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Articolo 21 - INTERNI
La Somalia ai Parioli
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di Marco Pacciotti*

La Somalia ai Parioli

Scoprire ai Parioli, un pezzo di Somalia è già da se una esperienza strana che diventa raccapricciante quando si visita la ex ambasciata somala che in quel quartiere della Roma bene è situata. Una sede  dove da tempo ormai trovano rifugio, circa 150 persone, in prevalenza uomini giovani. Ciascuno dei quali con  alle spalle un viaggio lungo e pericoloso, per fuggire dalla mattanza per bande in corso in Somalia, con la speranza di trovare in Italia una normalità che per essi rappresenta invece un sogno. Ma si sa, i sogni finiscono all'alba;  per loro invece poco dopo essere giunti a Roma. Quasi tutti infatti pur avendo lo status di rifugiato politico e quindi nella condizione di essere accolti e seguiti dal nostro Governo in coordinamento con  il Comune di Roma, attraverso i fondi europei  a disposizione, vivono da “invisibili” senza alcuna assistenza.

Premesso che lo status di rifugiato rappresenta un "limbo" che rende ancor più difficile poter lavorare o spostarsi dentro l'area Schengen, queste persone avrebbero comunque diritto a un tetto, a un pasto e a poter essere inseriti in programmi di formazione linguistica o professionale, propedeutici un domani all'inserimento lavorativo. Tutto ciò richiederebbe, non tanto i soldi che già ci sono, ma l'interesse e la volontà politica delle istituzioni, oltre alla capacità del nostro governo di fare rete con enti locali e volontariato. Difficile? Lo è, ma in un recente passato era stato possibile. Pur tra deficienze e limiti infatti la rete di accoglienza aveva funzionato meglio e c'era stato un lavoro reale e concreto per tentare di porre rimedio a un tema, quello del diritto di asilo, che in Italia sconta un ritardo legislativo gravissimo. Tentativi che avevano segnato un progresso nella giusta direzione di marcia. Direzione che sembra perduta al momento. Questo almeno è quanto sembra quando ci si trova davanti a 150 persone completamente abbandonate a loro stesse, assistite unicamente da alcune associazioni di volontariato , nel degrado più assoluto con pericolo per la loro stessa incolumità.

Degrado perchè vivere ammassati in una palazzina senza luce, gas, con poca acqua e sistema fognario fuori gioco è umiliante per chiunque. Pericolo perchè oltre ai conseguenti rischi igienici, la struttura è minata da infiltrazioni di acqua e umidità che sommate all'abbandono ormai ventennale la rendono poco sicura.
A Roma purtroppo esistono altre situazioni simili, con eritrei o afgani al posto dei somali, in alcuni casi  sistemati in posti meno centrali e visibili, ma accomunati dalla drammaticità della situazione di essere rifugiato e dalle esperienze simili che lasciano alle spalle (guerre, devastazioni, carestie). A questi minimi comuni denominatori tipici dei rifugiati, da qualsiasi latitudini essi provengano se ne aggiunge, qui in Italia, una non prevista al momento di scappare , ovvero lo stato di abbandono assoluto delle istituzioni, dall'essere invisibili e senza voce.

Costretti in uno stato di sospensione per cui non si è cittadini italiani né alla pari con gli altri immigrati, in termini di opportunità di lavoro e inserimento. Credo che chiunque sarebbe arrabbiatissimo al loro posto. In questi mesi invece , in cui ho potuto incontrarmi con gruppi di varie provenienze, ho spesso incontrato persone indignate e stupite, sicuramente anche arrabbiate, ma nelle quali non era quello il sentimento prevalente. Indignate per aver trovato uno stato democratico ostile verso chi fugge da dittature e guerra anelando la democrazia e la serenità, stupite di come una nazione opulenta e ricca come la nostra sia tanto indifferente verso i loro destini. Amarezza direi quindi più che rabbia, la stessa amarezza con la quale li ho lasciati i. Ritengo infatti che la misura della civiltà  di un popolo siano data anche dalla nostra capacità di accogliere chi fugge e capire da cosa fugge. Dalla volontà di partecipare collettivamente, come istituzioni, alla possibilità di ricostruirsi una vita normale lontano dalla proprie case per chi non può tornarvi. Credo che i repingimenti in mare per i migranti e l'abbandono di questi rifugiati siano il segno di un imbarbarimento della nostra società e di un degrado culturale che ci feriscono come cittadini e umiliano come persone.
E' evidente quindi che c'è bisogno di ampio fronte composto da partiti, forze sociali ed economiche, associazioni  e volontariato per costruire una "offensiva" (detesto il gergo militare) culturale che vada in senso opposto alla deriva descritta. Per dare concretezza a quest'azione occorreranno poi  politiche mirate di profilo europeo.Come aveva capito l'ultimo Governo Prodi  che oltre ad avviare una positiva esperienza positiva di coordinamento fra Min. Interno, Enti Locali e associazionismo per la presa in carico dei rifugiati, iniziò il percorso peri aggiornare, secondo standard europe, la legge che disciplina la richiesta di asilo e lo status di rifugiato in Italia. Ripartire da qui e da una azione più decisa affinchè l'Europa organizzi diversamente le risorse disponibili ,esercitando un  maggiore coordinamento sarebbe già un buon punto di partenza e una risposta vera che darebbe ai 150 somali e alle migliaia di altri rifugiati soggiornanti nel nostro Paese una quotidianità dignitosa e prospettive reali per ricostruirsi una vita lontani da quei paesi da dove sono scappati per necessità e non per scelta, un "dettaglio" da non dimenticare mai!

* Responsabile nazionale Forum Immigrazione Partito Democratico

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