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I morti dimenticati della ex Tricom Galvanica
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di Simona Silvestri

I morti dimenticati della ex Tricom Galvanica

Le morti sul lavoro non sono mai una fatalità. Così come del resto non possono essere stati una fatalità i tanti decessi avvenuti tra i lavoratori della ex Tricom Galvanica di Tezze sul Brenta, a causa delle sostanze tossiche con le quali gli operai venivano a contatto ogni giorno. Nella sua tragicità, la storia dell’ex Galvanica, somiglia a tante altre.
Tutto ha inizio negli Anni Settanta, con la costruzione dell’impianto galvanico per la cromatura dei prodotti trattati all’interno dello stabilimento, a dispetto di qualsiasi normativa in materia di prevenzione per la salute degli operai e contro l’inquinamento ambientale. Nella pratica, infatti, non furono mai costruiti l’impianto di depurazione e quello di contenimento degli scarichi di cromo esavalente, come ebbe modo di appurare qualche anno dopo la magistratura. In un’indagine successiva si scoprì addirittura che i reflui della lavorazione, contenenti sostanze altamente tossiche, finivano in un piccolo corso d'acqua che passava fuori dall'azienda e che correva nei campi circostanti.
Nonostante gli interventi delle istituzioni per revocare l’autorizzazione per gli scarichi industriali, gli esposti e le denunce dei cittadini, l’attività della fabbrica continua. I risultati non si fanno attendere, se si considera che oggi il caso dell’ex Galvanica è considerato come uno dei più importanti casi in Europa per inquinamento da cromo esavalente. Inquinamento che non si risolve soltanto nella contaminazione delle acque e dei campi circostanti la fabbrica, ma che soprattutto si riflette sulla vita degli operai che lavorano all’interno dello stabilimento. Nel 2001 cominciano le prime denunce da parte dei parenti di ex lavoratori morti per tumore ai polmoni, una malattia terribile le cui cause possono essere ricercate anche nell'esposizione a metalli pesanti come appunto il cromo e il nichel.
Partono le prime denunce dei familiari che portano nel 2006 all’apertura di un fascicolo d’indagine nei confronti di Adriano Sgarbossa, Paolo e Adriano Zampierin, rappresentanti e responsabili dello stabilimento, e Rocco Battistella. L’accusa è quella di omicidio colposo plurimo, lesioni gravi, omissioni di difese e cautele contro disastri e infortuni sul lavoro e violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro. Nonostante le accuse gravissime, il processo, nel 2008 viene archiviato. La motivazione: non esisterebbe una correlazione certa tra la morte degli operai e la contaminazione da cromo e nichel. Anzi. C’è chi sostiene addirittura che i tumori siano stati causati dalle troppe sigarette fumate dagli ammalati: è il caso del perito di Medicina del lavoro di Padova, nominato dal Tribunale di Bassano del Grappa, chiamato a valutare in modo specifico la presenza in fabbrica di sostanze cancerogene. Affermazioni incredibili se confrontate con alcuni studi effettuati dall'Ulss 3 di Bassano, in base ai quali l'incidenza del tumore ai polmoni tra gli ex operai sarebbe stato almeno tre volte più elevata della media nazionale.
Nel 2009 arriva la seconda archiviazione, provvedimento contro il quale si battono le parti civili, guidate dal Comitato per la salute di Tezze sul Brenta che ha presentato perizie che hanno portato a nuove indagini.
Indagini che hanno sconfessato i dati raccolti dall’esperto di Padova, giudicati "superficiali, sbrigativi e incoerenti", e hanno accolto invece le perizie di Enzo Merler, dei professori Celestino Panizza, Dario Miedico e Angelo Levis. Queste ultime, rifiutando la tesi del fumo, hanno finalmente messo in luce l'enorme tasso di mortalità registrato all'interno della ex Galvanica e analizzato i pericoli all'esposizione a vapori di cromo esavalente e altre sostanze cancerogene presenti nello stabilimento. Martedì 24 novembre si è tenuta l'ultima udienza per decidere se rinviare a giudizio gli indagati per le morti da tumore polmonare di quattordici operai, le sole morti riconosciute dal GIP, un numero troppo ristretto rispetto alle persone che si sono ammalate e che sono morte per svolgere il loro lavoro.
Anche se a oggi i morti della Tricom Galvanica non hanno ancora avuto giustizia, nel frattempo un altro processo ha segnato una sentenza storica per la lotta delle vittime dell’ex Tricom. Si tratta della condanna inflitta ai proprietari dell'azienda Adriano Sgarbossa e Paolo Zampierin in un altro processo, intentato dalla famiglia di uno degli operai morti, tramite il risarcimento di 800mila euro per i gravi danni subiti e il pagamento delle spese processuali.
Una sentenza esemplare e che lascia aperta la speranza che questo sia solo il primo passo per fare luce su una vicenda gravissima che, come molte altre nel nostro paese, è passata nel silenzio più totale dei media.


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