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Articolo 21 - Editoriali
Giudici su Misura
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di Livio Pepino*

Divisa su tutto la maggioranza sembra concordare solo sulla riforma dellâ??ordinamento giudiziario. O forse no, se il governo è stato costretto a blindarla, ponendo la fiducia e impedendo così persino un inizio di dibattito sul maxiemendamento affannosamente proposto allâ??ultimo momento (per superare le critica e i mal di pancia della stessa maggioranza). Il fatto è, a dir poco inaudito, se è vero che, a detta dei maggiori costituzionalisti, la disciplina dellâ??ordinamento giudiziario, riguardando lo status e lâ??indipendenza dei magistrati, deve essere considerata una sorta di legge organica di rango addirittura superiore a quella ordinaria.
Perché, dunque, questa scelta? Per dare un contentino alla Lega e al ministro Castelli (altrimenti destinato a restare nella nostra storia istituzionale solo come lâ??artefice del più grande sfascio organizzativo della giustizia del dopoguerra)? Certamente per questo, ma non solo. Le ragioni sono anche altre.
Lo abbiamo detto e scritto più volte: modificare lo status di giudici e pubblici ministeri è un tassello indispensabile nella operazione in atto di contrazione dei diritti di tutti, di smantellamento dello Stato sociale, di irrigidimento delle istituzioni in senso autoritario. Per ridimensionare i diritti e le libertà occorre indebolire chi, per Costituzione, ne è tutore e garante: la Corte costituzionale, anzitutto, e poi la magistratura.
Il disegno è evidente. Se la riforma approvata dalla Camera diventerà legge i magistrati saranno meno liberi e indipendenti e i cittadini meno tutelati. Alcuni esempi tra i molti possibili.
Primo. La riforma prevede un complicato sistema di concorsi per l'accesso alle funzioni di secondo grado e di legittimità: per diventare giudici d'appello o di cassazione i magistrati dovranno affrontare e superare appositi esami teorici. Nulla di strano - verrebbe da dire - in una società improntata alla meritocrazia. E invece non è così. In questo modo si sovvertiranno la cultura dei giudici e il loro rapporto con la società. Il sistema dei concorsi infatti, a tutto concedere, potrebbe selezionare i giudici tecnicamente più preparati. Ma non è questo il problema della giurisdizione che richiede, al contrario, strumenti per realizzare una crescita professionale di tutti i giudici, posto che tutti allo stesso modo (e a maggior ragione in primo grado) si occupano dei diritti, della vita, dei beni, dell'onore dei cittadini. E poi perché la preparazione tecnica è uno dei requisiti del buon giudice, alla cui realizzazione concorrono altri requisiti quali l'equilibrio, l'educazione, la capacità di ascolto, la sensibilità ai diritti: doti che non si controllano certo con gli esami...
Secondo. I concorsi e gli esami non serviranno a rendere i giudici migliori; ma serviranno ad altro: a incentivare il conformismo, il formalismo, il disinteresse al fatto (che è, invece, il cuore del giudizio). Da che mondo e mondo i concorsi non selezionano i migliori ma promuovono gli omogenei, attraverso meccanismi di cooptazione. Ciò che si ripropone oggi è un sistema analogo a quello degli anni cinquanta, così efficacemente descritto un quarto di secolo fa da Franco Cordero: «Influiva sulla sintonia con il sistema di potere politico ed economico il fatto che ogni magistrato in qualche modo dipendesse dal potere esecutivo quanto a carriera; i selettori erano alti magistrati col piede nella sfera ministeriale; tale struttura a piramide orientava il codice genetico; lâ??imprinting escludeva scelte, gesti, gusti ripugnanti alla biensèeance filogovernativa; ed essendo una sciagura lâ??essere discriminati, come in ogni carriera burocratica, regnava lâ??impulso mimetico». A coronamento di questo sistema il ministro ha voluto aggiungere, nel maxiemendamento, la ciliegina finale: ai dirigenti del ministero, tornati alle funzioni giudiziarie, dovranno essere assegnati posti direttivi o, comunque, di primo piano. Per chi non avesse capito.
Terzo. Giudici e pubblici ministeri - non inganni il concorso unico e la finta opposizione dei pasdaran della separazione delle carriere - saranno drasticamente divisi, attraverso il meccanismo della prescelta all'atto del concorso e della scelta definitiva dopo tre anni. Non sono tra quelli che ritengono l'omogeneità ordinamentale di tutti i magistrati una dogma di fede e, anzi, sono convinto che una seria separazione delle funzioni sia opportuna e troppo a lungo rinviata. Ma allontanare il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione in un momento storico come quello attuale è una regressione pericolosa e di segno illiberale. Sarebbe ora - lo dico anche agli amici avvocati che hanno a cuore l'assetto costituzionale dello Stato - di uscire dalla ambiguità delle formule e degli slogan per ricordare che la polemica contro la «mmistione fra ruoli propri delle parti e ruoli propri del giudice, realizzata in capo al pubblico ministero dal legislatore liberale del 1913» fu un cavallo di battaglia del guardasigilli Rocco e del regime che lo esprimeva. Il seguito è noto...
Molto altro ci sarebbe da dire, a cominciare dal nuovo sistema disciplinare, dalla emarginazione del Consiglio superiore della magistratura, dall'ambiguità della struttura della Scuola della magistratura e via seguitando. Ma tanto basta a dimostrare che questa riforma è unâ??offesa grave non solo per i giudici ma ancor più per i cittadini.

*Presidente di Magistratura democratica

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