di Alberto Spampinato*
In Italia i giornalisti minacciati, vittime di danneggiamenti e ritorsioni personali sono tantissimi, come ha dimostrato “Ossigeno per l’informazione”, l’osservatorio della FNSI-Ordine dei giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate sulla violenza. Il Rapporto 2009 ha contato nel triennio 2006-2008 quarantasei episodi che coinvolgono circa 200 giornalisti, ed è una stima per difetto (confrontare su www.fnsi.it e www.odg.it alla pagina OSSIGENO). Ai giornalisti vittime di violenze fisiche si sommano quelli intimiditi con azioni giudiziarie abnormi che spesso si concretizzano in richieste di risarcimento in sede civile per cifre esorbitanti. Al momento, oltre ai casi arcinoti e paradigmatici delle citazioni miliardarie del premier Silvio Berlusconi contro “La Repubblica” e “l’Unità”, ce ne sono pendenti svariate decine nei confronti di giornalisti spesso poco noti e per importi che superano le disponibilità economiche personali e dei loro giornali. C’è uno stillicidio di nuovi episodi di questo genere.
Non siamo quindi di fronte a un fenomeno che si manifesta episodicamente, ma a comportamenti diffusi e ricorrenti, che trovano terreno facile in una cultura e in un quadro giuridico che considera alla leggera i comportamenti messi in atto per ostacolare indebitamente la funzione di servizio pubblico che ogni giornalista assolve mentre è impegnato a informare l’opinione pubblica. Lo sa ognuno di questi giornalisti presi di mira, che fa una enorme fatica per far valere il diritto di cronaca: deve dimostrare di essere titolare di tale diritto e di svolgere una funzione di pubblico interesse. Una situazione difficile, scomoda che ricorda l’assurda condizione in cui si trovavano le vittime di mafia fino al 1985, cioè prima dell’inserimento nel Codice Penale dell’art. 416 bis, quello che ha riconosciuto la fattispecie del reato di associazione mafiosa. Fino ad allora, per avere giustizia, ognuna di quelle vittime doveva dimostrare l’esistenza della mafia.
Allora poniamoci questa domanda: se in Italia vengono compiuti innumerevoli atti indebiti per comprimere, limitare, condizionare, cancellare la libertà di stampa e di espressione sancita dall’art.21 della Costituzione, non sarebbe il caso di prevedere un reato specifico per queste violazioni? E anche un’aggravante specifica per i reati contro la persona (intimidazioni, minacce, percosse, danneggiamenti) commessi per limitare l’esercizio della libertà di espressione e di cronaca di un giornalista? Credo che in questo campo ci sia nel nostro ordinamento una lacuna da colmare. E’ necessario valutare al più presto questa situazione in sede politica e giuridica. Sarebbe altresì opportuno: 1) offrire un servizio di assistenza legale a questi giornalisti; 2) porre un limite di legge e di procedura alle richieste di risarcimento danni nei confronti dei giornalisti e dei giornali per le notizie pubblicate. So che ci sono già in campo varie proposte, e riconosco il merito e la titolarità a chi le h formulate. Si parla di: subordinare la liquidazione in sede civile all’accertamento del dolo in sede penale; fissare parametri e limitazioni di importo ai risarcimenti; imporre di versare un pegno commisurato all’importo del risarcimento richiesto che, in caso di rigetto, andrebbe alla parte avversa; chiedere che lo stesso magistrato che rigetta l’istanza di risarcimento,contestualmente assegni d’ufficio una provvisionale al giornalista, a titolo di danno subito. Intendiamo approfondire presto questi temi in un convegno, tra giornalisti, giuristi e legislatori.
*direttore dell’osservatorio O2 Ossigeno per l'informazione
La proposta è stata lanciata nell'ambito del workshop "A schiena dritta", organizzato da Blogos - Politicamente Scorretto - venerdì 27 nov 2009 a Casalecchio di Reno (Bologna)