazionale, ma è anche una crisi delle idee, delle forme di libertà. Con il rischio che dalla guerra dei mercati finanziari, si passi a quella delle valute e poi agli scontri di matrice religiosa e sociale, fino alla distruzione delle idee e delle comunicazioni libere.


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