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Articolo 21 - Editoriali
L'Udc contro il "monopattino del Cavaliere"
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di Francesco Lener - da .Com

Varata la fusione Rai Spa-Rai Holding, oggi in Vigilanza gli uomini di Follini chiederanno la rimozione del Cda. E Rumi?

 

Sarà o non sarà il solito bluff targato Udc? L'ardua sentenza l'avremo probabilmente in giornata, visto l'impegno assunto dalla Commissione Vigilanza di esaminare la proposta di mandare a casa quel che resta del Cda di Viale Mazzini "un minuto dopo l'avvenuta fusione tra Rai Holding e Rai Spa". L'idea, lanciata da Rodolfo De Laurentiis poche ore prima della defenestrazione di Giulio Tremonti, stavolta non sembra la "Tabacciata" di turno, considerata la convinzione con la quale il partito ultracentrista sta perseguendo il suo proposito anche di fronte all'ostilità manifesta degli altri partiti che compongono la sconquassata maggioranza. Ai più, però, tornano alla mente i solenni proclami in tema di Sic e di pluralismo lanciati in piena bagarre Gasparri dai generali di Marco Follini, pronti a tornare subito nei ranghi in cambio del primo tozzo di pane. Beppe Giulietti, componente Ds in Vigilanza, cortesemente diffida: «Io mi ricordo che su quella legge annunciarono fuoco e fiamme a difesa della libertà del mercato e alla fine vinse Berlusconi su tutta la linea. Se hanno lungimiranza e davvero credono di poter ricoprire un ruolo autonomo, è un loro interesse precipuo sbarazzarsi di un Cda trasformato ormai nel servizio d'ordine del Presidente. Dal punto di vista politico-elettorale, però, se il centrodestra lascerà questi quattro, farà alla sinistra uno spot permanente tutti i giorni: è un gruppo di una tale faziosità e di un tale dilettantismo che è la rappresentazione della negazione della libertà di scelta per tutti gli italiani».

D'altra parte, nel clima di sfascio aperto con il doppio cappotto subito da Berlusconi nell'urna, chi, come l'Udc, vede spostarsi a proprio favore la bilancia del consenso popolare, ha più interesse a mostrare i muscoli. E se Gianfranco Fini riesce nell'intento di detronizzare l'inviso ministro dell'Economia, tanto più Follini ha qualche chance di cacciare i "Fab Four" di viale Mazzini, insediati sì da Pierferdinando Casini, ma con la ferrea condizione di fare da controcanto a un "Presidente di Garanzia", evaporato già da diversi mesi. Chi invece non ha la possibilità fisica di mostrare i muscoli è la Lega, che, in attesa di ritrovare il vigore del suo leader, si appitona al Cavaliere come per cristallizzare l'esistente aspettando tempi migliori. «Lâ??Udc - sbotta Davide Caparini, responsabile Comunicazione del Carroccio - segue logiche che prescindono dal bene della Rai, sono mosse su uno scacchiere ben più ampio. Hanno già dimostrato in passato di utilizzare la Rai come strumento di contrapposizione politica per questo o quel posticino, questa o quella marchetta: noi a questo gioco non giochiamo, abbiamo una visione antitetica».

Fatto sta che, messa in cascina l'incorporazione di di Rai Spa in Rai Holding, come peraltro previsto dalla Gasparri, l'Udc insiste nel suo proposito e, se le richieste non saranno soddisfatte, potrebbe quantomeno consumarsi l'addio del consigliere di riferimento, Giorgio Rumi, che lascerebbe ai tre reduci la plancia di comando. «Nessuno di noi è incollato alla poltrona - ha commentato ieri il diretto interessato - Noi stiamo lavorando per completare la fusione il prima possibile». Caparini, di fronte a questo scenario, non fa una piega: «In questo momento, a un passo dalla tanto agognata e rivoluzionaria privatizzazione come public company, noi dobbiamo lasciare i tempi tecnici al Cda per fare il proprio lavoro, tanto più che questi tempi corrisponderebbero alla sua naturale scadenza in base alla vecchia legge. Loro hanno bisogno ancora di qualche mese: io non me la sentirei di bloccare un processo talmente importante smentendo - e mi stupisco che lâ??Udc lo faccia - il voto espresso in Parlamento alcuni mesi fa».

Di sicuro, però, gli attuali vertici Rai perdono sostegni politici e istituzionali ogni giorno che passa. Giulietti lo fa notare senza peli sulla lingua. «Quei quattro sono stati eletti con un presidente di garanzia, ma sia Paolo Mieli, che poi declinò, sia l'Annunziata andarono a scontrarsi con il ministro Tremonti, che negò loro autonomia sulla scelta del direttore generale. Ora Tremonti non c'è più e politicamente sono più deboli. Possono anche decidere di fare una giardinetta familiare, degna erede della Smart di Baldassarre. Ma, dal punto di vista politico, non sono più che un monopattino».
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