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Articolo 21 - Editoriali
Rai vince gli ascolti, Mediaset va all'incasso
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di Stefano Munafò*

editorialista di .com
Sottotitolo: La stagione primaverile del nostro duopolio conferma le ultime tendenze. Ma fino a quando può durare il paradosso?

In anticipo sugli altri quotidiani, .Com ha fornito le cifre sugli ascolti della stagione televisiva di primavera, che si è conclusa in questi giorni. La Rai, con le tre Reti, ha prevalso, sia pure di poco, sui canali Mediaset. Tanto nel prime-time, quanto sullâ??intera giornata. Remo De Vincenzo, su queste pagine (.Com del 3/6) ha proposto i dati in dettaglio, corredandoli di unâ??analisi lucida ed esauriente, sulla quale non occorre ritornare. Anche se, come sempre, le due aziende televisive sono pronte a contestare vicendevolmente le cifre dellâ??una e dellâ??altra parte. Esse usano, infatti, differenti calcoli sul periodo in esame e finiscono ogni volta per sollevare grandi e spesso voluti polveroni. Quello che emerge, comunque, in modo evidente, è che tra tutte le Reti grandi e piccole, câ??è stata unâ?? affermazione vistosa di Rai1, soprattutto nel prime-time. Canale5 e Italia1 sono in forte calo rispetto alla stessa stagione di un anno fa. In gravissima perdita anche Rai2, in parte "cannibalizzata" dalla rete ammiraglia della stessa Rai (fenomeno che abbiamo già evidenziato dopo la rimozione  di Antonio Marano). Pressoché statiche tutte le altre reti, con Rai3 che, nel prime-time, sorpassa significativamente Rai2, sia pure di poco.

Dopo la battuta dâ??arresto dellâ??autunno del 2003, Mediaset accusa quindi un nuovo colpo infertole dalla Rai di Flavio Cattaneo. Sarebbe tuttavia molto ingenuo (e in fondo errato) parlare di crisi Mediaset, anche se gli attuali risultati di ascolto costituiscono comunque un segno di una certa stanchezza e della ripetitività di alcuni programmi. Lâ??azienda del biscione continua ad avere la redditività più alta tra tutte le aziende televisive europee. Consegue un rapporto ottimale tra costi fissi e introiti pubblicitari. Possiede un bilancio che non ha bisogno di cosmesi. Eâ?? dotata di un management selezionato e capace e di una leva di dipendenti interni molto meno elefantiaca e più giovane rispetto ai numeri e allâ??età media dei dipendenti della Rai. Cosa, allora, non ha funzionato  in rapporto alla concorrenza Rai che, sulla carta e per molteplici ragioni, doveva essere molto meno efficace? Una prima ipotesi riguarda la stessa condotta imprenditoriale di Mediaset. A me pare che lâ??attenzione prioritaria del gruppo dirigente Mediaset in questi ultimi due anni sia stata soprattutto catturata più dallâ??obbiettivo di rendere sempre più efficienti i "fondamentali di impresa", che dallâ??esigenza di innovare i palinsesti e i programmi.

Mediaset, in sostanza, nelle ultime due stagioni di garanzia ha risentito degli effetti innescati con la manovra (iniziata nel 2002), con la quale si è voluto ridurre drasticamente del 30% i costi di produzione. Ottenendo, attraverso questa manovra, un calmieramento generale positivo delle "aspettative crescenti" di molti produttori esterni e di molte star. Ma togliendo, a volte, linfa alla programmazione e, in qualche caso, lasciando "libero" sul mercato qualche grosso personaggio dello spettacolo dalle pretese molto alte. Come è avvenuto, ad es., nel caso specifico di Bonolis, destinato poi a diventare il simbolo della Rai di Flavio Cattaneo e la leva della riscossa Rai negli ascolti.

Una seconda ipotesi interpretativa riguarda la condotta della Rai. Mediaset si è trovata di fronte a unâ??azienda pubblica sempre più spregiudicata nel ricorso a stilemi di tipo commerciale nei nodi strategici del palinsesto e della programmazione. Il caso più esemplare (e che ha determinato di nuovo la vittoria di Rai1 negli ascolti) è stata la riproposizione di "Affari tuoi" contro "Striscia", per inferire a questâ??ultima il colpo mortale. A questo punto occorre sottolinearlo: "Affari tuoi" rappresenta lâ??ultimo stadio di varie generazioni di quiz, quello più facile e corrivo (e insieme più cinico). Un format dâ??acquisto che sostanzialmente si basa sulla distribuzione fattuale (e culturalmente simbolica) di "pacchi di soldi". Un quiz che non richiede ai suoi partecipanti neppure il possesso di un qualche appiccicato nozionismo. "Striscia", in confronto, è cento volte più "meritevole" (se a riguardo della tv, e in questa tv, dove contano solo i risultati finali, possa essere appropriato ricorrere a questo tipo di giudizio). Prima del suo declino, "Striscia" è stato per quindici anni il tg satirico più originale e famoso al mondo. Una invenzione tutta italiana, oggetto di studio nelle università italiane e straniere. Oltre che una cassaforte per gli ascolti e la pubblicità.

Basti pensare, ancora, alla clonazione Rai di molti reality shows, sulla scia del "Grande fratello", che non ha cessato di ripetersi anche in questa primavera, sugli schermi delle reti Rai e in particolare di Rai2, anche se con minore fortuna rispetto alle prime esperienze. Si sarebbe tentati di dire che la Rai di Flavio Cattaneo abbia capovolto in queste due ultime stagioni, una lunga tradizione, che vedeva lâ??azienda pubblica affermare quasi sempre per prima i prototipi televisivi e i personaggi popolari del piccolo schermo e Mediaset inserirsi, poi, nella scia con lâ??utilizzazione su scala industriale. Dopo il loro successo e dopo che la Rai aveva fatto da apri-pista. E questo era anche un modo di contribuire alla innovazione di sistema. Tenendo in conto che il canone rende più stringente, in Rai più che altrove, il diritto-dovere dellâ??innovazione. Con i rischi connessi. Cattaneo invece non è andato molto per il sottile con lâ??orgoglio del "made in Rai". Alla ricerca affannosa di risultati a breve termine, il dg Rai si è buttato sullâ??acquisto di format commerciali esterni e sulla imitazione dei reality di successo della stessa Mediaset. Una concorrenza "giapponese", insomma, condotta anche con i soldi del canone.

Ma sarebbe erroneo sostenere del tutto che la Rai abbia vinto negli ascolti solo con iniziative da tv-commerciale. Anche in questa stessa stagione, un contributo forte allâ??affermazione dellâ??azienda pubblica è venuto da due roccaforti della sua tradizione produttiva: gli "eventi" del varietà e la fiction di produzione italiana. Anche qui, però, trattandosi di generi molto costosi, non è un caso che Mediaset non abbia mai tentato di avere sulle sue reti la tipologia di eventi dello spettacolo che, per es., un Ballandi sa cucire con perfezione addosso ai Fiorello ai Celentano, ai Morandi, ai Dalla, ai Panarielloâ?¦

Anche nella fiction, mentre la direzione di Agostino Saccà, sulla scia del lavoro fatto in passato, accentuava e promuoveva il suo impegno sulla produzione italiana (e in particolare sulle costose ricostruzioni storiche), Mediaset allentava gli investimenti, posponeva il ritorno nei palinsesti dellâ??eccellente "Distretto di polizia" e, dopo il forte successo di "Elisa", non riusciva ulteriormente a imporre sugli schermi di Canale5 una presenza continuativa e significativa di serie e miniserie.

Gli investimenti sulla programmazione sono dunque anche una chiave per interpretare lâ??attuale differenza negli esiti di ascolto dei due poli televisivi principali, in questa primavera. Una stagione che, per il resto, ha invece marcato una ulteriore confusione tra i due network televisivi e una omologazione sbiadita dei loro programmi.
Una omologazione anche in negativo. Nessuna rete generalista Rai o Mediaset ha avuto il coraggio di trasmettere in questi giorni la manifestazione pacifista di Roma. Nessuna rete generalista Rai o Mediaset ha sentito il dovere di trasmettere in diretta la cerimonia del D-Day, il giorno in cui gli alleati sbarcarono in Normandia, dando il via alla liberazione dei paesi europei dalla dittatura. Si, certo, câ??è stata lâ??eccezione del solito special eccellente di Giovanni Minoli e della sua "La storia siamo noi". Alle otto del mattino!

In conclusione, la Rai ha puntato agli ascolti. Mediaset ha puntato al profitto. Ecco, in sintesi pratica, il consuntivo di una stagione e il paradosso attuale del duopolio televisivo italiano. La Rai, che fa poco servizio pubblico, perché insegue sin troppo gli ascolti. Mediaset, battuta negli ascolti, perché insegue sin troppo il profitto.
Sino a quando potrà durare questo paradosso?

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